5 Gennaio, 2019
by gabriella
L’Eutifrone è un dialogo aporetico (senza soluzione) dedicato al tema della pietà (dell’esser pii).
Il protagonista è un religioso che spicca per ottusità e dogmatismo, espressione vivente di quella mediocrità pericolosa con cui Socrate sta per confrontarsi in tribunale.
I due si incontrano in piazza, davanti al palazzo dell’arconte al quale entrambi chiedono udienza poiché stanno per agire in giudizio o, nel caso di Socrate, per subirlo.
Eutifrone muove, infatti, causa a suo padre che ha lasciato morire in cella un omicida mentre mandava a chiedere agli interpreti della legge cosa dovesse farne. Le circostanze fortuite della morte dell’uomo, che escludono la volontarietà dell’azione paterna, evidenziano il dogmatismo del sacerdote che pretende di conoscere cosa sia pio e cosa empio senza riuscire però a definirli.
Eutifrone sostiene, infatti, che santo è ciò che lui stesso sta facendo, cioè trascinare in giudizio un omicida benché sia suo padre. Socrate lo spinge allora a dichiarare se santo sia ciò che è amato dagli dèi o se, viceversa, proprio perché santo sia amato, con una discussione che si snoda per più ipotesi concludendosi senza risultati.
Per realizzare l’ipertesto in cui al termine dell’introduzione si aprono i tre tentativi di risposta di Eutifrone, ho utilizzato la traduzione di Gigante-Valgimigli della classica edizione Laterza (la più bella, a mio avviso), alleggerendola delle espressioni più antiquate per renderla accessibile ai miei studenti.
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