Paolo Ercolani, La filosofia delle donne: uguaglianza, differenza, indifferenza. Nancy Fraser, Come il femminismo divenne l’ancella del capitalismo
Dopo un’efficace panoramica della tradizione pagana e cristiana del pregiudizio di genere, Ercolani si sofferma sul pensiero femminista tra affermazione della differenza e ricerca dell’uguaglianza, con condivisibili osservazioni finali ispirate dal Manifesto per un nuovo femminismo e particolarmente dal contributo di Sara Giovagnoli. Dal Rasoio di Occam.
Indice
1. Un antico pregiudizio
2. Fra tradizione pagana e cristiana
3. Uguaglianza e differenza
4. Per un nuovo femminismo tra Freud ed Hegel
5. Nancy Fraser, Come il femminismo divenne l’ancella del capitalismo
1. Un antico pregiudizio
Che si tratti di un essere fisiologicamente connaturato al male, capace di accoglierlo e di produrlo (e riprodurlo?) in maniera perfino inimmaginabile da parte dell’uomo, è convinzione radicata e agevolmente riscontrabile nel panorama culturale dell’Occidente.
Se è la prima donna Eva a convincere il primo uomo Adamo a disobbedire al volere divino, introducendo così nel mondo il peccato e soprattutto la morte, secondo la chiosa di S. Paolo (Biblia sacra: Rom 5,12), morte che Dio non aveva previsto originariamente per la sua creatura prediletta (Biblia sacra: Sp 2,24); è sempre una donna, stavolta la moglie, a tentare il buon Giobbe, descritto di per sé come «integro e retto, timorato di Dio ed estraneo al male», esortandolo a maledire Dio per tutti i colpi gratuiti ricevuti (Biblia sacra: Gb 1,1 e 2,9).
Né le cose andavano meglio nella cultura della Grecia antica, dove la donna era vista come un essere irrazionale e ferino, sostanzialmente portatore di discordie, guerre e, infine, morte. Nel poema esiodeo de Le opere e i giorni è Pandora, una donna, colei che recita il ruolo di portatrice dei doni che gli dèi fanno agli uomini (fra i quali proprio le donne), dando in questo modo inizio alle interminabili sciagure che da quel momento li avrebbero colpiti (Esiodo, Opere e giorni: vv. 80-82).
La storia del bambino che ama vestirsi di rosa
Cosa c’è di scandaloso se un bambino vuole mettersi un vestito da femmina? Se ama il rosa, lo smalto e La bella addormentata? Chi ha stabilito che tutto questo è da femmina? E quando è successo? Qualche giorno fa, Camilla ha deciso di raccontare la storia di suo figlio, Mio figlio in rosa. Tratto da Internazionale.
L. ha otto anni e i suoi vestiti preferiti sono rosa. Sembra perfino bizzarro che sia necessario giustificare questa preferenza, visto che il rosa non è connotato intrinsecamente come tipico o esclusivo di un genere – proprio come alcuni tratti caratteriali, considerati come femminili o maschili, sono il risultato di processi storici e culturali, mutevoli e casuali. Eppure, un bambino che ama il rosa e La sirenetta suscita sorpresa, prese in giro e condanne. Per qualcuno dovrebbe essere addirittura “aggiustato” a forza di magliette blu e giocattoli da piccolo Schwarzenegger.
Chiedo a Camilla perché ha deciso di raccontare.
“Da quando mi sono resa conto che non era una fase – o che, se lo era, era molto strutturata – ho sempre cercato storie come la mia. Possibile che ci sia solo lui?. L. è sempre stato così. Al nido pensavo fosse un comportamento passeggero. Fin da allora ho cercato di evitargli difficoltà, immaginavo le reazioni degli altri. Avevo parlato con le maestre. Avevo portato un vestitino perché voleva metterselo. C’era l’angolo dei travestimenti e avevo detto alle maestre di lasciare che scegliesse se e quando indossarlo. Le maestre sono state molto disponibili. Se notate qualcosa di strano, gli avevo detto, una tristezza o una malinconia, ditemelo.
Hanno sempre sdrammatizzato. Io non sono preoccupata, L. è un bambino sano e allegro, ma voglio sapere se è a disagio e voglio avere gli strumenti per aiutarlo. Alla fine dell’anno, una maestra mi ha chiamato in disparte e mi ha consigliato di ‘andare da uno bravo’. Si è giustificata dicendo che alla materna sarebbe stato un inferno per L. Ero sbalordita. Mi dici una cosa del genere proprio l’ultimo giorno? Due anni di nido e aspetti l’ultimo momento per parlarmi dell’imminente inferno destinato a L.?”.
Riccardo Antoniucci, Il matrimonio gay nel dibattito filosofico contemporaneo
Questo ottimo articolo di Riccardo Antoniucci, pubblicato dal Rasoio di Occam il 7 marzo 2013, mostra come il dibattito sui diritti degli omosessuali infuriato in Francia nel 2013 abbia messo in questione l’eredità critica del pensiero filosofico francese.
Osservando la torsione degli argomenti dello strutturalismo operata dai teorici conservatori, non si può che ripensare al dibattito di Eindhoven (Chomsky vs Foucault) per constatare quanto Foucault avesse ragione:
Le regole a cui ogni singolo si conforma e da cui eventualmente devia – sosteneva – non sono innate, ma prendono corpo nelle pratiche economiche, sociali, politiche.
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Sara Garbagnoli, L’invenzione dell'”ideologia del genere”
Una sintesi dell’articolo di Sara Garbagnoli, dottoranda presso il Centre de Sociologie Européenne dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales (Paris) sulla creazione e l’etichettamento della teoria del genere. La studiosa spiega come l’«ideologia del genere» sia la caricatura delle ricerche prodotte nell’ambito degli studi di genere che rende invisibile l’approccio genetico strutturalista che li caratterizza: «lungi dal sostenere che ciascuno può scegliere la sua identità o il suo orientamento sessuale, tali studi indagano il funzionamento dell’ordine sessuale e delle gerarchizzazioni che lo definiscono. Storicamente costruito, l’ordine sessuale è, infatti, solidamente naturalizzato attraverso un sistema di strutture sociali che iscrivono le norme che lo caratterizzano nelle categorie mentali, nelle categorie istituzionali e nelle divisioni del mondo sociale come fossero un fatto di natura».
Pubblicato in About Gender, vol. 3, 6, 2014, pp. 250-263. In coda un’intervista alla studiosa che sintetizza efficacemente i temi della sua ricerca.
Per una ricognizione completa del tema, anche nei suoi risvolti pedagogici, si veda anche La Ricerca (Loescher), Dicembre 2015, II, n. 9, pp. 76.
1. L’«ideologia del genere»?
L’«ideologia del genere» sconosciuta e misteriosa come il Carneade di manzoniana memoria? Sì, se si considera che pochi ancora sanno che l’espressione è stata coniata all’inizio degli anni 2000 in alcuni testi redatti sotto l’egida del Pontificio Consiglio per la Famiglia con l’intento di etichettare, deformare e delegittimare quanto prodotto nel campo degli studi di genere. No, se si osserva la diffusione virale che tale sintagma ha conosciuto (restando assai nebuloso nel suo significato) da almeno due anni a questa parte, a partire dal momento in cui il suo impiego è migrato dai testi vaticani per diventare parte degli slogan scanditi da migliaia di manifestanti mobilitatisi (in Francia e in Italia, soprattutto) contro l’adozione di riforme giuridiche miranti alla riduzione delle discriminazioni subite dalle persone non-eterosessuali (matrimonio tra persone dello stesso sesso, riconoscimento dell’omogenitorialità, legge di contrasto alle violenze omotransfobiche).
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