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Tito Lucrezio Caro (94 a.C. – 50 a. C.)
Tito Lucrezio Caro (94 a.C. – 50 a. C.)
Nella Leggenda aurea, Jacopo da Varagine racconta che nel secolo delle persecuzioni ordinate dall’imperatore Domiziano avvenne a Lutetia un miracolo. L’esercito romano arrestò Dionigi, eletto vescovo dai primi cristiani di Parigi. Incarcerato, poi torturato nell’isola della Cité, fu condannato a essere decapitato sulla sommità di una collina che si chiamerà Montmarme. La soldataglia sfaticata rinuncia a salire fino in cima ed esegue la condanna a metà, strada. La testa del vescovo rotola a terra. Orrore! Decapitato, Dionigi si alza, raccoglie la testa e, tenendola in mano, continua a salire la china. Miracolo! I legionari fuggono terrorizzati. Jacopo da Veragine aggiunge che Dionigi fece una sosta per lavare la testa a una sorgente e proseguì il cammino fino all’attuale chiesa di Saint-Denis. Ed eccolo canonizzato.
Nel ventiseiesimo capitolo del primo libro dei Saggi, Michel de Montaigne scriveva:
«Non c’è ragazzo delle classi medie che non possa dirsi più sapiente di me, che non so nemmeno quanto basta a interrogarlo sulla sua prima lezione».
Che cosa accadrebbe, si chiedeva Montaigne, se a quella lezione si fosse in qualche modo costretti? Non ci si troverebbe – «assai scioccamente», puntualizzava – vincolati a una costrizione ancora più grande? Non saremmo costretti a servirci di «qualche argomento di discorso più generale, in base al quale esaminare l’ingegno naturale dei ragazzi: lezione sconosciuta tanto a loro quanto a me»?
Il saggio che Montaigne pone al centro della sua idea di educazione è ricordato soprattutto per un’altra affermazione, che ha assunto il ruolo di massima e come ogni massima ha subito il non sempre fausto destino di essere più citata, che compresa. Montaigne affermava, infatti, che è meglio una testa ben fatta, che una testa ben piena.
Parlando di «tête bien faite» e contrapponendola alla «tête bien pleine» intendeva riferirsi prima di tutti al precettore, all’insegnante e, per estensione, anche al ragazzo che dovrebbe essere assecondato nel desiderio. Altrimenti, scrive, concludendo la propria dissertazione, «non si fanno che asini carichi di libri». Ma che cos’è un «asino carico di libri»?
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