Sandro Iannaccone, Non esiste una realtà “oggettiva”
Un articolo uscito su Wired, presenta l’ultimo affascinante esperimento di meccanica quantistica dedicato alla prova sperimentale del principio di indeterminazione di Heisemberg, secondo il quale lo sguardo dell’osservatore, in particolare l’attività di misurazione, modificano ciò che si sta guardando.
La realtà quantistica, spiega Rovelli intervistato in proposito, è sostanzialmente relazionale: ogni elemento esistente appartiene a due sistemi, non ad uno soltanto.
Prendete un pallone. Da calcio, da basket, da pallamano; non importa. Sparatelo con un cannone e riprendete la scena con telecamere ad altissima definizione. Ora riesaminate il video al computer – vi è concessa tutta la potenza computazionale di cui avete bisogno – e provate a determinare, istante per istante, posizione e velocità del pallone.
Se siete stati abbastanza accurati, riuscirete senza dubbio a portare a termine il processo di misura in modo più che soddisfacente: i numeri che otterrete coincideranno, con ottima approssimazione, con quelli previsti dalle equazioni dei modelli teorici che descrivono il moto del pallone.
E potete star certi che il pallone, con o senza telecamere, avrebbe percorso esattamente la stessa traiettoria con le medesime caratteristiche. In altre parole, e generalizzando: ai sistemi macroscopici poco importa chi li sta osservando, e come lo sta facendo.
Matrix
I testi di Matrix (1999), grande metafora cyberpunk della platonica lotta per la conoscenza e la liberazione.
La lettura prepara all’esercitazione transdisciplinare su Platone e la percezione della realtà (dal punto di vista psicologico e sociologico): Svegliati e segui il coniglio bianco, ragazzo … pensata come compito di realtà, per una terza liceo di Scienze umane.
CYPHER: Sì?
TRINITY: Tutto procede bene?
CYPHER: Non toccava a te darmi il cambio?
TRINITY: Lo so, ma non so stare senza fare niente.
CYPHER: Lui ti piace, ammettilo, ti piace osservarlo.
TRINITY: Non essere ridicolo.
CYPHER: Dovremo sacrificarlo.
TRINITY: Morpheus è convinto che sia l’eletto.
Paul Watzlawick, La realtà della realtà
In questo testo del 1976, How Real is Real? Communication-Disinformation-Confusion, Watzlawick illustra come la comunicazione (parole, gesti, immagini) modelli ciò che chiamiamo “realtà”: una condizione sempre relativa, storica, costruita.
Propongo i testi: Confusione, Traduttore, traditore, I paradossi, I benefici della confusione.
In coda, un’intervista a Watzlawick sul concetto di causalità e la sua scientificità.
[Dall’introduzione] La realtà della realtà si occupa del modo in cui la comunicazione crea quella che noi chiamiamo realtà. Quest’asserzione può sembrare a prima vista davvero strana: certamente la realtà è quella che è, e la comunicazione è semplicemente un modo di esprimerla o spiegarla.
Nient’affatto. Come dimostreremo, le nostre idee tradizionali sulla realtà sono illusioni che andiamo accumulando per la maggior parte della nostra vita quotidiana, anche al rischio notevole di cercar di costringere i fatti ad adattarsi alla nostra definizione della realtà, e non viceversa. Ma l’illusione più pericolosa è che esista soltanto un’unica realtà.
In effetti, esistono molte versioni diverse della realtà, alcune contraddittorie, ma tutte risultanti dalla comunicazione e non riflessi di verità oggettive, eterne.
Lo stretto nesso tra realtà e comunicazione è un’idea relativamente nuova.
Sebbene fisici e ingegneri abbiano già da molto tempo risolto i problemi della trasmissione efficace dell’informazione, sebbene i linguisti siano da secoli dediti all’esplorazione dell’origine e della struttura del linguaggio, e i semantici si siano addentrati nello studio dei significati, dei segni, e dei simboli, la pragmatica della comunicazione, cioè i modi in cui gli uomini possono spingersi a vicenda verso la pazzia, e le concezioni del mondo, diversissime, che possono insorgere a causa della comunicazione, sono diventati un campo di ricerca solo negli ultimi decenni.
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Bruno Montanari, Come si configura oggi il potere
In questo articolo, uscito sul Rasoio di Occam, il filosofo del diritto [Univ. di Catania e cattolica di Milano] illustra le trasformazioni contemporanee del lessico politico-giuridico nel quale la sequenza territorio – ordine – sistema è stata sostituita da quella di globalità – complessità – equilibrio. All’immagine piramidale del potere si è sostituita quella della rete, trama orizzontale e senza confini, determinata dalla forza dei suoi nodi [I lettori meno inclini ad addentrarsi nell’analisi filosofica, possono saltare la trattazione del punto 3].
1. Il comune cittadino, italiano e non solo, è quotidianamente sommerso da una cascata di notizie, che, per intensità di conseguenze, talora solo potenziali, appare somigliare ad un vero e proprio bombardamento. E del bombardamento, questo affluire incessante di notizie – eventi produce i suoi effetti più scontati: macerie.
Tra le macerie c’è chi continua a vivere e chi muore; nella esperienza che investe l’attuale ambiente sociale ciò che appare esser morto è l’idea stessa di società, di opinione pubblica, di diritto, di ordinamento giuridico, di legittimità istituzionale. Appaiono essere morte, cioè, quelle figure concettuali attraverso le quali il pensiero politico della “modernità” aveva stabilizzato la relazione tra gli uomini e il potere, imprimendo all’interpretazione di quest’ultimo una direzione sempre più “funzionale”, sostituendo via via gli aspetti “padronali”. Contemporaneamente, a supporto di una tale direzione, era emerso forte il consolidarsi di una idea di società come “opinione pubblica”, con la quale chi detiene il potere deve fare i conti[1].
La filosofia, un mestiere pericoloso
I filosofi incarnano, da sempre, la libertà di pensiero e il rischio della verità: un fatto di giustizia, non solo di forma logica. La terza questione affrontatata da Filosofia. Corso di sopravvivenza [Milano, Ponte alle grazie, 2001, pp. 9-13] di Girolamo De Michele.
Come Anassimene scriveva a Pitagora: «con che coraggio posso perdere il mio tempo a conoscere il segreto delle stelle, quando davanti agli occhi ho sempre presente o la morte o la schiavitù?», ognuno deve dire così: «Agitato dall’ambizione, dalla cupidigia, dalla temerarietà, dalla superstizione, e avendo dentro di me altri simili nemici della vita, mi metterò a pensare al moto del mondo?».
Michel de Montaigne, Essays, 26
La morte di Giordano Bruno ci ricorda un altro aspetto della filosofia: che è, come recita il titolo di un bel libro di Luciano Canfora, un mestiere pericoloso. Non è una costante, non sempre è così (grandi filosofi sono stati servili e sottomessi al potere), ma capita che con il solo uso del pensiero alcuni filosofi abbiano conosciuto la galera e l’esilio e abbiano rischiato, e a volte perso, la vita: Democrito, Anassagora, Protagora, Socrate, Platone, Seneca, Ipazia, Boezio, Sigieri di Brabante, Dante Alighieri, Guglielmo di Ockham, Niccolò Machiavelli, Giordano Bruno, Galileo Galilei, Giulio Cesare Vanini, Karl Marx, Giuseppe Mazzini, Antonio Gramsci, Camillo Berneri, Walter Benjamin, Theodor W. Adorno, Hannah Arendt, Gùnther Anders, Karl Lowith, Evgenij Bronislavovic Pasukanis, Emmanuel Lévinas, Toni Negri, Paolo Virno, Ramin Jahanbegloo (e molti altri ancora) hanno conosciuto la persecuzione, l’esilio, e anche la morte. Non sempre hanno cercato la persecuzione, ma l’hanno subita.
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