Alberto Burgio suggerisce di guardare al degrado dei nostri monumenti, all’abbandono della cultura, al tradimento della scuola, non come a meri “accidenti” delle politiche di destra, ma come effetti necessari e coerenti dell’economia di mercato o società borghese che dir si voglia.
Quando Tremonti pensò di trasformare gli atenei pubblici in Fondazioni, che notoriamente non sono enti filantropici, e poi la Gelmini portò a compimento il processo di aziendalizzazione dell’Università, ci scandalizzammo. Quando vediamo Pompei e le mura del Pincio crollare, rimaniamo attoniti. Quando leggiamo di un’intera biblioteca – quella dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici – costretta a sloggiare dalla sua sede naturale per trasferirsi in un capannone, protestiamo. Abbiamo tutte le ragioni per farlo. Ma forse commettiamo un errore in qualche modo analogo a quello in cui perseveriamo pensando che certi politici si ingannino sul senso delle proprie azioni e della devastazione che ne consegue.
Siamo sicuri che le cose stiano proprio così?
E se invece in questa incuria storica (quanti, per esempio, conoscono lo stato cronico di abbandono delle biblioteche pubbliche, a cominciare dalle nazionali, tenute in vita, contro il sadismo ministeriale, dall’amore eroico del personale?) – se invece in questo degrado si manifestasse né più né meno, anzi nel modo più diretto e limpido, il modo di essere proprio della borghesia»?
Se avesse ragione Marx quando, sin nel Manifesto, descrive il ruolo rivoluzionario della borghesia osservando che essa tutto traduce in termini economici? Come dire che, nella modernità borghese, il denaro è finalmente e in senso pieno l’«equivalente generale», la misura di ogni valore. Se avesse ragione Marx quando poi analizza il rapporto sociale come né più né meno che la coerente e organica manifestazione del processo di accumulazione del capitale? E avesse ragione Debord, che, sulla scia di Marx, descrive la società contemporanea (il capitalismo maturo) come teatro della merce, nel quale lo spirito della merce – che è poi lo spirito del valore monetario – domina incontrastato e ridefinisce tutti i valori a partire da sé?
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