Che la Cina stia diventando potenza di primissimo piano in corsa per l’accaparramento di risorse globali per un futuro che promette ben poco di buono non è in discussione. Basta girare l’Africa e l’America Latina per cogliere l’impressionante portata della sua presenza, ma soprattutto la rispettosa accoglienza in generale riservatale dalle popolazioni locali. I cinesi, infatti, non presentano il volto arrogante dell’Occidente. Non impongono riforme strutturali o l’introduzione di una retorica dei diritti e della democrazia. La Cina condivide col Sud del mondo una lunga storia di vittimizzazione da parte dell’Occidente e una tale condivisione crea legami profondi. Che l’Occidente abbia imparato a considerare la Cina come un proprio pari, dimostrando il dovuto rispetto per un così importante «condomino globale» è assai più dubbio.
Il diritto offre un’eccellente finestra per osservare la dialettica CinaOccidente, indagando quell’assurdo atteggiamento di superiorità globale che abbiamo sviluppato auto-promuovendoci campioni della «legalità» e infliggendo la nostra retorica a tutte le periferie. L’ingresso sella Cina al Wto, avvenuta nel 2002, è stata preparata da parte cinese attraverso un incredibile numero di riforme del proprio sistema giuridico, non soltanto riforme legislative di tipo formale (abrogate centinaia di leggi contrarie allo spirito del libero commercio internazionale, sostituite con liberalizzazioni in diversi settori dell’economia; introdotte leggi che definiscono strutture proprietarie private, inclusa la proprietà intellettuale) ma anche riforme strutturali, come quelle relative alla formazione dei giudici e all’insegnamento accademico del diritto.
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