Antonio Gargano, La Fenomenologia dello spirito
La lezione dedicata da Antonio Gargano alla Fenomenologia dello spirito.
[…] l’imperatore – quest’anima del mondo – l’ho visto uscire a cavallo dalla città, in ricognizione; è davvero una sensazione singolare vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, spazia sul mondo e lo domina […].
Hegel, Lettera a Friedrich Niethammer
La Fenomenologia dello spirito era stata concepita da Hegel come un’introduzione al suo sistema filosofico, poi essa crebbe nel corso della stesura e assunse una dimensione del tutto autonoma.
Prima di parlarne è necessario riprendere brevemente le tappe del discorso che portano a quel culmine dell’idealismo che è il pensiero di Hegel. Proprio nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, Hegel afferma in maniera lapidaria, categorica: «Il vero è l’intero». Se applichiamo questa affermazione alla verità filosofica, Hegel vuol dire anche che il suo sistema filosofico costituisce un passo successivo, un completamento rispetto ai precedenti: la verità della filosofia non emerge semplicemente dal sistema hegeliano, ma da tutto l’insieme della storia della filosofia; secondo Hegel, il suo stesso pensiero è vero soltanto nell’interezza, nella completezza dello sviluppo del pensiero occidentale e in particolare dell’idealismo.
Per seguire il suggerimento implicito di Hegel dobbiamo riprendere il discorso sull’interezza dell’idealismo tedesco. L’idealismo aveva superato il criticismo kantiano, che era debole dal punto di vista teoretico per il fatto di essere un sistema dualista, in quanto scindeva il fenomeno dal noumeno, e soprattutto, per la mentalità idealistico-romantica, Kant aveva il difetto di aspirare semplicemente alla conoscenza del finito, del fenomeno, senza lo slancio, tipico della cultura romantica, a cogliere l’infinito, l’assoluto.
Marcello Musto, L’alienazione
L’alienazione è stata una delle teorie più dibattute del XX secolo. La prima esposizione filosofica del concetto avvenne già nel 1817 e fu opera di Georg W. F. Hegel. Nella Fenomenologia dello spirito, egli ne fece la categoria centrale del mondo moderno e adoperò il termine per rappresentare il fenomeno mediante il quale lo spirito diviene altro da sé nell’oggettività. Tuttavia, nella seconda metà dell’Ottocento, l’alienazione scomparve dalla riflessione filosofica e nessuno tra i maggiori pensatori vi dedicò attenzione.
La riscoperta di questa teoria avvenne con la pubblicazione, nel 1932, dei Manoscritti economico filosofici del 1844, un inedito appartenente alla produzione giovanile di Karl Marx, in cui, mediante la categoria di «lavoro alienato», egli aveva traghettato la problematica dalla sfera filosofica a quella economica. L’alienazione venne descritta come il fenomeno attraverso il quale il prodotto del lavoro si manifesta «come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente». Contrariamente a Hegel, che l’aveva rappresentata come una manifestazione ontologica del lavoro, che coincideva con l’oggettivazione in quanto tale, Marx concepì questo fenomeno come la caratteristica di una determinata epoca della produzione: quella capitalistica.
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