Il corso monografico che il prof. Bettin (Unifi) ha dedicato al conflitto sociale (a.a 2001-2001).
1. Il conflitto nelle scienze sociali. 2. Il conflitto: una definizione sociologica e problematica. 3. Il conflitto sociale nel pensiero sociologico classico. 4. Ralf Dahrendorf: nuove tendenze del conflitto di classe. 5. Lewis Coser: genesi e forme del conflitto. 6. Dahrendotf e le dimensioni empiriche del conflitto. 7. Randall Collins: conflitto e mutamento istituzionale. 8. Conflitto e comunicazione nella sociologia di Niklas Luhmann. 9 Niklas Luhmann: conflitto e complessità. 10. I nuovi conflitti sociali. 11.Globalizzazione, società multiculturale e conflitti etnici. Bibliografia.
1.Il conflitto nelle scienze sociali
Il concetto di conflitto è senza dubbio un concetto centrale nell’apparato conoscitivo elaborato dalle scienze sociali contemporanee. La sua importanza è ampiamente testimoniata dalla vastissima bibliografia dedicata al tema da alcune discipline non sempre strettamente apparentabili come l’economia, l’antropologia culturale, la psicologia sociale e la sociologia. Non a caso il concetto di conflitto è stato adottato come una delle chiavi di lettura della variegata fenomenologia sociale del nostro tempo ed ha rappresentato il fulcro di una teoria generale dalle molteplici applicazioni da cui si è originata una disciplina distinta: la polemologia. Non è questa la sede più idonea per effettuare una rassegna delle definizioni che del conflitto sono state date anche perché ogni scienza sociale presenta una definizione specifica congruente con il suo punto di vista analitico ed insiste su di un ambito altrettanto specifico di applicazione. E’ comunque opportuno qualche esempio.
Nel primo articolo della rubrica Kippbilder. Attualità filosofica dalla Germania, ospitato dal Rasoio di Occam, la nuova teoria dell’alienazione proposta da Rahel Jaeggi in Entfremdung, Zur Aktualität eines sozial-philosophischen Problems.
In questo testo del 2005, l’autrice ripensa in senso antiessenzialista – e in ciò certamente più marxiano del Marx dei Manoscritti – un’alienazione intesa non più come lontananza da una presunta autenticità originaria, ma come perdita di controllo da parte dei «soggetti – individuali o collettivi – sulle proprie azioni [e, dall’altra, come] l’impossibilità di questi soggetti d’identificarsi in maniera ricca di senso con ciò che fanno e con coloro con cui lofanno». Congedandosi da Hegel ed Heidegger, Marcuse e Fromm, l’alienazione di Jaeggi si confronta così con i processi di soggettivazione e con le possibilità di autodeterminazione attivabili nella tarda modernità.
Al pari di altri termini fondamentali della letteratura filosofica del Novecento, anche il concetto di “alienazione” ha subito negli ultimi decenni un processo di progressivo eclissamento dal dibattito teorico e politico, che solo negli ultimi anni sembra, in parte, essersi arrestato. Questo processo di marginalizzazione risulta tanto più evidente quanto più si richiama alla memoria la centralità rivestita da questo concetto nel dibattito filosofico, politico e culturale del XX secolo.La critica dell’alienazione non è stata infatti soltanto uno dei capisaldi teorici del “marxismo occidentale” e della prima teoria critica francofortese, nonché, su un altro versante della filosofia novecentesca, dell’esistenzialismo tedesco e francese. Nella seconda metà del Novecento, questa modalità di critica filosofica delle forme di vita moderne è assurta a vessillo di un’intera stagione politica e culturale. Essa ha costituito la fonte d’ispirazione di opere letterarie, artistiche, cinematografiche ed è divenuta una lente di analisi politica, sociologica e psicologica che è entrata a far parte del linguaggio comune.
L‘introduzione di Eric Fromm a Alexander Neill, Un’esperienza educativa rivoluzionaria, Milano, Rizzoli, 1972.
Nel diciottesimo secolo i pensatori progressisti fecero circolare le idee di libertà, democrazia e autodeterminazione e, a cominciare dalla prima metà del novecento, queste idee cominciarono ad entrare in campo pedagogico. Il principio basilare sotteso al concetto di autodeterminazione è di sostituire la libertà all’autorità, di educare il fanciullo senza ricorrere alla forza facendo appello alla sua curiosità e ai suoi desideri istintivi interessandolo così al mondo che lo circonda. Questo atteggiamento segnò l’inizio dell’educazione progressista e fu un importante passo in avanti nello sviluppo della civiltà.
I risultati di questo nuovo metodo si rivelarono però deludenti. Nei confronti dell’educazione progressista, negli ultimi anni ha preso corpo un crescente processo di reazione. Oggi molte persone ritengono che la teoria stessa sia sbagliata e da togliere di mezzo. Sta così prendendo piede un movimento molto forte che sostiene la necessità di un’accentuazione della disciplina, e al limite, la reintroduzione delle punizioni corporali nell’ambito delle scuole di stato. Forse il fattore più importante che ha reso possibile questo processo di reazione, è il notevole successo conseguito dai metodi educativi in uso nell’Unione Sovietica. Qui i vecchi metodi vengono applicati in pieno; e i risultati, per quanto riguarda la quantità di nozioni apprese, sembrano indicare il vantaggio di un ritorno ai vecchi metodi disciplinari a spese delle libertà del fanciullo.
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