Posts tagged ‘Michelstaedter’

17 Ottobre, 2015

Carlo Michelstaedter, Il peso. Dialogo della salute

by gabriella
Carlo Michelstaedter (1887 - 1910)

Carlo Michelstaedter (1887 – 1910)

Goriziano, poeta e straordinario disegnatore, Carlo Michelstaedter si iscrisse alla facoltà di filosofia di Firenze, dopo aver scartato gli studi di matematica verso i quali si era orientato in un primo momento. Là preparò la tesi di laurea sui concetti platonici di persuasione e rettorica, senza trovare il coraggio di discuterla, immaginando che una discussione autentica, priva dei riferimenti di circostanza – sebbene il testo si confrontasse in greco con i classici – non avrebbe potuto essere accettata. Si uccise a ventitré anni, dopo aver completato La persuasione e la rettorica [Milano, Adelphi, 1982].

Al suo lavoro ho dedicato la tesi di laurea. Durante la preparazione passai alcuni giorni alla Biblioteca Statale Isontina di Gorizia per consultare i suoi inediti e dopo la laurea presi il passaporto per passare il confine sloveno e andare a trovare la sua tomba, ora a Nova Goriza. Là, nessuno sapeva indicarmi dove fosse il cimitero Rožna dolina finché, gettando lo sguardo giù dal ponte che stavo attraversando vidi delle pietre bianche spezzate tra due alti cipressi. Mi ricordai allora che il padre di Carlo aveva piantato quei due alberi sulle tombe dei figli, morti a breve distanza l’uno dall’altro, ad indicare le vette spirituali raggiunte da loro in vita.

rozna dolina com'era

Rožna dolina in quel febbraio 1985

Scesi di corsa e saltato il muro, entrai nel cimitero ebraico abbandonato. Trovai la tomba, con la lapide inclinata, in uno spazio libero dalle erbe selvatiche e dai rovi, sotto il cipresso.  Non so se, da allora, qualcosa è stato fatto per ridare alla sua memoria lo spazio che merita.

 

Il peso [il testo introduttivo de La persuasione e la rettorica]

Un peso pende ad un gancio, e per pender soffre che non può scendere: non può uscire dal gancio; poiché quant’è peso pende, e quanto pende dipende. Lo vogliamo soddisfare: lo liberiamo dalla sua dipendenza. Lo lasciamo andare, che sazi la sua fame del più basso, e scenda indipendente fino a che sia contento di scendere. Ma in nessun punto raggiunto fermarsi lo accontenta, e vuole pur scendere, ché il prossimo punto supera in bassezza quello che essa ogni volta tenga.

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10 Marzo, 2013

Paolo di Tarso, L’amore ἀγάπη

by gabriella

Da Studia humanitatis, traggo questo brano paolino sul significato utopico dell’amore che non nasce dal bisogno ma dalla sovrabbondanza, dalla fraternità (ἀγάπη).

Conversione-di-san-Paolo-Caravaggio

Se parlo le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho amore, sono bronzo echeggiante o cembalo risonante. Se ho profezia e conosco tutti i misteri e tutta la conoscenza e se ho tutta la fede così da trasportare i monti, ma non ho amore, sono un nulla. Se impegnassi tutti i miei averi per nutrire i bisognosi e se consegnassi il mio corpo perché io sa bruciato, ma non ho amore, a nulla mi giova. L’amore è longanime, è clemente l’amore, non è invidioso, l’amore non è borioso, non si gonfia d’orgoglio, non compie azioni vergognose, non ricerca il proprio interesse, non si lascia andare all’ira, non tiene conto del male, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della rettitudine. Tutto sostiene, in tutto ha fiducia, tutto spera, tutto sopporta. L’amore non viene mai meno. Invece le profezie saranno abolite, le lingue cesseranno, la conoscenza sarà eliminata. Parzialmente, infatti, conosciamo e parzialmente profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello parziale sarà eliminato.

1 Corinzi, 13

Per descrivere la lingua degli uomini e degli angeli, priva di amore, Paolo usa l’immagine impiegata da Platone per definire i retori, cioè i politici:bronzi sonanti” che continuano a vibrare “fino a che una mano vi si posi sopra” (Protagora, 324); vale a dire parlanti fino a quando chi li muove  – interessi di parte, di precisi segmenti di società – non li fermi  – sono perciò discorsi eterodiretti, senza autonomia -. Le loro sono parole che persuadono senza verità, cioè senza giustizia, nello stesso senso in cui, in Michelstaedter, la“rettorica” sta contro la persuasione.

Nessuna erudizione, nessuna fede, nessuna compassione, valgono un ette senza giustizia- ἀγάπη. I migliori sentimenti umani sorgono infatti quando essa si impone, senza prescrizioni, senza catechismi, senza ammonizioni. Allora essa trionfa, perchè quando la fraternità regna, ogni parzialità (cioè ogni ingiustizia) viene a cadere.

1 Gennaio, 2012

La Spoon River dei grandissimi

by gabriella

Carlo Michelstaedter

Si è detto di lui che si suicidò per ragioni filosofiche, nel 1910, all’età di 23 anni. Il giorno dopo doveva sostenere la sua tesi di laurea in filosofia all’Università di Firenze: la stanchezza, la depressione, la convinzione che nessuno l’avrebbe capito, lo sprofondarono nella vertigine. E’ stato il filosofo della mia giovinezza: la mia tesi di laurea trattava della sua.

 

Vladimir Majakovskij

Orfano a sette anni, con un’infanzia difficile alle spalle, il poeta era stato un appassionato sostenitore della rivoluzione russa e aveva messo la sua arte al servizio di questo ideale. Si suicidò nel 1930, uscendo da una rottura sentimentale. Nella sua lettera di commiato scrisse:

«A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia e’ Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol’dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un’esistenza decorosa, ti ringrazio.[…] Come si dice, l’incidente è chiuso. La barca dell’amore si e’ spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici».

 

Virginia Woolf

Le sue frequenti crisi depressive si erano aggravate con la guerra. Temendo di impazzire, si tolse la vita nel 1941, lasciandosi cadere nel fiume vicino a casa, con le tasche piene di sassi. Lo spiegò al marito con queste parole:

«Sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che chiunque avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se chiunque avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi. V».

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