Giacomo Fronzi, Bellezza e città. Osservazioni sul rapporto tra estetica ed etica negli spazi urbani
Dal Rasoio di Occam, una riflessione sul rapporto tra estetica ed etica, bellezza-comunità nella struttura della città.
In apertura di una conferenza intitolata La pratica della bellezza, James Hillman lamenta il fatto che generalmente parlare di “bello” e di “bellezza” in filosofia ha significato per troppo tempo, e in maniera piuttosto retorica, riferirsi a una dimensione ideale, elevata, così elevata da rendere la discussione su questi temi «noiosa, ottundente, narcotizzante». Molto più interessante potrebbe essere, quindi, parlare di bellezza come «pratica», soprattutto in un momento storico (eravamo all’inizio degli anni Novanta) in cui – sostiene Hillman – il represso non è ciò che abitualmente si immagina (la violenza, la misoginia, la sessualità, l’infanzia, le emozioni, i sentimenti, lo spirito), ma la bellezza[1]. Questa idea di repressione della bellezza sollecita l’esercizio della ricerca dei luoghi in cui tale repressione sembra essere più vistosa, più profonda, più radicale. Lo spettro è decisamente ampio, ma credo che uno dei contesti in cui la repressione della bellezza ha provocato conseguenze radicali sul piano pratico, della qualità della vita e, in definitiva, etico sia la città. Procedere in questo senso, tuttavia, comporta un ripensamento critico del profilo della città, delle sue modalità di sviluppo, delle sue profondità, della sua anima, partendo dall’idea che essa sia il prodotto visibile (la «parvenza sensibile», si direbbe hegelianamente) di un’idea architettonica e urbanistica. Ciò significa collocare tali due dimensioni tecnico-pratiche lungo la linea di confine tra l’estetica e l’etica, tra pratiche della bellezza e modalità d’esistenza, tra stili espressivi e stili di vita. In questo quadro, componenti estetiche, etiche, politiche, sociali e funzionali si intrecciano, acquistando un senso complessivo del tutto nuovo.
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