Democrito, Il caos atomico nella casualità del vuoto
La teoria atomistica di Leucippo e Democrito si propone di riprendere l’indagine della natura a partire dalle impossibilità logiche evidenziate dagli eleati, «salvando», nello stesso tempo, «i fenomeni», cioè la molteplicità e il divenire attestati dai sensi.
Esiste, pertanto, secondo questa teoria, una pluralità di enti, o forme, eterni, imutabili e indivisibili (a-tomos) in moto casuale e caotico nell’infinito spazio vuoto, le loro aggregazioni e separazioni determinano l’infinita varietà delle cose. Questa tesi democritea è testimoniata dal commento di Simplicio al De caelo di Aristotele (In Aristotelis De caelo), Dk fr. 68 A 37.
L’altro assunto fondamentale della visione atomistica del mondo è la distinzione tra due ordini di proprietà delle cose: quello quantitativo e quello quantitativo.
Le caratteristiche geometriche e meccaniche sono ritenute da Democrito oggettive, cioè proprietà della realtà, mentre le altre, acustiche, cromatiche, termiche, sono puramente soggettive.
Compito della scienza – come tornerà a dire duemila anni più tardi Galilei – è spiegare le seconde in base alle prime.
Poiché della vastissima opera di Democrito ci sono giunti solo frammenti – di molti testi ci è noto solo il titolo – traiamo i riferimenti a questa dottrina dal De sensu [4, 442 a 29] e dal De generatione et corruptione [A2, 316 a] di Aristotele, oltre che dallo stesso Simplicio, Teofrasto (De causis plantarum) e Sesto empirico [Adversus mathematicos, VII, 135,137,138].
Democrito ritiene che la materia di ciò che è eterno consista in piccole sostanze infinite di numero, e suppone che queste siano contenute in altro spazio infinito per grandezza: e chiama lo spazio con i nomi di «vuoto» e di «niente» e di «infinito», mentre dà a ciascuna delle sostanze il nome di «ente» e di «solido» e di «essere».
read more »
Parmenide di Elea
Bisogna che tutto tu sappia,
e il cuore che non trema della ben rotonda verità,
e le opinioni dei mortali in cui non c’è vera certezza.
Solo due strumenti ha la mente per conoscere: i sensi e la ragione. Ma i sensi ci mostrano una realtà mutevole e incomprensibile, nella quale ogni cosa, cambiando, diventa il proprio opposto. Di cosa dunque possiamo essere certi? Esiste una realtà stabile che permette una conoscenza certa, relativa a una verità permanente?
Seguendo la ragione possiamo sapere che l’essere è perché il nulla non può essere pensato. Se invece ipotizzassimo che l’essere non è cadremmo in un grave errore perché «la stessa cosa è e pensare che è», quindi, se pensiamo, dimostriamo che l’essere esiste e che il pensiero non può pensare che l’essere (qualcosa che è).
Il non essere, d’altra parte, non è e non può essere pensato. Dunque tra essere e nulla c’è una differenza incolmabile, essenziale: l’uno non può mai diventare l’altro e viceversa.
Eppure i sensi vorrebbero accreditarci proprio questa tesi: che l’essere e il non essere sono entrambi e passano continuamente l’uno nell’altro, come mostrano il divenire (le cose che sono, un tempo non erano e torneranno ad essere nulla) e la molteplicità degli enti (questa cosa è se stessa ma non è quell’altra e viceversa). La ragione vieta però di accogliere questa confusa contraddittorietà, propria degli uomini che nulla sanno, la cui ignoranza dirige l’errante mente ..
Comprendere che divenire e molteplicità sono opinione infondata (doxa), apparenza illusoria, è allora accogliere senza tremare la ben rotonda verità che l’essere soltanto è necessariamente.
Indice
1. Pensare ed essere: l’ordine logico e l’ordine della realtà
2. Il poema sulla natura
2.1 L’ontologia parmenidea
3. L’essere, il pensiero, il linguaggio
3.1 Le tre vie
3.2 Le caratteristiche dell’essere
4. L’interpretazione di Melisso di Samo
5. L’interpretazione di Emanuele Severino
4.1 La negazione del divenire
4.2 L’eternità dell’essere
4.3 L’essere e il molteplice
1. Pensare ed essere: l’ordine logico e l’ordine della realtà
Con Parmenide di Elea, vissuto nella prima metà del V secolo a.C., la filosofia giunge ad una prima e radicale soluzione del problema della verità (aletheia) che avrà un’influenza immensa sul pensiero filosofico successivo.
Convinzione fondamentale dell’eleate è che tra la realtà, la ragione umana e il linguaggio usato dagli uomini per descriverla ci sia una sostanziale identità (isomorfismo pensiero e realtà).
Kierkegaard
L’esistenza non può essere pensata senza movimento e il movimento non può essere pensato sub specie aeterni. Trascurare il movimento non è propriamente un capolavoro, e introdurlo come passaggio nella logica, e con esso il tempo e lo spazio, non è che una nuova confusione.
Infatti, nella misura in cui il pensiero è eterno c’è una difficoltà per l’esistente. L’esistenza è come il movimento: è molto difficile avere a che fare con essa. Se li penso li abolisco e quindi neanche li penso più. Sembra pertanto che sia esatto dire che c’è qualcosa che non si lascia pensare: l’esistere. Ma la difficoltà ritorna, e ciò per il fatto che il pensatore esiste, e il pensare pone insieme l’esistenza […]. L’esistere è per l’esistente il suo supremo interesse e l’interessamento ad esistere è la sua realtà. Ciò in cui consiste la realtà non può essere esposto nel linguaggio dell’astrazione. La realtà è un inter-esse tra l’unità ipotetica dell’astrazione di essere e pensiero […].
Dio non pensa, Egli crea; Dio non esiste, Egli è eterno. L’uomo pensa ed esiste e l’esistenza separa pensiero ed essere, li distanzia l’uno dall’altro nella successione […].
Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica
Vita di Søren
Nella vita di Søren Kierkegaard c’è un grande scarto tra la esiguità degli avvenimenti esteriori e la complessità di un’esperienza interiore che rimane in più punti indecifrabile, nonostante le migliaia di pagine del Diario e i numerosissimi spunti autobiografici presenti nelle opere. Il filosofo stesso ha voluto che così fosse:
«dopo la mia morte, nessuno troverà fra le mie carte (e questa è la mia consolazione) una sola spiegazione di ciò che propriamente ha riempito la mia vita».
Commenti recenti