9 maggio 1978, assassinio di Peppino Impastato
Lavoriamo per mantenere gli italiani: “Ci sfruttano e poi ci sparano”
Il meccanismo di estrazione di valore dal lavoro dei braccianti non passa per il solo sfruttamento del caporalato, ma da un circuito di creazione del reddito che parte dai fondi comunitari, passa per l’assegno disoccupazione ai lavoratori stranieri e alimenta il welfare ‘ndranghetista. Di Giuliano Foschini per Repubblica del 5 giugno 2018.
San Ferdinando. La “pacchia” evocata dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini, la spiega nei particolari Samba, 25 anni, maliano.
«Due ore ad andare e due ore a tornare con questa»,
abbozza il primo sorriso della giornata, indicando una vecchia bicicletta.
«Cinquanta centesimi a cassa, 25 euro al giorno, anche 30. Ho pagato 150 euro perla baracca, sto qui da dieci mesi. Lavoro nove ore al giorno, ho i documenti, aspetto di avere l’asilo».
Samba è amico di Soumayla Sacko, anzi «fratello», dice battendo forte con la sua mano destra sul cuore, sotto il Municipio di San Ferdinando.
Samba raccoglie cipolle per un signore italiano. E nella piazza di Gioia Tauro lui – come Sambou, Moussa e gli altri ragazzi qui attorno – sono il tesoretto per il reddito di cittadinanza che la’ndrangheta da tempo ha istituito nella zona.
Funziona così, come spiega un Ufficiale della Guardia di Finanza:
«La ‘ndrangheta individua i terreni e chiede il finanziamento all’Europa. Li incassa. Dopodiché finge di assumere braccianti: non li paga ma versa loro i contributi in modo tale che dopo 50 giornate scatti il diritto ad ottenere la disoccupazione. Il resto delle giornate i finti braccianti le passano in malattia. In questa maniera la ‘ndrangheta incassa i fondi dall’Europa e il consenso sul territorio, stipendiando migliaia di persone senza farle lavorare».
Per rendere l’idea: negli ultimi dodici mesi a Reggio il Comando Provinciale ha scoperto 1.833 falsi braccianti che hanno incassato indebitamente 11 milioni di euro dall’INPS, che a sua volta ha versato indebitamente 9 milioni e mezzo alle aziende. Sono 20 milioni e mezzo di euro in un anno, soltanto i questa provincia, rubati nelle campagne allo Stato. Perché tanto a lavorare ci pensa Samba. Ci pensava Soumayla.
«È morto un fratello, viviamo da schiavi e il problema siamo noi»
ripetevano ieri mattina in corteo. E dunque i lavoratori scioperano e poco importa se per strada gli automobilisti li insultavano:
«Andate a lavorare!»,
urlavano nelle strade di una città che negli ultimi anni ha avuto tre scioglimenti per mafia.
«Chissà se hanno lavorato mai quanto questi ragazzi»,
Il pentimento e i pentiti
Dibattito sul pentimento e sui collaboratori di giustizia a Fahrenheit con Anna Vinci, autrice de La mafia non lascia tempo (Rizzoli) autobiografia di Gaspare Mutolo, con il teologo Vito Mancuso e con Paolo Zanetov autore (con Paolo Sidoni) di Pentiti. Dalla Banda della Magliana alle Brigate Rosse (Newton Compton).
10 marzo 1948, assassinio di Placido Rizzotto
Placido Rizzotto era un giovane contadino che, nell’immediato dopoguerra, dopo aver combattuto la guerra partigiana, scelse la via dell’impegno sindacale nella sua città natale, Corleone.
Una città che in quel periodo vedeva tante famiglie di contadini ridotte alla fame dalla prepotenza dei mafiosi e degli agrari. Ogni mattina, nella piazza centrale, si ripeteva il triste rito della designazione di coloro che sarebbero stati ammessi al lavoro: da un lato i contadini con il cappello in mano, dall’altro i campieri e i gabbeloti che li chiamavano ad uno ad uno, escludendo tutti quelli che avevano avuto il coraggio di chiedere il rispetto dei propri diritti di uomini e lavoratori.
Placido si ribella a questo stato di cose. Inizia a costituire delle cooperative e guida il movimento contadino per l‘occupazione delle terre incolte, dando una possibilità di riscatto a se stesso e ai suoi compagni. Fu il padrino locale, Luciano Liggio, inquieto per le iniziative sempre più incisive di Placido, a farlo assassinare il 10 marzo 1948 in un’imboscata nelle campagne corleonesi. Aveva 34 anni.
Nel video seguente, la sua storia raccontata da Pippo Fava nell’ultima intervista rilasciata prima di essere, a sua volta, ucciso [la versione integrale qui e qui].
Nel 2009 il ritrovamento dei resti in una foiba di Roccabusambra, a Corleone, accanto a una cintura e a una moneta di 10 centesimi coniata negli anni Venti. Ieri (9 marzo 2012), a 64 anni dalla sua scomparsa, la polizia scientifica di Palermo è riuscita ad attribuire il frammento di una tibia al segretario della Camera del lavoro di Corleone, scomparso nel 1948.
Commenti recenti