Dovessi dire qual è il sentimento predominante, leggendo le cronache dal Senato, dove la Commissione Giustizia ha da poco approvato il cosiddetto disegno di legge Salva-Sallusti sulla diffamazione, direi che è lo sconforto. Lo sconforto e la depressione verso una classe politica che non è più solo ampiamente divergente, nei temi su cui si applica discute e legifera, dagli interessi dai cittadini, ma che ha ormai preso definitivamente il largo da una idea minima di intelligenza e comprensione, fosse anche solo per proprio personale interesse.
Perfino il lato pirandelliano della vicenda, la frettolosa toppa promessa ad un direttore di giornale che, quanto ad attenzione per la diffamazione nessuno vorrebbe prendere come esempio, rischia non solo di fare più danni della mancata norma, ma viene utilizzata per occuparsi d’altro, per dedicare attenzione a temi ricorrenti come il controllo dell’informazione, dei giornalisti non allineati ed ovviamente della rete Internet.
Dice il senatore Castelli durante i lavori della Commissione, egregiamente riassunti da Fabio Chiusi sul suo blog, che “la diabolicità del sistema Internet è che quella notizia resta per sempre”. In una sola frase viene riassunta, in un italiano magari un po’ faticoso, la caducità della nostra idea di conservazione della conoscenza. La biblioteca di Alessandria, Jorge Luis Borges, l’aspirazione ad imparare dai nostri errori tenendone traccia, vengono archiviati con naturalezza nel pensiero verticale dell’ingegnere leghista. La notizia resta per sempre e tutto questo è diabolico e deve essere impedito.
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