[…] il problema è, c’è posto per tutti sulla macchina? E siamo in grado di nutrire una bocca in più?” Senza voltare la testa, ripeté la domanda: “Mamma, siamo in grado?”
La mamma si schiarì la gola. “Quanto a ‘essere in grado’, siamo in grado di niente; né partire per la California, né niente. La questione è di sapere se ‘vogliamo’ prenderlo con noi, o no. […]
In quello che dovrebbe essere considerato un testo cardine dell’Economia Politica, John Steinbeck spiega – nel modo più rigoroso con cui si possano descrivere le passioni alla base dei comportamenti, umani prima che economici – la scelta razionale degli individui, quanto agiscano non da atomi (come li descrive la “moderna” microeconomia) ma da esseri sociali.
È una lezione importante, quella di Furore: perché da mesi, quotidianamente, siamo bombardati da un altro tipo di messaggio.
Quando si parla dello Stato come di una famiglia, in cui “non bisogna spendere più di quanto si guadagna”, in virtù di una presunta moralità del debita sunt servanda, in realtà si allude a una diversa idea dei rapporti che fondano le società umane: si rappresenta la comunità come una barca che sta per affondare, in cui i naviganti debbano razionalmente scegliere chi sacrificare per il bene comune. Una di quelle scelte assurde e paradossali su cui, come ben spiega l’antropologo David Graeber, si basa la moderna economia neoclassica: eppure, anche se posti in una situazione così estrema, in un contesto così alienante, siamo davvero sicuri che risponderemmo tutti, inequivocabilmente, come la teoria ci imporrebbe? Siamo tutti sicuri che selezioneremmo gli individui più deboli – pardon, meno meritevoli –, chi meno è in grado di contribuire alla causa comune, per gettarli – o convincerli con argomenti moderati a tuffarsi giù, virtuosamente – fuori dalla barca?
Capite bene che, così in astratto, questa domanda sembri priva di senso.
In primo luogo, dovremmo chiarire chi sono gli altri membri dell’equipaggio. Siamo sicuri che la risposta sia infatti la stessa, se per il ruolo di vittima sacrificale assoldassimo, uno alla volta, l’amore della nostra vita, nostro nonno, una sorella piccola? Siamo sicuri che li lasceremmo in mare? O che tutti i nostri simili lo farebbero? Siamo sicuri di credere, come sintetizza un lettore di Sylos Labini, di doverci procurare da soli la bistecca di mammut?
Eppure, quella del cacciatore paleolitico è esattamente la teoria sociale che ci propone chi – con la presunzione di sancire verità incontrovertibili – pontifica illustrandoci la propria, personale interpretazione di “insostenibile”. Quella di chi continua a spiegarci come non possiamo più permetterci la spesa sanitaria (sia essa in Italia o negli Stati Uniti) senza curarsi di informarci del fatto che la sua entità sia perfettamente paragonabile, per fare un esempio a caso, alla spesa per armamenti, o ancora peggio, nettamente inferiore a quella per gli interessi sul debito (è il caso della Spagna).
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