Paolo Virno, Doppia negazione e variabilità del senso
Originariamente pubblicato nella “Rivista Italiana di Filosofia del linguaggio” (2013) Vol. 7, n. 2, pp. 222-225.
Nel corso di un dialogo malinconico o concitato, una donna dice all’uomo fino ad allora prediletto ‘non è che non ti amo’. Per nulla lusingato, costui coglie al volo due verità filosofiche. La prima è che la doppia negazione non equivale mai all’affermazione di cui sembra fare le veci. Incolmabile è la distanza logica e sentimentale che separa lo spinoso ‘non è che non ti amo’ dal rassicurante ‘ti amo’. Una volta introdotta, la coppia di ‘no’ consecutivi non può essere eliminata mediante la sua traduzione in uno schietto ‘sì’: l’enunciato ‘non (non p)’ ha ormai spostato l’asse del discorso, adombrando un significato ulteriore, eterogeneo e spesso stridente rispetto a quello espresso da ‘p’. La seconda verità filosofica, con cui entra in confidenza l’uomo turbato, è che la negazione di una negazione non descrive alcunché, ma costituisce una azione. Parassitario e superfluo dal punto di vista cognitivo, ‘non è che non ti amo’ ha però un formidabile valore pragmatico. Anziché offrire il resoconto di uno stato di cose già delineato, ne instaura uno nuovo e imprevisto. L’uomo non si domanda se le parole ascoltate corrispondano o meno alla realtà, bensì che cosa stia facendo la donna nel pronunciarle, ovvero quale sia la realtà che proprio il suo speech act produce. Le due verità si implicano a vicenda, così da formare una sorta di circolo. Lo scarto semantico tra ‘non (non p)’ e ‘p’ cessa di essere misterioso soltanto se si riconosce che dire ‘non (non p)’ è una azione; e viceversa, l’azione che si compie dicendo ‘non (non p)’ diventa intelligibile soltanto se si tiene presente l’esistenza di uno scarto semantico tra ‘non (non p)’ e ‘p’.
Paolo Virno, Della capacità di dire come NON stanno le cose
Vale, come sempre, la pena di ascoltare dalla voce di Paolo Virno, cosa significa dire no, prendere le distanze dal presente e in che misura questa capacità è propria di “noialtri, animali linguistici”. Questa imperdibile lezione, dal titolo L’azione innovativa. L’animale umano e la logica del cambiamento, è stata tenuta dal filosofo napoletano il 7 ottobre 2011 alla Fondazione del Collegio San Carlo di Modena.
Di seguito, la trascrizione dei primi dieci minuti audio.
Grazie a voi per la pazienza che avrete nell’ascoltare queste riflessioni sulla difficoltà di dire di no. La difficoltà di dire di no è un bel titolo di un filosofo tedesco, più interessante di Habermas e dunque non tradotto in italiano, che vorrei adottare per queste riflessioni. Io non ho molta confidenza con il termine “utopia”, raramente mi è capitato di usare questa parola, non ho molta confidenza con l’utopia. Questo è uno svantaggio perché con i concetti con cui non si ha confidenza si rischia la goffaggine e l’esitazione, però può essere anche un vantaggio, nel senso di guardare a questo oggetto teorico, l’utopia, con occhi sgombri da un eccesso di letture e di pregiudizi.
Io vi propongo, come nostra morale provvisoria in quest’incontro, di considerare l’utopia – non è l’unica definizione possibile, diciamo pure che non è la migliore – come la possibilità da parte di noialtri, viventi che hanno il linguaggio, di prendere le distanze dal presente. Ossia di essere in qualche modo, non per merito eccezionali, non in virtù di esperienze stravaganti, ma fisiologicamente, per come noi siamo perlopiù, di essere inattuali. Questo vuol dire credo, guadagnare una distanza dal presente, eludere quell’eterno presente che la tradizione vuole essere tipica – chissà se poi è vero o no – di Dio e degli animali non linguistici. Gli animali non linguistici e – ma su questo non saprei cosa dire, anche Dio – non hanno alcuna forma di inattualità, sono perfettamente attuali, il che detto altrimenti, significa che sono racchiusi, incastrati da un eterno presente.
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