Perché nessuno se n’è accorto? Se queste cose erano tanto grosse com’è che tutti le hanno trascurate? È orribile! (Elisabetta II in visita alla London School of Economics, novembre 2008)
Se ci sarà una rivoluzione sociale in America farà bene a non contare sulla stampa. Anzi non sapremo neanche che è in corso per almeno sei mesi. (S. Hersh, “Il futuro dei giornali”, intervista di M. Calabresi, la Repubblica, 1° aprile 2009)
1. Comunicazione della crisi o crisi della comunicazione?
Chiunque osservi, anche superficialmente, le vicende della crisi generale che è esplosa nell’agosto 2007, difficilmente potrà sottrarsi all’impressione di essere stato informato poco e male su quanto stava (e sta) accadendo. In effetti, la comunicazione offerta dai media mainstream si è contraddistinta per tre caratteristiche: 1) è stata eufemistica e minimizzante; 2) è stata costantemente in ritardo sugli avvenimenti; 3) è stata – ed è – sostanzialmente elusiva.
1) Per quanto riguarda l’aspetto minimizzante dell’informazione sulla crisi, hanno certamente concorso incomprensione della reale portata della crisi, speranza che si risolvesse in tempi brevi e con “effetti collaterali” limitati, e anche – almeno dopo i primi mesi – una buona dose di mistificazione: tutte caratteristiche che accomunano il mondo dell’informazione e quello della politica e dell’economia (del resto ovunque strettamente intrecciati). Per quanto tempo si è parlato di “crescita negativa” (un ridicolo eufemismo) per non usare la parola “recessione”? E ancora oggi, quanti opinionisti sono disposti ad usare il termine corretto, che è ormai quello di “depressione”, e per giunta “mondiale”? Sta di fatto che tuttora capita di dover andare a cercare gli indizi della gravità della situazione nelle pagine interne dei giornali, mentre i titoli di prima offrono un quadro esageratamente rassicurante. Un esempio tra i molti che si potrebbero citare ci è offerto dal Financial Times del 3 aprile 2009, sul quale campeggia in prima pagina, sopra una foto di gruppo dei “leaders” mondiali resa grottesca dagli atteggiamenti clowneschi di Berlusconi, questo titolo: «I leaders del G20 salutano il successo del summit». Bisogna sfogliare il quotidiano sino a pagina 6 per scoprire che «Le tendopoli mettono in difficoltà il censimento USA»: ossia che il numero dei senzatetto costretti a vivere in garage, tende, seminterrati e altre abitazioni “non tradizionali” (l’eufemismo è contenuto nell’articolo) è talmente cresciuto da rendere reale il rischio che il censimento del 2010 non risulti affidabile. Nella stessa pagina, un box abbastanza minuscolo ci informa del fatto che i buoni pasto governativi sono giunti a una cifra record, e ormai sono adoperati da 32 milioni e 200 mila persone(1).
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