Posts tagged ‘relativismo culturale’

4 Ottobre, 2022

Tzvetan Todorov, Sul buono e cattivo uso della natura umana

by gabriella

Tzvetan, Todorov (1939 – 2017)

L’ultima riflessione di Tzvetan Todorov, uscita postuma su Micromega (3/2007).

Il saggio, dedicato alla ‘natura umana’, illustra le opposte radicalizzazioni di Montaigne [‘tutto è cultura’] e Diderot [‘tutto è natura’] dalla prospettiva rousseauiana che l’autore riafferma.

Se per Montaigne “tutto è cultura” e per Diderot “tutto è natura”, l’approccio di Rousseau è infatti differente: non rinuncia all’universalismo e a una sua fondazione come Montaigne per cui non vi è natura ma solo cultura e consuetudine; né cerca, come Diderot, di fondare la natura umana e la sua universalità sul fatto, ma assume la “socialità” della natura umana come fondamento della moralità (Gianfranco Marini).

Ai giorni nostri si ha qualche ripugnanza a riferirsi alla «natura umana». Questa espressione sembra aver partecipato al naufragio generale delle pompose astrazioni ereditate dal passato. E se lo stesso naufragio appartenesse a tali astrazioni? Il nostro vocabolario odierno non è meno pomposo di quello dei nostri predecessori; ma, ammaliati dalla novità delle formule, stentiamo a giudicarle con serenità. In luogo della natura e dell’uomo compaiono però vocaboli che non vogliono necessariamente dire altro né sono generalizzazioni più felici.

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10 Settembre, 2021

Las Casas e Montaigne: il ‘500 e la (ri)scoperta dell’alterità

by gabriella

Hans Staden, Cannibalismo in Brasile (1557)

L’incontro con le popolazioni americane e le civiltà precolombiane del Messico e del Perù nel ‘500 agì da autentico choc culturale sulla mentalità europea.

Ai resoconti di viaggio e ai trattati etnografici dei primi esploratori e missionari seguirono le riflessioni di giurisiti, teologi, filosofi e moralisti tese a inquadrare in categorie politico-religiose, l’incontro-scontro con quelle popolazioni diverse da noi.

Le posizioni iniziali, motivate da consistenti interessi economici, furono decisamente etnocentriche: gli europei si considerarono cioè i rappresentanti dell’unica civiltà e religione universale, quella cristiana, di fronte a un’umanità guardata come inferiore e barbara.

Alla formazione di questo giudizio (o, più propriamente, pregiudizio), contribuirono le descrizioni,  dei costumi e delle pratiche delle popolazioni caraibiche, più arretrate di quelle incontrate poi dai conquistadores sul territorio americano.

Il nome stesso, Caraibi, significa infatti in spagnolo “cannibali“, e dipinge in modo inconfondibile il senso di disprezzo e di estraneità degli europei rispetto alle popolazioni autoctone.

Gli indigeni americani non furono dunque riconosciuti come portatori di una cultura, per quanto diversa dalla nostra, ma giudicati sul metro della civiltà europea come “selvaggi”, esseri semi-ferini da trattare senza scrupoli eccessivi.

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4 Marzo, 2018

Cornelius Castoriadis, L’invenzione greca della democrazia diretta

by gabriella

Cornelius Castoriadis spiega la logica e il funzionamento della democrazia greca, là dove il popolo è lo stato e le magistrature sono elette, ma i rappresentanti sono estratti a sorte e sottoposti a rigorosa rotazione. Lo fa ponendola magistralmente a confronto con le post-democrazie moderne, ormai oligarchie liberali [qui video e testo con sottotitoli in italiano].

Dopo il video dell’intervista filmata nel 1989 da Chris Marker per la Sept (la futura Arte France) – incluso nella serie L’héritage de la chouette – una scelta di passi significativi tradotti dall’originale francese, disponibile su mediapart.fr.

Ce n’est que le peuple qui doit vivre sous ses lois qui peut décider quelles sont les meilleures.

Solo il popolo che deve vivere sotto le sue leggi può decidere quali siano  le migliori.

 


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13 Novembre, 2013

Ugo Fabietti, L’Occidente: una cultura tra le tante

by gabriella

WASP

WASP

La reazione a Razza e storia e le conseguenze culturali del lavoro di Lévi-Strauss.

La pubblicazione, nel 1952, di Razza e storia non passò inosservata. Accanto alle lodi per un testo che affrontava in maniera diretta e ampia lo spinoso problema del rapporto tra “razza”e civiltà, vi fu chi espresse decise riserve che furono però – è bene precisare subito – il segno di una fondamentale incomprensione di gran parte della cultura fran­cese di allora. C’erano stati la Seconda guerra mondiale e l’Olocausto; il colonialismo era morente; i problemi demografici e alimentari ricevevano allora, per la prima volta nella storia, un’attenzione mondiale. Non si trattava più soltanto di studiare sperdute umanità nel cuore delle foreste o dei deserti. Studiare piccole comunità marginali era certamente ciò che lo stesso Lévi-Strauss aveva fatto in Brasile ma a questo studio e a queste ricer­che egli dava un respiro e un taglio problematico più ampio di quello che aveva fino ad allora caratterizzato l’antropologia nel suo Paese e altrove.

Il rapporto tra culture, il posto dell’uomo nella natura, il diritto che l’Occidente si era assunto di farsi “tutore” delle altre forme di vita sociale e culturale, erano temi “nuovi” per la discussione intellettuale e la preparavano ad altri dibattiti e confronti. E Lévi-Strauss parlava infatti dell’antropologia come di un argine che poteva opporsi all’inarrestabile avanzata planetaria dell’Occidente; avanzata che minacciava di negare la conoscenza e la comprensione – proprio in Occidente – delle umanità “altre”. Erano in pochi, allora, a capirlo davvero.

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31 Maggio, 2013

Eva Cantarella, La curiosità di Erodoto

by gabriella

ErodotoLa lezione di Eva Cantarella, La curiosità di Erodoto, tenuta sabato 25 maggio 2013 al Festival di Antropologia di Pistoia.

Qui i libri I-VII de Le storie. Libro I. La Lidia e la Persia. A cura di David Asheri, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005; Libro II. L’Egitto. A cura di Alan B. Lloyd. Traduzione di Augusto Fraschetti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2010; Libro III. La Persia. A cura di David Asheri e Silvio M. Medaglia. Traduzione di Augusto Fraschetti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005; Libro IV. La Scizia e la Libia. A cura di Aldo Corcella e Silvio M. Medaglia. Traduzione di Augusto Fraschetti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2007; Libro V. La rivolta della Ionia. A cura di Giuseppe Nenci, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2006; Libro VI. La battaglia di Maratona. A cura di Giuseppe Nenci, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2007; Libro VIII. La vittoria di Temistocle. A cura di David Asheri e Aldo Corcella. Traduzione di Augusto Fraschetti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2010; Libro IX. La battaglia di Platea.

6 Luglio, 2011

Annamaria Rivera, Con l’arma impropria dell’universale

by gabriella

 A partire dal fatidico 11 settembre, uno spettro è tornato ad aggirarsi per l’Europa: il “relativismo culturale”. In Italia soprattutto, non v’è articolo, commento, intervista su controversie riguardanti i rapporti fra “noi” e gli “altri” che non si apra o si chiuda con un’invettiva contro il relativismo.  Che si tratti della questione del  foulard detto islamico o del dibattito sulle cosiddette mutilazioni dei genitali femminili, del rapporto con l’islam “trapiantato” oppure del giudizio sulla guerra preventiva, la rampogna antirelativista è divenuta luogo comune delle retoriche di destra, ma condiviso da non pochi locutori di sinistra. Cosa, quest’ultima, alquanto sorprendente se si considera che il tema del rifiuto del relativismo –che nel linguaggio neocons significa indiscutibilità del fondamentalismo cristiano e del connesso progetto imperiale armato – è ricomparso sull’onda dell’offensiva della nuova destra americana e della pretesa della superiorità assoluta della “civiltà occidentale”. Circa l’uso politico della deprecazione del relativismo, rigore vuole, tuttavia, che si faccia distinzione fra varianti di destra e varianti di sinistra: nella variante guerresca alla Marcello Pera, occorre sbarazzarsi del relativismo –“la sofferenza dell’Occidente”- perché appaia chiaro che la guerra preventiva è soluzione necessaria per quanto dolorosa; nelle varianti di sinistra, il relativismo culturale è deprecabile perché alimenta il “comunitarismo” (côté francese) oppure perché è rinuncia a principi quali  l’uguaglianza fra i generi (côté italiano, oltre che francese).

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