Posts tagged ‘negazione’

24 Ottobre, 2024

Hegel

by gabriella
Georg Wilhelm Hegel

Georg Wilhelm Hegel (1770 – 1831)

La filosofia di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 1770 – Berlino, 1831) nasce dall’aspirazione, condivisa con il movimento romantico, di veder conciliate le contraddizioni tra soggetto e oggetto, sentimento e ragione, individuo e società, finito e infinito, umano e divino, termini che la cultura moderna e illuministica aveva invece contrapposto.

Hegel accusa i filosofi moderni e, particolarmente Kant, di restare ancorati alle rigidità dell’intelletto (definirà seccamente il modo di pensare moderno, o kantiano, frutto di un «intelletto tabellesco» Pref. Fenom., pp. 40-41) e mantenere la loro riflessione sul livello astratto della distinzione uomo/natura – per quanto riguarda il piano conoscitivo – e dell’opposizione di essere/dover essere su quello etico, senza cogliere il nesso razionale e necessario che lega i singoli aspetti della realtà.

Hegel sarà infatti il sistematore di quella linea di pensiero che, a partire da Fichte, rifiuta la concezione dogmatica dell’essere, inteso come realtà oggettiva e indipendente dal soggetto e la riconduce all’attività creativa dello spirito.

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24 Marzo, 2016

Paolo Virno, Socialità e negazione dell’altro

by gabriella

2004 / MILAN: PAOLO VIRNO/ PHILOSOPHER / © ARMANDO ROTOLETTI / AG. GRAZIA NERINel saggio seguente, uscito nel 2004 nei nn. 2 e 3 di Forme di vita, Paolo Virno ha esplorato l’anomalia presentata dalla nostra specie, nella quale la naturale socialità, che ha i neuroni mirror per base biologica, coabita con la facoltà linguistica, che ci offre la tragica possibilità di negare il riconoscimento all’altro uomo. Il linguaggio è in grado, infatti, di negare e disconoscere qualunque evidenza percettiva, incluso il riconoscimento della comune umanità. Esso è quindi sia frattura che possibilità di ricomposizione dell’empatia originaria, in questo caso, come premessa della vita associata, può essere, kat’echon, la forza che trattiene (Paolo di Tarso) [titoli, mediatori didattici e incipit sono miei].

L’imperativo categorico [è] di rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole.

Karl Marx, Introduzione alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico

 

Ipotesi 1 [Il noi precede l’io, la base fisiologica della socialità originaria sono i neuroni specchio]

aristotele2

«ὁ ἄνθρωπος φύσει ζῷον πολιτικὸν»: l’uomo è un essere politico

La relazione di un animale umano con i propri simili è assicurata da una “intersoggettività” originaria, che precede la stessa costituzione della mente individuale. Il “noi” è presente prima ancora che si possa parlare di un “io” autocosciente. Su questa basilare correlazione tra conspecifici hanno variamente insistito pensatori come Aristotele, L. Vygotskji (1934), D.W. Winnicott (1971), G. Simondon (1989). Vittorio Gallese, uno degli scopritori dei neuroni mirror, l’ha riformulata in modo particolarmente incisivo, incardinandola a un dispositivo cerebrale. Per sapere che un altro essere umano  soffre o gode, cerca cibo o riparo, sta per aggredirci  o baciarci, non abbiamo bisogno del linguaggio verbale né, tanto meno, di una barocca attribuzioni di intenzioni alla mente altrui. Basta e avanza l’attivazione di un gruppo di neuroni situati nella parte ventrale del lobo ]frontale inferiore.

 

Ipotesi 2 [Permettendoci di negare l’umanità dell’altro, il linguaggio rompe la socialità originaria]

soldato israeliano

ma può negare il riconoscimento della comune umanità

Di questa socialità preliminare, che del resto l’Homo sapiens condivide con altre specie animali, il linguaggio verbale non è affatto una potente cassa di risonanza. Non bisogna credere, cioè, che esso amplifichi e articoli con dovizia di mezzi la simpateticità tra conspecifici già garantita a livello neurale. Il pensiero preposizionale provoca piuttosto una lacerazione in quell’originario co-sentire (l’espressione è di Franco Lo Piparo) cui si deve l’immediata comprensione delle azioni e delle passioni di un altro uomo. Non prolunga linearmente l’empatia neurofisiologica, ma la intralcia e talvolta la sospende. Il linguaggio verbale si distingue dagli altri codici comunicativi, nonché dalle prestazioni cognitive prelinguistiche, perché è in grado di negare qualsivoglia contenuto semantico. Anche l’evidenza percettiva “questo è un uomo” perde la propria incontrovertibilità allorché è soggetta all’opera del “non”. Il linguaggio inocula la negatività nella vita della specie. Animale linguistico è soltanto quello capace di non riconoscere il proprio simile.

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10 Ottobre, 2013

Paolo Virno, Doppia negazione e variabilità del senso

by gabriella

PAOLO VIRNOOriginariamente pubblicato nella “Rivista Italiana di Filosofia del linguaggio” (2013) Vol. 7, n. 2, pp. 222-225.

Nel corso di un dialogo malinconico o concitato, una donna dice all’uomo fino ad allora prediletto ‘non è che non ti amo’. Per nulla lusingato, costui coglie al volo due verità filosofiche. La prima è che la doppia negazione non equivale mai all’affermazione di cui sembra fare le veci. Incolmabile è la distanza logica e sentimentale che separa lo spinoso ‘non è che non ti amo’ dal rassicurante ‘ti amo’. Una volta introdotta, la coppia di ‘no’ consecutivi non può essere eliminata mediante la sua traduzione in uno schietto ‘sì’: l’enunciato ‘non (non p)’ ha ormai spostato l’asse del discorso, adombrando un significato ulteriore, eterogeneo e spesso stridente rispetto a quello espresso da ‘p’. La seconda verità filosofica, con cui entra in confidenza l’uomo turbato, è che la negazione di una negazione non descrive alcunché, ma costituisce una azione. Parassitario e superfluo dal punto di vista cognitivo, ‘non è che non ti amo’ ha però un formidabile valore pragmatico. Anziché offrire il resoconto di uno stato di cose già delineato, ne instaura uno nuovo e imprevisto. L’uomo non si domanda se le parole ascoltate corrispondano o meno alla realtà, bensì che cosa stia facendo la donna nel pronunciarle, ovvero quale sia la realtà che proprio il suo speech act produce. Le due verità si implicano a vicenda, così da formare una sorta di circolo. Lo scarto semantico tra ‘non (non p)’ e ‘p’ cessa di essere misterioso soltanto se si riconosce che dire ‘non (non p)’ è una azione; e viceversa, l’azione che si compie dicendo ‘non (non p)’ diventa intelligibile soltanto se si tiene presente l’esistenza di uno scarto semantico tra ‘non (non p)’ e ‘p’.

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3 Gennaio, 2013

Paolo Virno, Della capacità di dire come NON stanno le cose

by gabriella

Vale, come sempre, la pena di ascoltare dalla voce di Paolo Virno, cosa significa dire no, prendere le distanze dal presente e in che misura questa capacità è propria di “noialtri, animali linguistici”. Questa imperdibile lezione, dal titolo L’azione innovativa. L’animale umano e la logica del cambiamento, è stata tenuta dal filosofo napoletano il 7 ottobre 2011 alla Fondazione del Collegio San Carlo di Modena.

Di seguito, la trascrizione dei primi dieci minuti audio.

Grazie a voi per la pazienza che avrete nell’ascoltare queste riflessioni sulla difficoltà di dire di no. La difficoltà di dire di no è un bel titolo di un filosofo tedesco, più interessante di Habermas e dunque non tradotto in italiano, che vorrei adottare per queste riflessioni. Io non ho molta confidenza con il termine “utopia”, raramente mi è capitato di usare questa parola, non ho molta confidenza con l’utopia. Questo è uno svantaggio perché con i concetti con cui non si ha confidenza si rischia la goffaggine e l’esitazione, però può essere anche un vantaggio, nel senso di guardare a questo oggetto teorico, l’utopia, con occhi sgombri da un eccesso di letture e di pregiudizi.

Io vi propongo, come nostra morale provvisoria in quest’incontro, di considerare l’utopia – non è l’unica definizione possibile, diciamo pure che non è la migliore – come la possibilità da parte di noialtri, viventi che hanno il linguaggio, di prendere le distanze dal presente. Ossia di essere in qualche modo, non per merito eccezionali, non in virtù di esperienze stravaganti, ma fisiologicamente, per come noi siamo perlopiù, di essere inattuali. Questo vuol dire credo, guadagnare una distanza dal presente, eludere quell’eterno presente che la tradizione vuole essere tipica – chissà se poi è vero o no – di Dio e degli animali non linguistici. Gli animali non linguistici e – ma su questo non saprei cosa dire, anche Dio – non hanno alcuna forma di inattualità, sono perfettamente attuali, il che detto altrimenti, significa che sono racchiusi, incastrati da un eterno presente.

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