23 Novembre, 2013
by gabriella
Traggo dal blog di Mauro Poggi la traduzione di Four Fallacies Of The Second Great Depression in cui l’economista Robert Skidelsky elenca per il Social Europe Journal i più significativi luoghi comuni con cui i politici tentano di rendere plausibili misure di dubbia efficacia e produrre il T.I.N.A. (There Is No Alternative) effect.
Dal 2008 si è prodotta una copiosa messe di fallacie economiche riciclate, la maggior parte delle quali espresse da leader politici. Quelle che seguono sono le mie preferite.
La casalinga sveva [l’equivalente tedesca della massaia di Voghera]
Dopo il collasso della Lehman Brothers nel 2008, la cancelliera Angela Merkel disse:
Si sarebbe potuto semplicemente chiedere alla casalinga sveva. Lei ci avrebbe detto che non si può vivere al di sopra dei propri mezzi.
Questa logica apparentemente sensata è alla base delle politiche di austerità. Il problema è che essa ignora l’effetto della frugalità della casalinga sulla domanda. Se tutte le casalinghe frenano i loro acquisti, i consumi totali crollano, e altrettanto le offerte di lavoro. Se il marito della casalinga perde il proprio impiego, la casalinga starà peggio di prima. Il caso generale di questa fallacia si chiama “fallacia di composizione”: ciò che è ragionevole a livello individuale, non è detto che lo sia a livello collettivo. Il caso particolare è stato individuato da Keynes come “paradosso della parsimonia”: se ognuno cerca di risparmiare di più durante una recessione, la domanda aggregata cade abbassando il risparmio totale, a causa della diminuzione dei consumi e della crescita.
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18 Aprile, 2012
by gabriella
di Emilio Carnevali
Contro la stupidità anche gli dèi sono impotenti
John M. Keynes
Nella copiosa letteratura sulla crisi fiorita negli ultimi tempi il libro di Mario Pianta – “Nove su dieci. Perché stiamo (quasi) tutti peggio di 10 anni fa” – ha il merito di collocarsi su un angolo visuale di più ampio raggio: quali sono le cause profonde del declino italiano? Perché su di noi la crisi ha avuto conseguenze peggiori che negli altri paesi europei? Come uscirne?
La precipitosa caduta dai “cieli azzurri” berlusconiani della quale il nostro Paese è stato recentemente protagonista ha lasciato dietro di sé una scia. Le sue origini si perdono nella fantasmagoria del “nuovo miracolo italiano” promesso all’inizio del millennio dall’“imprenditore prestato alla politica” (ed evocato anche dall’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio). Il suo ultimo tratto, però, è ancora ben visibile ad occhio nudo e può essere a sua volta suddiviso in segmenti più piccoli, come gradini di una discesa sempre più rapida e rovinosa: dalla negazione più risoluta della crisi siamo passati all’ormai famoso
«fattore psicologico» tirato in ballo per dare ragione della vendetta che l’economia reale si stava prendendo sugli slogan politico-pubblicitari. Quando poi non è stato più possibile negare l’evidenza è cominciato il mantra della crisi che c’è,
«ma noi ce la stiamo cavando meglio di tutti gli altri»; oppure della crisi che c’è,
«ma il governo ha risposto senza mettere le mani nelle tasche degli italiani».
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15 Marzo, 2012
by gabriella
Il 6 marzo 2012, la Camera ha approvato in seconda lettura, il disegno di legge che introduce il vincolo del pareggio di bilancio nella Costituzione italiana. La nuova normativa prevede l’equilibrio tra entrate e uscite anno per anno, contraddicendo così uno degli elementi cardini dell’economia keynesiana, ovvero il raggiungimento dell’equilibrio in un intero ciclo economico. Fa un passo avanti decisivo, quindi, la costruzione di quella “Europa tedesca” voluta dal nuovo patto fiscale, promosso dalla cancelliera Merkel, sulla base di una errata analisi della crisi europea, tutta concentrata sull’ipotesi che essa sia dovuta alla “prodigalità” dei paesi periferici (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). Abbiamo invece visto che tale ipotesi è contraddetta dai fatti, come si ostinano a sottolineare molti economisti.
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