Su segnalazione di Chiara (3F), sono andata a vedere la presentazione della mostra dedicata dalla Casa della memoria di Roma alla reclusione femminile in manicomio sotto il fascismo. La mostra è aperta fino al 18 novembre.
[…] i volti di figlie, madri, mogli, spose, amanti vissute durante il Ventennio sono affiancati, in mostra, a diari, lettere, relazioni mediche che raccontano la femminilità a partire dalla descrizione di corpi inceppati e restituiscono l’insieme di pregiudizi che hanno alimentato storicamente la devianza femminile.
Il regime esasperò l’ambito dell’emarginazione e della devianza femminile trasformando i manicomi in luoghi di controllo e repressione dove venivano rinchiuse anche donne non malate, bensì solo riottose ad adeguarsi alle logiche socio-familiari di puro stampo fascista.
L’idea della mostra è nata dalla volontà di restituire voce e umanità alle tante recluse che furono estromesse e marginalizzate dalla società dell’epoca. Spiegano i curatori Annacarla Valeriano e Costantino Di Sante:
“Ci è sembrato importante raccontare le storie di queste donne a partire dai loro volti, dalle loro espressioni, dai loro sguardi in cui sembrano quasi annullarsi le smemoratezze e le rimozioni che le hanno relegate in una dimensione di silenzio e oblio. Alle immagini sono state affiancate le parole: quelle dei medici, che ne rappresentarono anomalie ed esuberanze, ma anche le parole lasciate dalle stesse protagoniste dell’esperienza di internamento nelle lettere che scrissero a casa e che, censurate, sono rimaste nelle cartelle cliniche”.
Il manicomio, in questo senso, è stato un osservatorio privilegiato di analisi dei modelli culturali – di matrice positivista – che hanno storicamente contribuito a costruire la devianza femminile e che durante il Ventennio furono ideologicamente piegati alle esigenze del regime. Il lavoro di ricerca e di valorizzazione condotto su questi materiali ha permesso così di recuperare una parte fondamentale della nostra memoria e di restituirla alla collettività.
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