Eritrea, l’altopiano e Asmara la capitale, la Dankalia, vulcani e un lago di sale, una costa di centinaia di chilometri lungo il Mar Rosso, Massaua, porto tropicale di fronte alle isole Dahalak. Nell’immaginario di molti italiani, non solo di quei pochi, ancora in vita, che hanno perduto un’esistenza di privilegi, questa terra era una volta l’Eritrea Felix. Se nelle vicine Libia ed Etiopia i colonialisti ed i fascisti avevano stuprato, torturato ed ucciso, qui si erano comportati bene, portando civiltà e benessere anche per gli eritrei.
Ma è una falsità storica che la nostalgia per il paradiso perduto alimenta. I bianchi hanno costruito per loro stessi. Le infrastrutture, strade, ponti, ferrovie, fabbriche ed aziende agricole sono state costruite e formate per il proprio sviluppo economico e benessere. Hanno edificato ville ed alberghi dove vivere con privilegi, chiese dove pregare il proprio dio, bar, ristoranti e bordelli dove divertirsi. Non sono stati regali di civiltà al popolo eritreo. La missione dei coloni non è stata quella di migliorare le condizioni di vita degli indigeni. Eritrea felix per il bianco, Eritrea infelice per il popolo eritreo, una razza integrata al progetto coloniale come razza inferiore con funzioni subordinate e servili. La ferrovia Asmara-Massaua, i ponti, le architetture di Asmara ed altro, esistono ancora e sono utilizzati, ma non sono un regalo, bensì un bottino di guerra del popolo eritreo, che ha conquistato con l’indipendenza le opere degli italiani.
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