Il mondo della scuola lo ha detto in tutti i modi: la vera differenza tra il centro-destra e il centro-sinistra, sulla scuola, non era sui contenuti, ma sulle forme. Privatizzazione e svalorizzazione della scuola pubblica, taglio dei posti di lavoro, uso spregiudicato di dati pseudo-oggettivi (Ocse) che attesterebbero l’arretratezza della scuola italiana e l’eccessivo numero di insegnanti, con conseguente spreco di risorse, devozione al culto della valutazione (test Invalsi), supina acquiescenza ai desiderata d’Oltretevere (fondi alle scuole private). Bastava aver sfogliato il Quaderno bianco sulla scuola redatto dal ministro Fioroni, ma soprattutto dal viceministro Mariangela Bastico nel 2007, ai tempi del governo Prodi, che proponeva un taglio di 56.000 posti di lavoro in 5 anni, fornendo utili suggerimenti ben graditi al successivo ministro Gelmini [1].>
La differenza stava nel metodo: il centro-sinistra mascherava la svendita del settore scuola alla Margherita, cioè ai cattolici del PD, con una retorica ipocrita di difesa della scuola pubblica, il centro-destra non aveva timore di usare la clava e il machete in un settore considerato (a giusta ragione, dal punto di vista del PdL e della Lega) un nemico da abbattere.
La vicenda del ddl 953, già noto come “legge-Aprea”, e poi rinominato, dopo il dislocamento di Valentina Aprea alla regione Lombardia e il cambio di governo, “legge Ghizzoni-Aprea”, è emblematica: fingendo di opporsi alla trasformazione delle scuole in fondazioni, Manuela Ghizzoni aveva riscritto la legge creando di fatto le premesse giuridiche per la futura trasformazione delle scuole in fondazioni attraverso l’ingresso nell’amministrazione scolastica di fondi e soggetti privati, il depotenziamento degli organi collegiali (col Consiglio d’Istituto trasformato in un consiglio d’amministrazione) e delle rappresentanze dei docenti e dei lavoratori A.T.A., e il rafforzamento dei poteri dei dirigenti scolastici già posto in essere dalla riforma-Brunetta del 2009 (dlgs 150/09).
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