L’8 aprile esce in versione italiana Capitalismo, desiderio e servitù. Antropologia delle passioni nel lavoro contemporaneo, testo in cui Lordon riflette sulla cooptazione simbolica dei lavoratori – concettualmente, gli espropriati dei mezzi di produzione e del loro prodotto – nel desiderio dei loro padroni. Pubblicato dal Rasoio di Occam.
Il capitalismo continua a lasciarci perplessi. Non fosse per lo spettacolo a volte così ripugnante, potremmo quasi osservare con ammirazione la sua audace performance che consiste nell’incalzare la massima centrale del corpus teorico che gli serve da ostentato riferimento ideologico. Si tratta del liberalismo, nella fattispecie di quello kantiano, che comanda a ciascuno di agire
«in modo da trattare l’umanità, tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nello stesso tempo come un fine, e mai unicamente come un mezzo»[1].
Attraverso uno di quei rivolgimenti dialettici dei quali solo i grandi progetti di strumentalizzazione detengono il segreto, si è dichiarato conforme all’essenza stessa della libertà che gli uni fossero liberi di utilizzare gli altri, e gli altri liberi di lasciarsi utilizzare dagli uni in quanto mezzi. Questo magnifico inontro tra due libertà porta il nome di lavoro salariato.
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