
Platone (328-27 – 348-7)
Placido Rizzotto era un giovane contadino che dopo aver visto la seconda guerra mondiale e aver combattuto la guerra partigiana, si era messo alla testa delle rivolte contadine per l’occupazione delle terre incolte a Corleone, in Sicilia.
Placido combatteva contro l’ingiustizia millenaria dei feudatari e dei loro squadristi che ogni mattina, sulla piazza del paese, chiamavano i lavoratori a giornata ad uno ad uno, escludendo quelli che avevano alzato la testa e non avevano mostrato rispetto.
Portato via sulla piazza del paese il 10 marzo 1948, senza che nessuno osasse uscire a difenderlo, fu gettato, forse ancora vivo, in un dirupo inaccessibile a Roccabusambra, poco fuori Corleone.
Aveva appena tenuto un discorso memorabile alla Camera del Lavoro, nel quale aveva spiegato ai braccianti che lo ascoltavano che il nemico da combattere non erano il padrone o la mafia, ma la paura e l’ignoranza che cementano un potere ingiusto.
Quando le sue ossa sono state ritrovate, 64 anni dopo la sua scomparsa, il 9 marzo 2012, avevo la radio accesa e scrivevo il testo di una lezione introduttiva su Platone.
Sentendo leggere passi del suo ultimo discorso, mi sono accorta che Placido aveva capito, senza aver mai letto un dialogo platonico, il problema di “pensare la città giusta” e usava proprio le stesse parole di quell’uomo vissuto duemilacinquecento anni prima, per spiegare ai suoi compagni che l’ignoranza e la paura sono ciò che tiene in piedi l’ingiustizia.
Per questo la lezione introduttiva su Platone contiene un frammento di quel discorso [dal minuto 3:34]:
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