12 Novembre, 2013
by gabriella
Oltre il Leviatano 1. Hannah Arendt, potere, relazione, azione
Una nuova visione della politica
“Il potere scaturisce fra gli uomini quando agiscono assieme, e svanisce appena si disperdono” scrive Hannah Arendt in Vita activa (p. 147, edizione citata in bibliografia). Questa breve citazione è forse già sufficiente a spiegare la presenza di Arendt fra gli autori che hanno sperimentato, nella seconda metà del Novecento, nuovi modelli di pensiero politico. Il potere non è qui un comando proveniente dall’alto, ma un’attività generata dal basso, qualcosa che gli uomini fanno nascere agendo insieme. Ci troviamo di fronte a un pensiero che fonda la politica su elementi assai diversi da ogni precedente tradizione e afferma che la natura del politico può essere compresa solo ponendola in rapporto con la pluralità concreta degli uomini, con la loro capacità di stabilire relazioni, con le parole e le azioni che fanno apparire nel mondo qualcosa di nuovo. L’universo del Leviathan, fatto di obbedienza, rinuncia, autorità e gerarchia sembra quanto mai lontano.
Uno dei testi in cui questa impostazione si sviluppa è Vita activa (The human condition, 1958).
Vita activa
Nel termine ‘vita activa’ Arendt riassume le tre attività umane fondamentali: il lavoro, l’opera e l’azione. Il lavoro è l’attività che produce i mezzi necessari a mantenere e riprodurre la vita. Il rapporto tra lavoro e vita è però di tipo ciclico: lavorare produce ciò che permette di vivere, ma una volta riprodottasi, la vita è nuovamente pronta al lavoro. La causa del processo ciclico risiede nel metabolismo dei processi vitali, che obbliga gli uomini a una continua attività il cui unico scopo è quello di alimentare un processo biologico che non può essere interrotto. In ultima analisi, il movimento logorante, ripetitivo e senza fine del lavoro dipende dal fatto che gli uomini hanno un corpo:
“il corpo umano, nonostante la sua attività, è anche ripiegato su se stesso, non si concentra su nient’altro che sul suo essere vivo, e rimane imprigionato nel suo metabolismo” (Vita activa, p. 81).
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20 Giugno, 2013
by gabriella
Raggiungere l’immortalità è l’apice del potere.
Michel Foucault
Prologo
Come ben sanno coloro che studiano la sua opera a partire dagli specialismi di una disciplina (ad esempio provenendo dai recinti della germanistica, della filosofia politica, dell’antropologia o della sociologia), Elias Canetti non si lascia facilmente etichettare o imprigionare: la difficoltà principale incontrata dal lettore smaliziato, sia che prenda in esame la produzione narrativa – Auto da fé e l’autobiografia –, sia che s’immerga nel freddo mare degli aforismi e dei saggi [2] o nei sofisticati giochi del suo teatro[3], sia, infine, che s’inoltri nella prismatica mole di Massa e potere[4], consiste nel dover immediatamente rinunciare tanto al proprio lessico concettuale, quanto ad ogni velleità d’interpretazione unitaria ed esaustiva. E questo non perché un’interpretazione non sia possibile, ma perché essa diventa tale solo a patto di non sovrapporre ai testi canettiani la miope gabbia definitoria di un singolo ‘campo’ accademico: solo una sorta di libertà trasversale consente agli specialisti di leggere Canetti senza rimpicciolirsi, ovvero senza pagare un prezzo alla sciocca pretesa di ridurlo a se stessi.
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19 Giugno, 2013
by gabriella
La positività della massa in Elias Canetti [tratto da I barbari]
Canetti esplora un mondo che a noi moderni può apparire al rovescio giacché abbiamo concepito l’individuo come portatore di ordine, razionalità e progresso al contrario delle masse sempre viste come irrazionali e regressive. Questa prospettiva è completamente ribaltata dal filosofo che vede la massa come l’unico luogo in cui si concretizza la vera uguaglianza e l’umanità stessa. Canetti anziché il “singolo” ha come rifeimento la “specie” e quindi non è l’individuo che forma la massa ma l’esatto contrario. Individuo e Potere quindi diventano sinonimi facendo acquisire così il significato di male assoluto al potere. Solo fondendosi nella massa l’individuo riesce a spossessarsi del suo “IO” e cancellare la paura ancestrale di essere “toccato”, il grumo in cui si alligna il potere stesso creando distanza fra gli esseri umani.
Sconcerta la lettura di questo libro in cui apparentemente Canetti usa un metodo anarchico per sondare l’alchimia delle masse; preferendo affidarsi alle immagini, ai simboli, alle narrazioni, l’autore zigzaga tra i vari saperi che spaziano dalla sociologia alla antropologia, dalla psicologia alla mitologia, dalla storia alla filosofia alla etologia. Si analizzano aggregati dell’umano sentire come la pioggia, il vento, il mare, la sabbia,le feste le epidemie e da qui ricavarne assunti per approdare alla validità della massa sull’individuo.
E’ vero, questo è un lavoro che ha assillato l’autore per oltre trent’anni elaborando un’ossessione nata in gioventù all’età di 17 anni quando al giovane Canetti studente a Francoforte nel 1922 capita di assistere a una manifestazione di protesta contro l’assassinio di Walter Rathenau (ministro della repubblica di Weimar) grande intellettuale liberal-progressista ebreo, ammazzato da sicari dell’estrema destra. Quella fiumana di persone che protestano sprigiona in Canetti un magnetismo che mai più lo abbandonerà:
“Mi sarebbe piaciuto essere uno di loro, non ero un operaio, eppure quelle grida mi toccavano come se lo fossi. Il ricordo di quella manifestazione rimase vivissimo in me. Non riuscivo a dimenticare l’attrazione fisica, il violento desiderio di partecipare”.
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16 Gennaio, 2013
by gabriella
Quale può essere il senso di tradurre e pubblicare in Italia oggi Della compattezza. Architetture e totalitarismi (traduzione Giacomo Raccis, Jaca Book 2012, pp. 73, euro 9), il saggio che il filosofo Miguel Abensour licenziò in Francia nel 1997 in aperta polemica con la riabilitazione in chiave culturale di Albert Speer, operata dal belga Léon Krier autore di una monografia sull’architetto del Führer?
La ragione principale potrebbe essere nel fatto che Della compattezza, delineando lo statuto tutt’altro che neutro dell’architettura all’interno di quella forma inedita di governo che fu il totalitarismo nazista, invita a riflettere sui meccanismi del consenso e su quelli della cancellazione di spirito critico non solo nel singolo bensì nelle masse. Un fenomeno che a ben pensarci ci tocca da vicino, anche se con altri mezzi. Siamo più di sette miliardi sul pianeta connessi da reti di scambio e di comunicazione, da interessi che scavalcano di molto i confini nazionali e i popoli, di fatto siamo oggi più che mai massa nell’accezione che Elias Canetti ha dato al termine nel saggio Massa e potere (1960).
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