Posts tagged ‘licenziamento’

2 Aprile, 2012

Che cos’è l’art.18

by gabriella

Nel testo in discussione al Senato su cui Renzi si appresta a chiedere domani la fiducia, la modifica di tre articoli chiave dello Statuto dei lavoratori: l’articolo 18 che disciplina i licenziamenti illegittimi, l’articolo 4 che stabilisce il divieto delle tecniche di controllo a distanza dei lavoratori con telecamere e altre apparecchiature, e l’articolo 13 che tutela il lavoratore contro il demansionamento.

L’art. 18 è la norma dello Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300) grazie alla quale il giudice può dichiarare inefficare o annullare il licenziamento disposto senza giusta causa o giustificato motivo. Questo articolo dello Statuto permette quindi il reintegro e il risarcimento del danno al lavoratore – impiegato in un’impresa con più di quindici dipendenti – che dimostri in giudizio l’assenza di un motivo legittimo a monte dell’interruzione del proprio rapporto di lavoro.

Lo Statuto dei lavoratori è uno dei risultati della stagione di scioperi e agitazioni sociali nota come autunno caldo, sviluppatasi nelle fabbriche del nord a partire dall’autunno 1969 e strettamente legata al clima politico del ’68, nel quale avevano trovato sintesi le rivendicazioni salariali di ampi strati del movimento operaio (in particolare, della categoria dei metalmeccanici) e le agitazioni studentesche per l’effettività del diritto allo studio.

I primi tentativi di revisione e riduzione delle tutele dell’art. 18 datano dalla metà degli anni ’90 (gli anni ’80 conobbero invece diversi tentativi falliti di estensione dei diritti del lavoro) quando dal mondo industriale si leva la richiesta di maggiore flessibilità del mercato del lavoro, accolta in particolare dal Pacchetto Treu. Nel 2000, un fallito referendum promosso dal partito Radicale punta alla sua abolizione, mentre tre anni dopo, nel 2003, un nuovo referendum tenterà di estenderlo a tutti i lavoratori. Nemmeno quest’ultimo referendum raggiungerà il quorum (cioè la validità data dall’espressione di voto di almeno il 50% degli aventi diritto) anche grazie alla massiccia campagna per l’astensione che invitava gli italiani ad “andare al mare” quella domenica.

Il governo Monti ha riproposto la soppressione del reintegro e il livellamento delle tutele del lavoro sulle condizioni contrattuali peggiori – orari flessibili, bassi salari, abbassamento delle tutele del lavoro – così da attirare capitale di rischio in Italia e aumentare gli investimenti stranieri alle condizioni già conosciute da paesi come la Thailandia, il Cile e l’Argentina le cui conseguenze sono consultabili nei libri di storia.

E’ stato infine il governo Renzi (PD) ad approvare il Job Act che sopprime il diritto di reintegro per il licenziamento senza giusta causa (art.18), sostituendolo con una compensazione in denaro, oltre a permettere il demansionamento e il controllo a distanza dei lavoratori.

22 Dicembre, 2011

Carlo Galli, Licenziamento

by gabriella

La Parola

Licenziamento

(dall’it. licenza, a sua volta dal lat. licet, è lecito). L’atto con cui si dà licenza  –  ovvero la facoltà e il permesso  –  a qualcuno di andarsene, o lo si rimuove d’autorità da un incarico. Negli ambiti economico-giuridico e politico-sociale il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro allontana un dipendente dall’impiego, rescindendo unilateralmente il contratto di lavoro.

Nel licenziamento si scontrano due diritti, due libertà: la libertà di mettere in libertà, di  allontanare, e la libertà di lavorare in serenità e senza minacce. Ovvero, da una parte c’è il diritto al lavoro del cittadino, sancito dagli articoli 1 e 4 della Costituzione, che implica anche il diritto alla stabilità del reddito da lavoro, come fonte di sostentamento del lavoratore e della sua famiglia; dall’altro c’è il diritto del datore di lavoro e della sua impresa di impiegare al meglio la forza lavoro, dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo.  Fra questi due diritti  –  che, portati all’estremo, prevederebbero il primo la piena e totale garanzia pubblica della intangibilità del posto di lavoro come diritto soggettivo, e il secondo la insindacabile licenziabilità del dipendente  in qualsivoglia circostanza, sulla base del diritto privato che tutela la proprietà del datore di lavoro  –  gli ordinamenti giuridici istituiscono mediazioni e compromessi, che individuano punti di equilibrio a loro volta collegati alle circostanze storiche, ai cicli economici, ai rapporti di forza che attraversano la società, nonché alla qualità specifica del datore di lavoro (ad esempio, lo Stato tradizionalmente tutela i propri dipendenti dal licenziamento molto più dei datori di lavoro privati).

In Italia si è così passati dall’articolo 18 dello “Statuto dei Lavoratori” (1970), che vieta il licenziamento se non per giusta causa e che conferisce centralità e discrezionalità al giudice del lavoro, il quale in caso di licenziamento ingiustificato può disporre la reintegrazione del lavoratore, al “Collegato lavoro” (2010) che tra l’altro riforma la disciplina del licenziamento individuale, in modalità meno favorevoli ai  lavoratori. Fra le due norme sono passati quarant’anni, durante i quali le ragioni dell’economia di mercato capitalistica hanno progressivamente prevalso su quelle del lavoro dipendente e della sicurezza sociale. Oggi si cerca di contemperare le esigenze di flessibilità del lavoro con quelle della sicurezza individuale e collettiva, combinandole variamente (ad esempio, garantendo la sicurezza del lavoro ma non di uno specifico posto di lavoro), ma la crisi sistemica del capitalismo e la recessione europea generano il diffuso timore che rendere più facili i licenziamenti eliminando il concetto di giusta causa non serva a  favorire il dinamismo delle imprese e la ripresa economica, ma solo a dare un segnale anche simbolico dell’impotenza attuale del lavoro rispetto al capitale.

http://www.repubblica.it/rubriche/la-parola/2011/12/22/news/licenziamento-27071556/?ref=HREA-1


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