Allora la prima cosa da tenere presente è che le risposte uccidono le domande le chiudono; non bisogna avere un’ansia di risposte, perché le risposte non sono mai le risposte che salvano le situazioni, bisogna invece incrementare le domande e incominciare per esempio a domandarsi “che cos’è l’identità”, oppure che cos’è l’io?
Quindi non è interessante dare dell’io una risposta, quello che si può dire è che l’identità non è una dote naturale, noi non nasciamo con un’identità sociale: l’identità ce la danno gli altri,l’identità è frutto del riconoscimento.
Se una mamma dice al suo bambino “sei bravo” e la maestra gli dice “sei intelligente”, il bambino costruirà un’identità positiva, se la mamma gli dice “sei un cretino” e poi glielo ribadisce la maestra, crescerà con un’identità negativa.
Un articolo – scritto nel 2012 per Oreundici – sul disagio giovanile contemporaneo e l’incapacità degli adolescenti di operare il passaggio dalla libido narcistica alla libido oggettuale, dall’immediatezza delle pulsioni più elementari all’eros, quale effetto della crisi storica di fondamento che attraversa la nostra civiltà.
Non abbiamo un fine senza speranza,
ma una speranza senza fine.
Edith Stein
Un filosofo e psicoanalista argentino Miguel Benasayag, che vive da molti anni a Parigi, le cui opere sono in parte tradotte anche in italiano, e un professore di psichiatria infantile e dell’ adolescenza Gérard Schmit che insegna all’ università di Reims, hanno posto sotto osservazione i servizi di consulenza psicologica e psichiatrica diffusi in Francia e si sono accorti che a frequentarli, per la gran parte, sono persone le cui sofferenze non hanno una vera e propria origine psicologica, ma riflettono la tristezza diffusa che caratterizza la nostra società contemporanea, percorsa da un sentimento permanente di insicurezza e di precarietà. Quali «tecnici della sofferenza» si sono sentiti impreparati ad affrontare problemi che non fossero di natura psicopatologica. E invece di adagiarsi tranquillamente sui farmaci a loro disposizione per curare il disordine molecolare e così stabilizzare la crisi, si sono messi a studiare e a pensare il senso che si nasconde nel cuore del sintomo, quando la crisi non è tanto del singolo, quanto il riflesso nel singolo della crisi della società. Ne è nato un libro bellissimo, la cui lettura consiglierei a tutti i giovani e a tutti quelli che ne hanno cura. Il titolo è L’ epoca delle passioni tristi (Feltrinelli) [le prime venti pagine sfogliabili qui].
Che rapporto c’è tra la psichiatria e la follia? A sentire Foucault un rapporto perverso, essendo la psichiatria una scienza nata non per curare la follia, ma per mettere la società al riparo dalla follia, segregandola un tempo nei manicomi e oggi nel chiuso dei corpi sedati dalle pillole. Non era questo l’intento di Pinel che nel 1793 inaugurò a Parigi il primo manicomio, liberando i folli dalle prigioni, in base al principio che il folle non può essere equiparato al delinquente. Con questo atto di nascita la psichiatria si presenta come scienza della liberazione dell’ uomo. Ma fu un attimo, perché il folle, liberato dalle prigioni, fu subito rinchiuso in un’altra prigione che si chiamerà manicomio. Da quel giorno incomincerà il calvario del folle e la fortuna della psichiatria. Se infatti passiamo in rassegna la storia della psichiatria vediamo emergere i nomi dei grandi psichiatri, mentre dei folli esistono solo etichette: isteria, astenia, mania, depressione, schizofrenia.
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