La natura sovraindividuale, “metafisica”, della rivolta nell’esordio de L’homme revolté . Uno stralcio del saggio di Cristina Cecchi su Camus e Holloway pubblicato da Micromega.
«Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi».
La rivolta è una negazione che afferma. È un No che libera da per rendere liberi di. È destruens e construens in un unico movimento. Il No può essere pronunciato silenziosamente oppure ad alta voce; in ogni caso, il primo destinatario di questo messaggio è l’individuo stesso che lo emette. Il No consegue a una subitanea presa di coscienza e stabilisce il limite che l’individuo non può tollerare venga oltrepassato senza che i suoi propri diritti siano violati. Perciò è negazione e insieme affermazione:
«Così, il movimento di rivolta poggia, ad un tempo, sul rifiuto categorico di un’intrusione giudicata intollerabile e sulla certezza confusa di un buon diritto, o più esattamente sull’impressione, nell’insorto, di avere “il diritto di…”. Non esiste rivolta senza la sensazione d’avere in qualche modo, e da qualche parte, ragione» [Albert Camus, L’uomo in rivolta, 1951]
La rivolta è il moto che nasce dalla ripulsa provata al cospetto di una condizione ritenuta ingiusta e che si sviluppa per opporre ciò che è preferibile a ciò che non lo è. Si insorge non solo per rivendicare una condizione migliore per se stessi: la rivolta, benché nasca in quanto c’è di più strettamente individuale nell’umano, è superamento dell’individuo in un bene ormai comune, perché affermazione di un diritto che trascende il singolo; l’insorto agisce, anche a costo della sua stessa vita, in nome di un valore (relativo, ovviamente) che sente di condividere con tutti gli umani.
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