In questa interessante intervista, Emiliano Brancaccio (professore di Economia all’Università del Sannio) esamina le previsioni estive di crollo dell’euro e le ipotesi d’uscita dalla grande recessione. A suo avviso, l’unico modo per evitare la “mezzogiornificazione” del sud Europa è proteggere gli asset produttivi locali e frenare la libera circolazione di merci e capitali, cioè deglobalizzare come stanno già facendo Argentina, Usa, Brasile, Cina e Russia.
Prima dell’intervista, un intervento di Brancaccio ad Omnibus del novembre 2011.
DOMANDA. Nonostante le elezioni in Grecia, che si ritenevano fondamentali per il futuro della zona euro, siano state vinte dai conservatori di Nuova Democrazia, gli attacchi speculativi ai titoli di stato continuano. A quanto pare, dunque, a rendere traballante l’euro non sono la sinistra radicale o i movimenti di protesta, bensì una fragilità sistemica interna. Non è così?
RISPOSTA: Lo sviluppo dei movimenti di protesta può accelerare la crisi della zona euro, ma le determinanti di questa crisi dipendono dai conflitti tra capitali europei e dalle tensioni che questi provocano sulla tenuta dell’Unione monetaria europea. Come più volte la signora Merkel ci ha ricordato, l’Unione è stata edificata su basi competitive. Il fondamento dei Trattati europei non è certo la solidarietà tra i popoli, ma la concorrenza tra capitali. Nel corso degli anni tale concorrenza è andata accentuandosi, e ha provocato una crescita degli squilibri nei rapporti commerciali tra paesi europei. La Germania, in particolare, ha accumulato surplus commerciali verso l’estero, vale a dire eccessi sistematici di esportazioni sulle importazioni. Di converso, l’Italia e gli altri paesi periferici dell’Unione hanno accumulato deficit commerciali, cioè eccessi di importazioni sulle esportazioni. Questi squilibri hanno determinato un accumulo di crediti verso l’estero da parte della Germania e una corrispondente crescita dei debiti verso l’estero da parte dei paesi periferici dell’Unione. Debiti, è bene ricordarlo, sia pubblici che privati. Prima del 2008 la crescita economica mondiale trainata dalla finanza statunitense rendeva questi squilibri tollerabili. Ma da quando il regime di accumulazione globale trainato da Wall Street è entrato in crisi, le divaricazioni interne all’Unione monetaria europea si sono rivelate insostenibili. E le politiche restrittive che sono state finora adottate non hanno contribuito ad attenuare le divaricazioni. Anzi, in alcuni casi le hanno accentuate.
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