Posts tagged ‘Nietzsche’

2 Giugno, 2013

Pierfranco Pellizzetti, Foucault interprete di Nietzsche

by gabriella

Nietzsche-FoucaultTraggo da Micromega questa utile introduzione alla tematica foucaltiana dei processi di veridizione del potere e alla loro originaria ispirazione nietzschena.

Un grande terzetto di fantasiosi studiosi
tedeschi, Nietzsche, Marx e Freud ha distrutto
il XX secolo dal punto di vista morale così come
Einstein, bandendo il moto assoluto, lo ha distrutto
cognitivamente e Joyce, bandendo la narrazione
assoluta, lo ha distrutto esteticamente.
Clifford Geertz

Scrollatevi di dosso le catene come la rugiada
caduta su di voi durante il sonno.
Siete molti, e loro sono pochi!
Percy Bysshe Shelley

Scrive Marco D’Eramo nell’ultimo numero di MicroMega:

«come raccomandava in continuazione ai suoi allievi Pierre Bourdieu, i termini della politica vanno considerati non solo strumenti, ma poste in gioco della lotta politica. Quando nel Settecento Voltaire e Diderot si impossessarono della luce, della chiarezza (si definirono illuministi) e relegarono gli avversari nell’oscurità (“i secoli bui”), avevano già vinto la partita».

read more »

30 Aprile, 2013

Gianni Vattimo, Metafisica degli esclusi (o della libertà) vs metafisica delle auctoritates (o della necessità)

by gabriella

Traggo da L’Indice dei libri del mese, il testo della conferenza tenuta da Gianni Vattimo il 24 ottobre 2011 – su invito della Alexander von Humboldt Stiftung – dal titolo Quale metafisica, quale realtà? nella quale il filosofo sviluppa una riflessione sul bisogno di metafisica al servizio delle opposte necessità di concentrazione e controllo e di libertà e pluralità.

Che differenza c’è tra il bisogno di metafisica affermato dalle auctoritates, che lamentano la perdita della morale civile e religiosa dei popoli rovinati dal “nichilismo” postmoderno, dal multiculturalismo dilagante, in fondo dall’eccesso di libertà – da un lato – e il bisogno di metafisica dei rivoluzionari e di tutti i rivoltosi che si sentono legittimati dai “diritti umani” universali?

Max WeberMax WeberLa differenza, come è facile vedere, sta nel fatto che alcuni invocano la metafisica per mantenere lo status quo – la morale familiare tradizionale, il potere sacrale delle gerarchie religiose, anche semplicemente la validità “oggettiva” della scienza ufficiale o l’indiscutibilità dell’opinione pubblica mainstream dei grandi giornali e delle grandi catene televisive; mentre altri si richiamano alla metafisica come a una verità che si oppone criticamente allo status quo e vuole cambiarlo. Viene in mente qui una frase di un grande filosofo nordamericano (e grande amico) scomparso negli anni recenti, Richard Rorty, che diceva:

“Prendetevi cura della libertà, la verità si difenderà da sé”.

Inteso in questo senso, il “bisogno di metafisica” non è qualcosa di nuovo, ha una storia identica a quella dell’umanità o almeno dell’homo sapiens, dell’homo politicus che vive in una società e deve fare i conti con i rapporti di forza. Questo si può esprimere con l’aforisma con cui Nietzsche inizia il primo volume di Umano, troppo umano:

“I problemi filosofici riprendono oggi la stessa forma che avevano duemila anni fa”.

Ma ciò perché, come Nietzsche indica in tante altre pagine della sua opera, viviamo ormai in una società caratterizzata da una “selvatichezza indiana” (la società capitalistica già così fiorente al suo tempo), dove – ed è questo il senso del nichilismo che noi chiamiamo postmoderno – i valori supremi si sono svalutati, e vige un politeismo dei valori, come lo chiama Max Weber, in cui nulla funge più da punto di riferimento definitivo e bisogna prender atto che nessuno può parlare dal punto di vista (divino) della verità universale. Anche i differenti significati che può assumere il bisogno di metafisica esprimono il politeismo dei valori, sono resi possibili dall’avvento del nichilismo.

read more »

28 Aprile, 2013

Fabri Fibra, o della poetica neofascista

by gabriella

Fabri FibraVenerdì 17, Su le mani, Non fare la puttana, Zoccole. La cantica del senso comune più degradato sale dalle periferie e si aggrega intorno a temi di genuina reazione: l’odio per le donne, l’omofobia, la frustrazione impotente, l’aggressività idiota, il ripiegamento sul piccolo gruppo e l’insofferenza per gli outsider.

Non conservatevi, datela a tutti anche ai cani, se non me la dai io te la strappo come Pacciani.
Giro in casa con in mano questo uncino, ti ci strappo le ovaie e che cazzo me le cucino!
Questa classica sfigata che va in cerca di attenzione e finirà un giorno stuprata nel bagno della stazione,
così ‘sta ritardata dopo i primi due cannoni si addormenta e non si accorge che le tolgo i pantaloni.
Le ragazze sono così, sono tutte molto strane, si dividono in due gruppi: le mignotte e le puttane.

Il sentire dei liquami sociali costruisce così la poetica del risentimento paranoide che trova espressione nel rap di Fabri Fibra, il quale ha dichiarato (piuttosto consapevolmente): “faccio il rap per i maiali”.

Su di lui leggo in rete critiche sdegnate, difese demenziali o appelli a un’equivocata libertà d’espressione. Niente che si avvicini a un’intelligenza minima del fenomeno, cioè della reazione, ciò che Nietzsche chiamava il «pensare bassamente» e che ha descritto nel racconto dell’incontro di Zarathustra con la propria caricatura (la scimmia):

[Zarathustra] arrivò anche alle porte della grande città: ma qui un pazzo, colla bava alla bocca, gli corse incontro con le braccia aperte e gli attraversò il cammino. Era quello stesso che il popolo chiamava «la scimmia di Zarathustra»: giacché si era appropriato alcunché del suo stile e della sua inflessione di voce, e toglieva anche volentieri molte cose a prestito dalla sua sapienza.

 Questo è il giudizio che su di lui (sulla scimmia o, se si preferisce, sul porco a cui Fabri Fibra si ispira) esprime Zarathustra:

«Dall’amore soltanto deve uscire il mio disprezzo e il
mio uccello augurale; ma non dalla palude!
Ti si chiama la mia scimmia, o pazzo furioso: ma io ti
chiamo il mio maiale grugnente, – col grugnire mi guasti
il mio elogio della pazzia.

[…] – sedesti allora presso queste lordure, per aver un pretesto a grugnire,
– per avere un pretesto a molta vendetta! la vendetta è infatti tutta la tua schiuma,
o pazzo vanitoso; io t’indovinai bene!
Ma il tuo folle discorso mi urta anche quando hai ragione!
E se la parola di Zarathustra avesse pur mille ragioni, tu, con la mia parola,
commetteresti sempre un torto!»

Così parlò Zarathustra; poi guardò la grande città, sospirò, ed a lungo si tacque.
Alla fine disse così: Mi disgusta anche questa grande città, non questo pazzo soltanto. Tanto qui come là non v’è nulla da rendere peggiore.

Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra

28 Aprile, 2013

Gilles Deleuze, I concetti di genealogia e di senso

by gabriella

Gilles Deleuze ritratto da Michel Tournier negli anni '50

Traggo da uno dei testi fondativi della Nietzsche renaissance e prima grande opera di Gilles Deleuze – Nietzsche et la philosophie (1962), trad. it. Nietzsche e la filosofia, Torino, Einaudi, 2002 – i due paragrafi iniziali dedicati ai concetti di genealogia e di senso [l’evidenziazione in grassetto è mia, quella in corsivo di Deleuze].

 

1. Il concetto di genealogia

Nel suo significato più ampio, il progetto di Nietzsche consiste nell’introduzione dei concetti di senso e di valore in filosofia. Non v’è dubbio che gran parte della filosofia contemporanea è vissuta e vive tutt’ora di Nietzsche; forse però non nel modo in cui egli avrebbe desiderato.

Nietzsche nonNietzsche nel 1875 all'epoca delle Considerazioni Inattuali ha mai tenuto nascosto il fatto che la filosofia del senso e dei valori dovesse essere una critica. Così Kant non ha condotto la vera critica perché non ha saputo porne il problema in termini di valori; e ciò costituisce uno dei spunti principali da cui muove l’opera nietzscheana.

Ora, nella filosofia contemporanea la teoria dei valori ha dato vita ad un nuovo conformismo e a nuove forme di sottomissione. La stessa fenomenologia ha contribuito, mediante il suo apparato, a far sì che quell’ispirazione nietzscheana in essa spesso presente, si assoggettasse al moderno conformismo. Nel caso di Nietzsche dobbiamo prendere le mosse dal fatto che la filosofia dei valori, com’è da lui istituita e intesa, è la vera realizzazione della critica, il solo modo di realizzare al critica totale, ossia di fare filosofia a “colpi di martello”. La nozione di valore implica infatti un sovvertimento critico. Da una parte i valori sembrano o si fanno passare per principi: una valutazione presuppone determinati valori sulla cui base stimare i fenomeni. D’altra parte, però, se si va più a fondo, sono i valori a presupporre valutazioni, “punti di vista di apprezzamento” da cui proviene il loro stesso valore. Il problema critico sta nel valore dei valori, nella valutazione dalla quale deriva il loro valore; è il problema della loro creazione.

read more »

30 Marzo, 2013

Nietzsche, Morale dei signori e morale da schiavi

by gabriella

NietzscheL’aforisma 260 di Al di là del bene e del male.

260. Vagabondando tra le molte morali, più raffinate e più rozze, che hanno dominato fino a oggi o dominano ancora sulla terra, ho rinvenuto certi tratti caratteristici, periodicamente ricorrenti e collegati tra loro: cosicché mi si sono finalmente rivelati due tipi fondamentali e ne è balzata fuori una radicale differenza.

Esiste una “morale dei signori” e una “morale degli schiavi” – mi affretto ad aggiungere che in tutte le civiltà superiori e più ibride risultano evidenti anche tentativi di mediazione tra queste due morali e, ancor più frequentemente, la confusione dell’una nell’altra, nonché un fraintendimento reciproco, anzi talora il loro aspro confronto persino nello stesso uomo, dentro “la stessa” anima. Le differenziazioni morali di valore sono sorte o in mezzo a una stirpe dominante, che con un senso di benessere acquistava coscienza della propria distinzione da quella dominata – oppure in mezzo ai dominati, gli schiavi e i subordinati di ogni grado. Nel primo caso, quando sono i dominatori a determinare la nozione di «buono», sono gli stati di elevazione e di fierezza dell’anima che vengono avvertiti come il tratto distintivo e qualificante della gerarchia.

L’uomo nobile separa da sé quegli individui nei quali si esprime il contrario di tali stati d’elevazione e di fierezza – egli li disprezza. Si noti subito che in questo primo tipo di morale il contrasto «buono» e «cattivo» ha lo stesso significato di «nobile» e «ignobile» – il contrasto di «buono» e «”malvagio”» ha un’altra origine. E’ disprezzato il vile, il pauroso, il meschino, colui che pensa alla sua angusta utilità; similmente lo sfiduciato, col suo sguardo servile, colui che si rende abbietto, la specie canina di uomini che si lascia maltrattare, l’elemosinante adulatore e soprattutto il mentitore – è una convinzione basilare di tutti gli aristocratici che il popolino sia mendace. «Noi veraci» – così i nobili chiamavano se stessi nell’antica Grecia – un fatto palmare che le designazioni morali di valore sono state ovunque primieramente attribuite a “uomini” e soltanto in via derivata e successiva ad “azioni”: per cui è un grave errore che gli storici della morale prendano come punto di partenza problemi quali «perché è stata lodata l’azione pietosa?». L’uomo di specie nobile sente “se stesso” come determinante il valore, non ha bisogno di riscuotere approvazione, il suo giudizio è «quel che è dannoso a me, è dannoso in se stesso», conosce se stesso come quel che unicamente conferisce dignità alle cose, egli è “creatore di valori”.

Onorano tutto quanto sanno appartenere a sé: una siffatta morale è autoglorificazione. Sta in primo piano il senso della pienezza, della potenza che vuole straripare, la felicità della massima tensione, la coscienza di una ricchezza che vorrebbe donare e largire – anche l’uomo nobile presta soccorso allo sventurato, ma non, o quasi non, per pietà, bensì piuttosto per un impulso generato dalla sovrabbondanza di potenza. L’uomo nobile onora in se stesso il possente, nonché colui che sa parlare e tacere, che esercita con diletto severità e durezza contro se medesimo e nutre venerazione per tutto quanto è severo e duro. «Un duro cuore Wotan mi ha posto nel petto» – si dice in un’antica saga scandinava: in questo modo l’anima di un superbo vichingo ha trovato la sua esatta espressione poetica. Un simile tipo di uomini va appunto superbo di “non” essere fatto per la pietà: per cui l’eroe della saga aggiunge, in tono d’ammonizione, «chi non ha da giovane un duro cuore, non lo avrà mai». Nobili e prodi che pensano in questo modo sono quanto mai lontani da quella morale che vede precisamente nella pietà o nell’agire altruistico o nel “desintéressement” l’elemento proprio di ciò che è morale; la fede in se stessi, l’orgoglio di sé, una radicale inimicizia e ironia verso il «disinteresse», sono compresi nella morale aristocratica, esattamente allo stesso modo con cui competono a essa un lieve disprezzo e un senso di riserbo di fronte ai sentimenti di simpatia e al «calore del cuore».

read more »

30 Marzo, 2013

Gabriele Scardocci, Crisi e morte della verità oggettiva. Relativismo e prospettivismo in Nietzsche

by gabriella

NietzscheIl relativismo etico è attualmente una concezione della morale molto discussa negli ambiti politici e filosofici, ed in ambito religioso essa è addirittura definita come una ideologia del male. Scopo di questo elaborato, è ricercare ed indagare le concettualizzazzioni gnoseologiche dietro al fenomeno “relativismo”, per mostrarne punti di luce e punti d’ombra ad esso inerente, onde evitare che in ambiti extra filosofici e non venga troppo travisato. I limiti di una ricerca filosofica sul fenomeno “relativismo” debbono essere subito posti: il relativismo è un tema trattato sin dagli albori della filosofia greca, ed ha percorso insieme all’uomo tutte le fasi della sua crescita intellettuale. Ma trattare tutte queste parti, e sussumerle in un unicum che debba anche essere sintetico risulterebbe una ricerca superficiale e improponibile. Perciò, l’autore dell’elaborato si concentrerà su un filosofo che anch’egli si è occupato del fenomeno “relativismo”: F .W .Nietzsche (1844-1900).

read more »

13 Marzo, 2013

Eleonora de Conciliis, Walter Benjamin. Capitalismo e religione

by gabriella

angelo benjaminianoTraggo dal portale di Kainos questo articolo sul frammento benjaminiano del “capitalismo divino” contenuto nell’edizione italiana delle Tesi sul concetto di storia (Einaudi, 1997, pp. 284-287).

Il bisogno e il lavoro, sollevati a[ll’]universalità,
formano… un immenso sistema di… dipendenza reciproca;
una vita del morto moventesi in sé.

Hegel, Filosofia dello Spirito jenese

Premessa

Da qualche anno in Italia gli studiosi hanno riscoperto, o meglio si sono accorti dell’esistenza di un frammento che Walter Benjamin scrisse con ogni probabilità nel 1921, e che è apparso in traduzione italiana nel 1997, insieme ai materiali preparatori per le celebri Tesi sul concetto di storia del 19401. Un po’ come è accaduto a queste ultime a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, una volta ripubblicato da Editori Riuniti in una nuova raccolta e con una nuova traduzione2, il frammento, cui si è deciso di dare il titolo Capitalismo come religione, è stato per così dire sur-interpretato, divenendo anche per i non specialisti del filosofo una sorta di vademecum teorico, se non profetico, attraverso cui ripensare l’attuale assetto dell’economia politica occidentale.

Si tratta di uno scritto scarno e talora criptico, poco più di un appunto esteso con le indicazioni dei testi di riferimento, com’era nello stile di Benjamin, e che sembra tuttavia prestarsi a un facile lavoro di decodifica concettuale, poiché rinvia, da un lato, a due pietre miliari del pensiero politico e sociologico moderno (Marx e Weber), dall’altro a due critici radicali della metafisica (Nietzsche e Freud), con la quale Benjamin, negli anni dieci e venti, intratteneva ancora rapporti assai stretti.

Il détournement di queste pagine dal loro specifico contesto teorico – cioè la loro estrapolazione rispetto al tentativo, compiuto da un giovane Benjamin ancora influenzato da Bloch e lettore di Schmitt (la Teologia politica è del ’22), di analizzare in termini originalmente politico-religiosi l’eclissi dell’escatologia giudaico-cristiana e la sua moderna metamorfosi nichilistica3 – ha portato gli interpreti a valorizzare quella che sembra essere la principale e geniale intuizione contenuta nel frammento e lanciata ai posteri con straordinario anticipo sui tempi, ovvero la descrizione del capitalismo come religione di puro culto, dunque senza contenuti trascendenti e senza dogmi, capace di parassitare il cristianesimo e di prenderne il posto, non attraverso una deriva (la secolarizzazione weberiana), bensì grazie a un’inquietante metamorfosi, come sintetizza efficacemente lo stesso Benjamin:

Il cristianesimo nell’età della Riforma non ha agevolato il sorgere del capitalismo, ma si è tramutato nel capitalismo.4

read more »

15 Novembre, 2012

Garrath Williams, Nietzsche’s Response to Kant’s Morality

by gabriella

Alcune riviste online stanno celebrando la giornata mondiale della filosofia aprendo i loro archivi e rendendo disponibile per la giornata di oggi, una selezione di articoli e saggi che coprono tutti gli ambiti della ricerca filosofica.  Quella che segue è una lettura guidata alla dissoluzione dell’etica kantiana che, secondo il prof. Williams della University of Central Lancashire, Nietzsche avrebbe operato a partire dagli assunti stessi del criticismo.

Williams dimostra senza fatica l’interesse di Nietzsche per l’etica kantiana – della quale il filosofo di Röcken illumina, secondo lo studioso, gli aspetti meno seducenti e convincenti a partire dalle stesse premesse di libertà, autonomia e ragione – e ricostruisce il terreno comune delle due etiche indicato nella compassione (si ricordi l’episodio scatenante della crisi di Nietzsche a Torino) e nella comune soddisfazione per la vittoria dell’illuminismo sull’assolutismo – con l’obiettivo di ricondurre Nietzsche a Kant, usando le ragioni del primo (autonomia vs legge morale) per traghettare l’etica moderna (autonomia come fondamento della morale) nel campo minato della postmodernità. Lo studioso riconosce la carente elaborazione psicologica dell’apriori kantiano che manca la comprensione della natura estrinseca della legge morale, ma afferma che se lo spazio tra autonomia e legge è minimo in Kant, al contrario, è eccessivo in Nietzsche, nel quale va definitivamente smarrita la possibilità di sottomettere a ragione l’azione umana. Il riconoscimento nietzscheano dell’inumanità dell’uomo potrebbe così non rappresentare la pietra tombale del progetto trascendentale, ma portarlo oltre l’impensato kantiano. Purtroppo, Williams non dice (o non colgo) come potrebbe.

For what is freedom? That one has the will to self-responsibility [ …] How is freedom measured . . . ? By the resistance which has to be overcome, by the effort it costs to stay aloft.

F. Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli

[….] there are even cases in which morality has been able to turn the critical will against itself, so that, like the scorpion,
it drives its sting into its own body.

In this essay I would like to discuss some continuities and differences between two thinkers, Kant and Nietzsche, whom I take to be among the very greatest of modern moral philosophers. My basic line of argument will be as follows: despite his apparent neglect and occasional dismissals, Nietzsche’s thought reveals a fine appreciation of Kant’s philosophy, and can itself be read as one of the most profound responses to Kant’s ethics that the tradition has so far accorded us. While the differences that I shall mention are easily seen and often taken “as read,” I think the continuities have been too little appreciated, and that very often Kant and Nietzsche are treading the same ground. What I leave open, however, is how far Nietzsche himself should be thought more than an agent provocateur in these matters: he can show us, I think, that certain, fairly systematic aspects of Kant’s morality are unattractive or unconvincing—and this even on rather Kantian premises.

read more »

3 Novembre, 2012

Enrico Berti, L’etica delle virtù e l’educazione del futuro

by gabriella

In questo importante intervento, Berti discute i presupposti particolaristici dell’«etica delle virtù» alla luce del testo aristotelico, prendendo posizione nel dibattito tra comunitarismo e liberalismo, contro il primo, per i Lumi.

Indice

1. Il contributo di McIntyre
2. Comunità e società
3. Tradizione e razionalità
4. Quale futuro per l’educazione?

 

1. Il contributo di MacIntyre

Alasdair MacIntyre è sicuramente uno dei più originali e interessanti filosofi contemporanei. Specialmente col libro Dopo la virtù (1981) [A. MacInyre, After Virtue. A Study in Moral Theory, Notre Dame, Indiana, University of Notre Dame Press, 1981, trad. it. Milano, Feltrinelli, 1988] egli ha portato un contributo decisivo al dibattito sull’etica nella filosofia del Novecento, prospettando la possibilità di una “terza via” tra contrattualismo e utilitarismo, la quale da lui ha preso il nome di “etica delle virtù”.

read more »

29 Settembre, 2012

Rodolfo Ricci, Populismo

by gabriella

Uno spettro si aggira per l’Europa: il Populismo.

Cosa sia di preciso nessuno lo ha capito, ma il termine prolifera: in bocca a sprovveduti di varia provenienza, riempie ormai i comizi d’amore e d’odio, le pagine di tanta stampa, in Europa e in Italia soprattutto, dopo il varo della campagna d’autunno del partito di Repubblica, rinvigorito da quella altrettanto possente de L’Unità.

Fino a qualche decennio fa, lo spettro si aggirava per altri lidi. In particolare in America Latina dove alcuni sostengono che sia nato all’epoca di Jan Domingo Peron. Oppure per il vasto panorama del terzo mondo asiatico e africano, i cui leader nazionalisti (in particolare i nazionalizzatori delle risorse locali) erano spesso aggettivati come tali: populisti.

read more »


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: