Per fare alcune considerazioni sul rapporto stretto che lega neoliberismo e carcere, è opportuno partire dal volume di Loïc Wacquant Iperincarcerazione. Neoliberismo e criminalizzazione della povertà negli Stati Uniti (Ombre corte. Ne ha già scritto su questo giornale Vincenzo Vita il 7 giugno). È, quello dello studioso francese, un «diario della crisi» dell’Impero visto da uno dei suoi lati più oscuri: il disastro sociale, eppur funzionale e messo a valore, che l’ideologia neoliberista ha provocato negli States. Lo stesso autore con Punire i poveri. Il nuovo governo dell’insicurezza sociale (DeriveApprodi) e Simbiosi mortale. Neoliberismo e politica penale (Ombre corte), ancora prima che esplodesse la bolla finanziaria del 2008 aveva anticipato come il controllo e la gestione della marginalità, tramite l’ipertrofia penale e carceraria, avrebbero portato gli Usa a essere elencati tra i paesi con il più alto tasso di carcerizzazione del mondo esibendo senza alcuna vergogna settecentosedici prigionieri su centomila abitanti al 2012 (i dati sono ricavati dagli studi dell’International Centre for Prison Studies).
Zygmunt Bauman, David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida
Traggo da Micromega le recensioni di Carlo Formenti e Stefano Rodotà [e un estratto del libro] al saggio di Zygmunt Bauman e David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2014.
Carlo Formenti, Sorvegliati e felici
Le preoccupazioni per l’uso intensivo dei media digitali come strumenti di sorveglianza pervasiva sono aumentate esponenzialmente dopo le rivelazioni della “gola profonda” Edward Snowden sulle pratiche di spionaggio messe in atto dai suoi ex datori di lavoro, la maggiore agenzia di sicurezza Usa, la NSA, ai danni dei cittadini americani e di tutti gli altri Paesi, nonché di capi di stato (anche alleati) e imprese pubbliche e private.
A mano a mano che Snowden rendeva noti nuovi documenti che denunciavano tali pratiche – intercettazioni di conversazioni telefoniche, email e quant’altro – i media sfoderavano gli immancabili riferimenti al romanzo 1984 di Orwell, o al Panopticon di Bentham, utilizzato da Michel Foucault come emblema di una modernità assurta a regno della sorveglianza e del controllo. Ora un libro a quattro mani di David Lyon e Zygmunt Bauman (si tratta di una conversazione a distanza, realizzata attraverso lo scambio di email) dal titolo Sesto Potere. La sorveglianza nella modernità liquida (Ed. Laterza) suggerisce una prospettiva diversa.
read more »
Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo
In questo testo del 2006 [ripubblicato in Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Roma, Nottetempo, collana I sassi, 2010, pp. 4-21] Agamben riflette sul significato del dispositivo e della soggettivazione nelle società disciplinari, concludendo con un’analisi della problematica resistenza ai dispositivi capitalistici contemporanei – poiché legati a processi di desoggettivazione – e alla possibilità di una loro «profanazione».
1. Le questioni terminologiche sono importanti in filosofia. Come ha detto una volta un filosofo per il quale ho il piú grande rispetto, la terminologia è il momento poetico del pensiero. Ciò non significa che i filosofi debbano ogni volta necessariamente definire i loro termini tecnici. Platone non ha mai definito il piú importante dei suoi termini: idea. Altri invece, come Spinoza e Leibniz, preferiscono definire more geometrico la loro terminologia.
L’ipotesi che intendo proporvi è che la parola “dispositivo” sia un termine tecnico decisivo nella strategia del pensiero di Foucault. Egli lo usa spesso soprattutto a partire dalla metà degli anni Settanta, quando comincia a occuparsi di quello che chiamava la “governamentalità” o il “governo degli uomini”. Benché non ne dia mai una vera e propria definizione, egli si avvicina a qualcosa come una definizione in un’intervista del 1977:
Dalla sorveglianza moderna alla New Surveillance. Il ruolo delle tecnologie informatiche nei nuovi metodi di controllo sociale
Tratto dal Centro di documentazione su carcere, devianza, marginalità dell’Università degli Studi di Firenze.
1.1. Origini storiche dei processi di sorveglianza
Il re prende nota di tutte le loro intenzioni,
Con mezzi che nemmeno possono immaginare
William Shakespeare, Enrico V
L’espressione “società della sorveglianza” è stata spesso ascritta a David Lyon, sociologo canadese che ha studiato, in molte sue opere, gli effetti dei nuovi mezzi di controllo sociale, e delle loro interazioni con le più recenti tecnologie informatiche. In realtà, il primo a parlare di “società della sorveglianza”, è stato Gary T. Marx, in un articolo comparso nel 1985 sulla rivista The Futurist (1). Il sociologo statunitense analizza il forte cambiamento avvenuto nel passaggio dall’era moderna all’era postmoderna, in cui le nuove tecnologie assumono un ruolo principale nel nuovo assetto sociale, ed afferma senza timore che
grazie alla tecnologia informatica sta crollando una delle ultime barriere che ci separano dal controllo totale.
Gary T. Marx definisce questo fenomeno New Surveillance: lo scopo della sua analisi è proprio quello di marcare le differenze tra la sorveglianza sviluppatasi con la nascita degli stati moderni nel XIX secolo, quando la raccolta dati serviva allo stato per amministrare la nazione, e la sorveglianza contemporanea, quella in cui non solo lo stato, ma anche le aziende commerciali, le assicurazioni, agenzie ed organizzazioni dei più svariati settori raccolgono ed elaborano informazioni personali su chiunque, con lo scopo di controllarne e manipolarne le interazioni sociali, le preferenze, le opinioni.
Commenti recenti