Traggo da Le parole e le cose questa pregevole ricognizione del pensiero di Jameson e della periodizzazione legata al concetto di postmoderno. In coda, Tardo capitalismo e globalizzazione di Paolo Rabissi, uscito sul numero 5 di OverLeft.
Nel secondo dopoguerra, il marxismo ha occupato un ruolo importante nel campo della cultura politica europea, soprattutto in Italia, Germania e Francia. Ma è solo a partire dagli anni Sessanta che la sua influenza travalica gli argini tradizionali della sua trasmissione (partiti comunisti e socialisti; sindacati e dissidenze intellettuali) per radicarsi come stile di pensiero egemonico nell’inedita politicizzazione di massa del decennio ’68/’77. Tutto cambia però, e molto rapidamente, con la fine degli anni Settanta: una serie di cause concomitanti (cito in ordine sparso: la sconfitta politica del lavoro, l’esasperazione dei conflitti sociali, l’uso della forza militare dello Stato conto i movimenti, una profonda ristrutturazione economica, la rivoluzione cibernetica, il nuovo dominio della finanza anglo-americana) modifica non solo l’orizzonte politico comune, ma, in profondità, le forme elementari della vita quotidiana. In pochi anni, tutta una serie di nodi teorici (giustizia sociale, conflitto di classe, redistribuzione di ricchezza, industria culturale, egemonia etc…) escono di fatto dal dominio del pensabile; e in questa mutazione occidentale il marxismo, come forma plausibile dell’agire politico di massa, semplicemente scompare. Sopravviverà contro se stesso come teoria pura, protetta in alcune riviste internazionali prestigiose (New Left Review; Monthly Review; Le Monde Diplomatique), in un eccentrico quotidiano italiano (Il Manifesto) e in alcuni i fortilizi accademici minoritari, per lo più americani (come per esempio Duke, CUNY e New School).
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