L’avvenire di un’illusione (1927), è dedicato da Freud al ruolo svolto dalla religione nel mantenimento della convivenza sociale, la civiltà che il padre della psicanalisi vedeva edificata sulla rinuncia alla scarica delle pulsioni sessuali e aggressive.
Le forme di religiosità più arcaiche sono ricondotte da Freud a una trasfigurazione delle forze della natura in termini paterni, legata al bisogno di protezione dal rischio dell’annientamento. Il sentimento religioso ha dunque origine nel vissuto di radicale impotenza sperimentato da ognuno durante l’infanzia, significato che emerge esplicitamente nell’immagine del Dio ebraico.
La componente allucinatoria rinvenuta nelle rappresentazioni religiose, del tutto affine alle altre produzioni dell’inconscio quali i sintomi e i sogni, porta lo scienziato a definire la religione «la nevrosi ossessiva universale dell’umanità», la cui carica affettiva rende solida un’eredità arcaica e infantile che l’umanità stenta a lasciarsi alle spalle.
«L’insieme è così manifestamente infantile, così irrealistico, da rendere doloroso,
a un animo amico dell’umanità, pensare che la grande maggioranza dei mortali
non sarà mai capace di sollevarsi al di sopra di questa concezione della vita».
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