Posts tagged ‘neoliberismo’

24 Maggio, 2013

Marco Boarelli, Il finanziamento alle scuole private e il neoliberismo

by gabriella
Milton Friedman (1912 - 2006)

Milton Friedman (1912 – 2006)

Traggo da Micromega questo articolo di Marco Boarelli sulle matrici ideologiche del finanziamento alla scuola privata/paritaria, sul suo senso, i suoi esiti, il suo evidente conflitto con lo spirito costituzionale. Quello del finanziamento alle scuole private è infatti, ha ricordato Rodotà, “un punto non negoziabile” per

“la necessità di rispettare la chiarissima lettera della norma costituzionale che parla di una scuola privata istituita «senza oneri per lo Stato» e dell’obbligo per lo Stato di istituire «scuole statali per tutti gli ordini e gradi». In tempi di crisi, questa norma dovrebbe almeno imporre che le scarse risorse disponibili siano in maniera assolutamente prioritaria destinate alla scuola pubblica in modo di garantirne la massima funzionalità possibile. Non a caso, Piero Calamandrei definì la scuola pubblica «organo costituzionale», individuando la linea dalla quale non può allontanarsi nessuna istituzione dello Stato. Il cardinale Bagnasco ha dichiarato che quel finanziamento permette allo Stato di risparmiare. Non comprende che non siamo di fronte a una questione contabile. Si tratta della qualità dell’azione pubblica, del modo in cui lo Stato adempie ai suoi doveri nei confronti dei cittadini.

 

Marco Boarelli, La scuola, il neoliberismo e il referendum di Bologna

A Bologna, alla fine di maggio, i cittadini saranno chiamati a votare per un referendum consultivo sulla scuola dell’infanzia. Dovranno esprimersi sul finanziamento di un milione di euro all’anno alle scuole private da parte del Comune, scegliendo tra il suo mantenimento o la sua abolizione.

Si tratta di una scadenza che non riguarda solo Bologna, e non riguarda solo la scuola dell’infanzia. Se ci allontaniamo per un momento dall’oggetto del referendum possiamo comprenderne meglio la portata.

Il finanziamento pubblico alla scuola privata ha il suo teorico più illustre nell’economista statunitense Milton Friedman, il principale esponente della “scuola di Chicago”, le cui strategie economiche liberiste hanno influenzato le politiche di Margaret Thatcher e Ronald Reagan (e anche di Pinochet).

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27 Aprile, 2013

David Harvey, Breve storia del neoliberismo

by gabriella

david-harveyQuesta breve storia del neoliberismo, tratteggiata dal geografo e scienziato sociale David Harvey, può essere letta come una storia non apologetica, dunque critica, della globalizzazione. Il testo, di cui riproduco l’inizio dell’introduzione, è disponibile qui nelle sue parti essenziali.

Molto probabilmente in futuro gli storici guarderanno al biennio tra il 1978 e il 1980 come a un punto di svolta rivoluzionario nella storia sociale ed economica del mondo. Nel 1978 Deng Hsiao Ping compì il primo passo importante verso la liberalizzazione di un’economia governata da comunisti in un paese che ospitava un quinto della popolazione mondiale. La strada intrapresa da Deng avrebbe trasformato la Cina, nell’arco di due decenni, da paese arretrato e chiuso in se stesso a centro aperto del dinamismo capitalista, caratterizzato da tassi di crescita talmente sostenuti da non avere confronti nella storia. Sull’altra sponda del Pacifico, e in circostanze assai diverse, un personaggio allora relativamente oscuro (ma oggi famoso) di nome Paul Volcker assumeva, nel luglio 1979, la guida della Federal Reserve e, nel giro di pochi mesi, modificava radicalmente la politica monetaria. Di lì in avanti la Fed avrebbe condotto la lotta all’inflazione senza alcun riguardo per le conseguenze (in particolare per la disoccupazione).

Dall’altra parte dell’Atlantico Margaret Thatcher era già stata eletta, nel maggio 1979, primo ministro della Gran Bretagna, con il mandato di porre un freno al potere dei sindacati e mettere fine alla deprimente stagnazione inflazionistica che aveva soffocato il paese nel decennio precedente. Poi, nel 1980, Ronald Reagan fu eletto presidente degli Stati Uniti e, in virtù della sua capacità comunicativa e del suo carisma personale, avviò il paese verso una rivitalizzazione dell’economia fondata da un lato sul sostegno alle manovre compiute da Volcker alla Fed e dall’altro sulla sua [10] personale miscela di politiche finalizzate a contenere i sindacati, a deregolamentare l’industria, l’agricoltura e lo sfruttamento delle risorse, e a liberare le potenzialità della finanza a livello nazionale e sullo scenario mondiale.

Da questi vari epicentri si sono diramati e diffusi gli impulsi rivoluzionari che hanno trasformato l’immagine del mondo intorno a noi. Mutamenti di questa portata ed estensione non si verificano accidentalmente; dunque è legittimo cercare di capire grazie a quali strumenti e attraverso quali percorsi la nuova configurazione economica – spesso indicata con il termine generico di «globalizzazione» -sia scaturita da quella precedente.

29 Ottobre, 2012

Claus Peter Ortlieb, La sinistra keynesiana e i suoi desideri

by gabriella

Ortlieb offre una convincente analisi delle ragioni per cui le politiche pro-sociali che vorrebbero riportare i livelli di redistribuzione al periodo precedente la rivoluzione neoliberale, sono impraticabili, prendendo posizione nel dibattito critico contro Keynes.

In Germania, stavolta, saranno guai per i ricchi. La coalizione “Per una ripartizione equa” ha lanciato un’iniziativa, chiamando, non senza una certa audacia grammaticale, ad una giornata d’azione nazionale:

“C’è una via d’uscita alla crisi economica e finanziaria: redistribuzione! Noi non vogliamo più soffrire per la mancanza di prestazioni sociali e di servizi pubblici, e non vogliamo che la grande maggioranza della popolazione venga penalizzata. E’ piuttosto la ricchezza eccessiva, e la speculazione finanziaria, che deve essere tassata. Non si tratta solo di denaro, ma anche di solidarietà concreta in questa nostra società.”

In tal modo, la coalizione reclama un’imposta permanente sulle fortune eccessive dei contribuenti eccezionali, alfine di “finanziare in tutta equità la spesa pubblica e sociale indispensabile e ridurre il debito”, senza dimenticare la “lotta costante contro l’evasione fiscale ed i paradisi fiscali, ed in favore della tassazione delle transazioni finanziarie, contro la speculazione e contro la povertà, dappertutto nel mondo”.

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29 Settembre, 2012

Rodolfo Ricci, Populismo

by gabriella

Uno spettro si aggira per l’Europa: il Populismo.

Cosa sia di preciso nessuno lo ha capito, ma il termine prolifera: in bocca a sprovveduti di varia provenienza, riempie ormai i comizi d’amore e d’odio, le pagine di tanta stampa, in Europa e in Italia soprattutto, dopo il varo della campagna d’autunno del partito di Repubblica, rinvigorito da quella altrettanto possente de L’Unità.

Fino a qualche decennio fa, lo spettro si aggirava per altri lidi. In particolare in America Latina dove alcuni sostengono che sia nato all’epoca di Jan Domingo Peron. Oppure per il vasto panorama del terzo mondo asiatico e africano, i cui leader nazionalisti (in particolare i nazionalizzatori delle risorse locali) erano spesso aggettivati come tali: populisti.

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10 Settembre, 2012

Alberto De Nicola, L’utopia neoliberale

by gabriella

Ogni crisi economica, qualora assuma dimensioni e profondità sistemiche, si presenta sempre come una crisi che interessa la razionalità di governo. Si è detto e ripetuto più volte che i governi stanno, quasi per paradosso, applicando ricette neoliberiste per far fronte alla stessa crisi del neoliberismo. Dietro questa apparente tautologia, questa accanita e forsennata insistenza, tuttavia, si nasconde un’incrinatura, una rottura, che riguarda direttamente il progetto neoliberale, i suoi modi di presentarsi come discorso egemonico e la sua forza di penetrare nel tessuto sociale, per ordinarlo. Per afferrare questo punto conviene fare un passo indietro e chiedersi quale fosse, se è mai esistita, un’utopia propria del neoliberalismo.


Utopia neoliberale

Karl Polanyi ha sostenuto che l’utopia del primo liberalismo economico si era presentata nell’idea dell’autoregolazione del mercato. La generalizzazione di questo principio organizzativo all’intera vita sociale, ha comportato effetti distruttivi tali da innescare una crisi di governo senza precedenti.

C’è da chiedersi quale sia stata, invece, l’utopia incarnata dentro il discorso neoliberale a partire dalla metà degli anni Settanta. Come ci ha mostrato Foucault, lo spostamento di asse dal principio regolatore dello scambio a quello della concorrenza, ha mutato radicalmente la grammatica della governamentalità liberale.

Si potrebbe affermare che l’utopia specifica del neoliberalismo non sia stata tanto quella dell’autoregolazione, bensì quella della completa de-proletarizzazione del corpo sociale. Quando si dice de-proletarizzazione qui non si intende affatto l’idea che per i neoliberali non ci dovessero essere disuguaglianze, né rapporti di subordinazione e dipendenza, ma che questi rapporti, queste differenze non debbano in alcun modo essere pensati come rapporti di sfruttamento. Questo il punto: lo Stato deve intervenire attivamente affinché la società sia segnata da disuguaglianze, anche radicali, condizione questa necessaria al funzionamento del principio della concorrenza di tutti con tutti. Tuttavia, il problema per i neoliberali rimane quello di far fuori l’opposizione tra capitale e lavoro.

Facendo di tutti gli individui dei capitalisti, istituendo un capitalismo popolare, si eliminano le tare sociali del capitalismo, indipendentemente dalla salarizzazione crescente nell’economia. Un salariato che sia a sua volta anche un capitalista, non è più un proletario. (Bilger, citato da Foucault in Nascita della biopolitica)

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18 Luglio, 2012

Giovanni Arrighi, Lu Zhang, Dopo il neoliberismo. Il nuovo ruolo del sud del mondo

by gabriella

Questo capitolo sulla Cina è contenuto nel libro che raccoglie gli ultimi scritti di Giovanni Arrighi [Cap. 5 di Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, 2010]. Arrighi e Zhang vi analizzano il declino delle politiche neoliberali del Washington consensus e le radicali differenze con il possibile ordine futuro di un Beijing consensus.

Questo capitolo analizza quel che si può chiamare la “strana morte” del Washington consensus, con particolare riferimento al rafforzamento economico della Cina e a un cambiamento fondamentale nelle relazioni tra il Nord e il Sud del mondo1. Ciò che è “strano” riguardo questa morte è che essa sia avvenuta in un momento in cui le dottrine neoliberiste promosse dal consensus godono di un’autorità apparentemente incontrastata. Proprio per questa ragione, questa morte è stata poco notata, e le sue cause e conseguenze rimangono avvolte in una gran confusione.

Parte della confusione sorge dalla persistente influenza sulla politica mondiale di vari aspetti del defunto consensus. Come notato da Walden Bello, “il neoliberismo [rimane], semplicemente per forza d’inerzia, il modello standard per molti economisti e tecnocrati che… non hanno più fiducia in esso”. Inoltre, nuove dottrine stanno emergendo, principalmente nel Nord del mondo, che tentano di rianimare aspetti del vecchio consensus in forme più realistiche ed accettabili2. La nostra analisi non esclude né la residuale influenza del neoliberismo, come modello “standard”, né la possibilità di una sua rinascita in forme nuove. Semplicemente essa evidenzia che la contro-rivoluzione neoliberista dei primi anni Ottanta, della quale il Washington consensus è stato parte essenziale, ha fallito, creando le condizioni per un’inversione delle relazioni di potere tra il Nord e il Sud del mondo che sta già cambiando sia la politica mondiale che la teoria e la pratica dello sviluppo nazionale.

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