Posts tagged ‘relazione pedagogica’

26 Aprile, 2022

Aurelio Agostino

by gabriella

Agostino d’Ippona (354 – 430)

Nel Medioevo giunge ad affermarsi, attraverso un lungo processo, la nuova visione della vita e del mondo introdotta dal cristianesimo che si innesta sulla precedente cultura classica.

Il cristianesimo pone all’attività educativa un fine nuovo, la salvezza dell’anima del cui conseguimento non si può mai essere certi, poiché può essere ottenuto solo con la grazia.

Ciò comporta il capovolgimento dell’intellettualismo etico dei greci per i quali il conoscere è premessa del comportamento giusto.

Per i pensatori cristiani, al contrario, non è il vero (cioè la conoscenza) ad essere condizione del bene, ma è il Bene la condizione del vero: per conoscere occorre perciò credere ed essere puri (Clemente alessandrino).

 

Indice

1. La filosofia cristiana
2.L’itinerario spirituale di Agostino

      2.1 Gli anni manichei
      2.2 Dallo scetticismo alla conversione
      2.3 Gli anni delle responsabilità pubbliche e del pessimismo antropologico

            2.3.1 Il De Magistro
2.3.2
La lotta contro le eresie e l’intolleranza cristiana
            2.3.3 La legge naturale
            2.3.4 Il sacco di Roma e la visione della storia

 

1. La filosofia cristiana

Schematicamente, i tre momenti del pensiero cristiano distinti dalla storiografia filosofica sono la riflessione dei padri apologisti, la patristica e la scolastica.
Fu compito dei primi apologisti, da Giustino a Tertulliano, l’affermazione della dignità filosofica del cristianesimo e la traduzione della dottrina cristiana nelle categorie greche (particolarmente ad opera di Clemente e Origine) che prelude alla costruzione di una filosofia cristiana come erede di quella greca (Basilio, Gregorio di Nissa). Aurelio Agostino è invece il maggior rappresentante della patristica latina e il principale mediatore della cultura antica con quella cristiana.

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22 Giugno, 2012

Marcel Hénaff, Il prezzo della verità

by gabriella

La recensione di Beniamino Fortis a Marcel Hénaff, Il prezzo della verità. Il dono il denaro, la filosofia, Città Aperta, 2007.

Quel che conta non ha prezzo [per tutto il resto c’è Master Card …]

Se vi sia ancora spazio, nell’epoca del pieno dispiegamento della logica commerciale, per un ambito sottratto alle valutazioni mercantili è questione che assume un ruolo preponderante nell’ambito delle tematiche trattate da Marcel Hénaff. Da essa prende le mosse il percorso che le attraversa, e ad essa è riconducibile la sostanziale continuità tra i tre nuclei problematici che, dell’intera opera, scandiscono e orientano lo sviluppo. Figure della venalità, L’universo del dono, La giustizia nello scambio e lo spazio mercantile, sono infatti le tre tappe, i tre quadri concettuali, susseguentisi nella stretta relazione che nell’ultima parola dell’uno, riconosce contemporaneamente il primo atto del successivo. Nel risultato ultimo, conseguito nell’ambito di un piano tematico, il presupposto, a partire dal quale è consentito lo sviluppo della trattazione seguente.

Oggetto della prima parte dell’opera è la delineazione del concetto di venalità. Una ricostruzione della critica rivolta da Platone e Aristotele contro i sofisti individua il tratto saliente della polemica nell’indignazione provata dinanzi alla circostanza, per la quale era consuetudine dei maestri di sofistica esigere un onorario in cambio dei servigi offerti. Nella fattispecie, appare scandalosa l’indebita istituzione di un rapporto fra ciò che, per sua stessa natura, risulta essenzialmente incomponibile: «La scienza e il denaro non si misurano con lo stesso metro» (Aristotele, Etica Eudemia, VII, 10, 1243b).

Sulla base di tale irriducibile incommensurabilità, le conclusioni che si traggono conducono al più profondo discredito per i sofisti – che quindi, non possono in alcun modo essere quei maestri di autentico sapere per i quali si spacciano, poiché, se veramente così fosse, nessun compenso potrebbe, in tal caso, risultare adeguato. È il fatto che gli insegnamenti sofistici siano – in certo qual modo – misurabili – che a essi, cioè, sia possibile dare un prezzo – a evidenziarne la radicale estraneità rispetto all’autentica saggezza della filosofia.

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11 Febbraio, 2012

Pierre Bourdieu, Intervista sulla violenza simbolica

by gabriella

Parigi, Maggio 1994

La nozione di violenza simbolica mi è parsa necessaria per designare una forma di violenza che possiamo chiamare “dolce” e quasi invisibile. E’ una violenza che svolge un ruolo importantissimo in molte situazioni e relazioni [umane]. Per esempio, nelle rappresentazioni ordinarie la relazione pedagogica è vista come un’azione di elevazione dove il mittente si mette, in qualche modo, alla portata del ricevente per portarlo ad elevarsi fino al sapere, di cui il mittente è il portatore. E’ una visione non falsa, ma che maschera [l’aspetto di violenza]. [La relazione pedagogica, per quanto possa] essere attenta alle attese del ricevente, implica un’imposizione arbitraria di un arbitrio culturale. Basti paragonare, per esempio – come si sta incominciando a fare oggi- gli insegnamenti della filosofia negli Stati Uniti, in Italia, in Germania, in Francia, ecc.: si vede allora che il Pantheon dei filosofi che ognuno di questi tipi [nazionali] di insegnamento impone [ai discenti] è estremamente diverso; e una parte dei malintesi nella comunicazione tra i filosofi dei diversi paesi consistono nel fatto che essi sono stati esposti, all’epoca della loro prima iniziazione, ad una certa arbitrarietà culturale. E’ a questo proposito che ho elaborato la nozione di “violenza simbolica”, la quale mi è apparsa importante…

D. A proposito della filosofia, può darci degli esempi di diversità da paese a paese? Evidentemente, il fatto che ogni paese abbia i suoi filosofi preferiti – come i suoi scrittori o musicisti preferiti – mi pare alquanto normale e banale. In che senso le particolarità culturali nazionali si traducono in una violenza sugli allievi?

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