Posts tagged ‘soggettivazione’

13 Giugno, 2014

Eleonora de Conciliis, Che cosa significa insegnare?

by gabriella

de_conciliisInsegnare significa essenzialmente produrre soggettività, dar forma a un individuo, strutturare l’informe imprimendovi un segno. Si tratta infatti di una tecnica di governo degli altri che è in grado di formare anche l’oggetto su cui si esercita. Come tale è anche un sintomo, cioè un segno della condizione patologica in virtù della quale si esercita il dominio. Il modo in cui si insegna rivela, pertanto, i tratti decisivi della società contemporanea, facendo emergere la domanda cruciale: si può insegnare, cioè plasmare, governare in un altro modo? Si può farlo in modo diverso da come si è fatto finora? Uno stralcio della bella introduzione di Che cosa significa insegnare?.

Insegnare (insieme a curare e governare) è, per dirla con Freud, un mestiere impossibile, ma è pur sempre una professione (Beruf) weberianamente politica.

Pier Aldo Rovatti, Soggettivazioni

Insegnare vuol dire, alla lettera, imprimere nella mente, fare un segno (signum) dentro qualcuno, avviare un processo attraverso un linguaggio che scrive, incide l’interiorità psichica e così facendo non solo la apre, ma la crea. L’insegnamento produce soggettività: in termini foucaultiani, è una tecnica di governo degli altri che implica il governo di sé, una forma di potere-sapere che è in grado di formare anche l’oggetto su cui si esercita. Questi due significati (segno e governo) si rimandano l’un l’altro e ne dischiudono un terzo, poiché l’insegnamento non è solo trasmissione di un sapere che ha il potere di incidere e con ciò produrre il (s)oggetto; per chi lo impartisce e per chi lo riceve, esso è anche un sintomo che nel quadro clinico della civiltà contemporanea, compare insieme ad altri come spia di una condizione patologica.

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17 Aprile, 2014

Antonio Volpe, Liberazionismo senza liberazione?

by gabriella

Michel Foucault (im Pariser SPIEGEL-Büro am 09.12.1977)  SPIEGEL Bild-ArchivPartendo dalla teoria del potere di Foucault, ma anche mobilitando Camus e la pedagogia delle catastrofi, Volpe si chiede se sia possibile scindere vita e biopotere, se sia cioè possibile superare definitivamente il dominio e l’oppressione umana e non umana. Tratto da Asinus novus.

 

Il doppio legame fra vita e potere

Ne La volontà di sapere, com’è noto, Foucault delinea una concezione inedita del potere fissando non solo un metodo e un campo d’indagine completamente divergenti da quelli proposti fino ad allora da una lunga tradizione filosofica, ma pure una nuova “ontologia”, una nuova concezione della realtà basata su uno scontro di forze organizzate strategicamente attraverso le pratiche e i saperi che attraversa capillarmente la vita degli individui. Oltre che reticolare e continuo, il potere in Foucault non è estorsivo, come per esempio nelle teorie marxiste, ma creativo e produttivo. Non è calato dall’alto, né è l’effetto delle sole strutture economiche, ma coinvolge sullo stesso piano strategie di disciplinamento multiple, che investono ogni sfera della vita. La stessa soggettivazione del singolo è l’effetto di un processo di assoggettamento attraverso pratiche e giochi di verità senza il quale non si darebbe soggetto alcuno.

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12 Marzo, 2014

Etienne Balibar, La sesta tesi su Feuerbach

by gabriella
Karl Marx (1818 - 1883)

Karl Marx (1818 – 1883)

Traggo dal Rasoio di Occam questo studio, un po’ tecnico ma illuminante, della tesi marxiana che l’uomo non è, nella sua essenza, che l’insieme dei rapporti sociali.

Le Tesi su Feuerbach[1], un insieme di 11 aforismi a quanto pare non destinati alla pubblicazione in questa forma, sono state scritte da Marx nel corso del 1845 mentre stava lavorando al manoscritto dell’Ideologia tedesca, anch’esso non pubblicato. Sono state scoperte più tardi da Engels e da lui pubblicate con alcune correzioni (non tutte prive di significato), come appendice al suo pamphlet Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca (1886)[2]. Sono considerate largamente una delle formulazioni emblematiche della filosofia Occidentale, talvolta comparate con altri testi estremamente brevi ed enigmatici che combinano una ricchezza apparentemente inesauribile con uno stile enunciativo da manifesto, che annuncia un modo di pensare radicalmente nuovo come il Poema di Parmenide o il Trattato di Wittgenstein.

Alcuni dei suoi celebri aforismi hanno guadagnato a posteriori lo stesso valore di un punto di svolta in filosofia (o, forse, nella nostra relazione con la filosofia) come, per esempio dei già citati Parmenide e Wittgenstein rispettivamente:

tauton gar esti noein te kai einai [lo stesso è il pensare e l’essere],

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12 Gennaio, 2014

Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo

by gabriella

foucaultIn questo testo del 2006 [ripubblicato in Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Roma, Nottetempo, collana I sassi, 2010, pp. 4-21] Agamben riflette sul significato del dispositivo  e della soggettivazione nelle società disciplinari, concludendo con un’analisi della problematica resistenza ai dispositivi capitalistici contemporanei – poiché legati a processi di desoggettivazione – e alla possibilità di una loro «profanazione».

1. Le questioni terminologiche sono importanti in filosofia. Come ha detto una volta un filosofo per il quale ho il piú  grande rispetto, la terminologia è il momento poetico del pensiero. Ciò non significa che i filosofi debbano ogni volta necessariamente definire i loro termini tecnici. Platone non ha mai definito il piú importante dei suoi termini: idea. Altri invece, come Spinoza e Leibniz, preferiscono definire more geometrico la loro terminologia.

L’ipotesi che intendo proporvi è che la parola “dispositivo” sia un termine tecnico decisivo nella strategia del pensiero di Foucault. Egli lo usa spesso soprattutto a partire dalla metà degli anni Settanta, quando comincia a occuparsi di quello che chiamava la “governamentalità” o il “governo degli uomini”. Benché non ne dia mai una vera e propria definizione, egli si avvicina a qualcosa come una definizione in un’intervista del 1977:

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