Posts tagged ‘Shoah’

16 Ottobre, 2017

16 ottobre 1943, il rastrellamento del ghetto di Roma

by gabriella

Rai – La storia siamo noi, il racconto di Radiorai3 [Prima parteSeconda parte; Terza parteLa testimonianza di Pietro Terracini; La testimonianza di Giulia Sermoneta Coen] nel settantaquattresimo anniversario del rastrellamento.

rastrellamentoE’ morto all’inizio del mese di ottobre Leone Sabatello, ultimo sopravvissuto della razzia nazista nel ghetto di Roma. Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, nel dare la notizia, ha così commentato la triste circostanza:

Leone, che aveva tatuato sul braccio il numero 158621 che gli imposero i nazisti in campo di sterminio, non era mai voluto tornare a visitare Auschwitz e non aveva mai raccontato la sua storia, che si è portato nella tomba. Questa morte pone di nuovo il problema della trasmissione della memoria a mano a mano che scompaiono sia i sopravvissuti sia i carnefici. L’angoscia che proviamo per la morte di Sabatello si sovrappone alla paura che nel tempo si possa modificare la verità di quegli anni bui.

È il 16 ottobre del 1943, il “sabato nero” del ghetto di Roma. Alle 5.15 del mattino le SS invadono le strade del Portico d’ottavia e rastrellano 1024 persone, tra cui oltre 200 bambini. Due giorni dopo, alle 14.05  del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina. Dopo sei giorni arriveranno al campo di concentramento di Auschwitz in territorio polacco. Solo quindici uomini e una donna (Settimia Spizzichino) ritorneranno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini è mai tornato.

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11 Maggio, 2014

Jean François Bossy, Atelier philosophie et Shoah

by gabriella

La scelta di testi (per ora in francese) del laboratorio filosofico tenuto nel novembre 2011 da Bossy al Mémorial de la Shoah. Le questioni affrontate: la sparizione o la cancellazione delle tracce come struttura del crimine; la struttura ricorsiva dell’antisemitismo; l’impossibilità del lutto e dell’oblio [quest’ultimo testo è in traduzione].

 

I. La disparition ou l’effacement des traces comme structure du crime

camera a gas del Krematorium I

Auschwitz Birkenau, Camera a gas del Krematorium I

Texte 1: « Ainsi la peur des camps des camps de concentration, et les vues qui en résultent quant à la nature de la domination totale, peuvent-elles servir à […] fournir, par delà celles-ci, la principale échelle à laquelle rapporter les événements politiques de notre temps : servent-ils ou non la domination totalitaire ? En tout cas, l’effroi dont est frappée l’imagination a le grand avantage de réduire à néant les interprétations sophistico-dialectiques de la politique, qui sont toutes fondées sur la superstition que du mal peut sortir le bien. De telles acrobaties dialectiques eurent un semblant de justification aussi longtemps que le pire traitement qu’un homme pouvait infliger à un autre était de le tuer. Mais, nous le savons aujourd’hui, le meurtre n’est qu’un moindre mal. Le meurtrier qui tue un homme – un homme qui devait de toute façon mourir – se meut encore dans le domaine de la vie et de la mort qui nous est familier ; toutes deux ont assurément un lien nécessaire, sur lequel se fonde la dialectique, même si elle n’en est pas toujours consciente. Le meurtrier laisse un cadavre derrière lui et ne prétend pas que sa victime n’a jamais existé ; s’il efface toutes traces, ce sont celles de son identité à lui, non le souvenir et le chagrin des personnes qui ont aimé sa victime ; il détruit une vie, mais il ne détruit pas le fait de l’existence lui-même. Les nazis, avec la minutie qui les caractérisait, avaient coutume d’enregistrer toutes leurs activités dans les camps de concentration sous la rubrique « Sous l’épaisseur de la nuit (Nacht und Nebel) ». Le radicalisme des mesures prises pour traiter les gens comme s’ils n’avaient jamais existé et pour les faire disparaître au sens littéral du terme n’apparaît généralement pas à première vue. La véritable horreur des camps de concentration et d’extermination réside en ceci que les prisonniers, même s’il leur arrive d’en réchapper, sont coupés du monde des vivants bien plus nettement que s’ils étaient morts ; c’est que la terreur impose l’oubli. »

Hannah Arendt, Le système totalitaire, Points-Seuil, 1974, p. 179-180.

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6 Novembre, 2013

Adriano Prosperi, Sanzionare per legge il negazionismo

by gabriella

 

PriebkeSull’onda emotiva del caso Priebke è stato proposto un emendamento al codice penale che punisce con il carcere chi nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità. Ma una norma del genere contro un reato di opinione non può entrare nel codice di un paese erede dei principi dell’Illuminismo senza alterarlo in modo sostanziale. Tratto da Repubblica, 30 ottobre 2013.

Col processo e con la condanna di Priebke l’Italia aveva dato una lezione di civiltà giuridica al mondo intero. Non vendetta, solo giustizia: una regolare estradizione dell’assassino delle Ardeatine dall’Argentina, un processo, la sentenza. E dopo la condanna la concessione dei benefici dell’età.

Così l’antico capitano delle SS ha potuto muoversi tranquillamente per Roma in mezzo agli eredi delle sue vittime. Ne ha fatto uso per rivendicare un miserabile orgoglio di soldato e per negare l’ingranaggio di morte di cui era stato un piccolo anello. Dietro di lui intanto altri pensavano a come farne un’icona politica dopo il vicino decesso. A favore del disegno c’era la prevedibile benedizione della Chiesa e il consueto facile perdono italico. Ma stavolta dall’alto di quel Vaticano che non aveva visto il rastrellamento degli ebrei del 1943, qualcuno ha visto il disegno e ha inceppato il meccanismo.

E subito dopo l’onore dell’Italia civile è stato salvato dal popolo di Albano Laziale. È fallito così il tentativo di una burocrazia cieca e di un manipolo di antisemiti in tonaca di inscenare una celebrazione del morto e del nazismo nei luoghi bagnati dal sangue delle vittime.

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