Tratto da La filosofia antica, Milano, Rizzoli, 1984, pp. 17-19.
La filosofia nasce grande. I primi passi della sua storia non sono cioè l’incerto preambolo a un più maturo sviluppo del pensiero, ma stabiliscono i tratti fondamentali del suo intero decorso storico.
Per decine e decine di millenni, l’esistenza dell’uomo – globalmente e in ogni suo singolo aspetto – è guidata dal mito. Il mito non intende essere un’invenzione fantastica, bensì la rivelazione del senso essenziale e complessivo del mondo. Anche nella lingua greca il significato più antico della parola mythos è “parola”, “sentenza”, “annunzio”; a volte mythos significa persino “la cosa stessa”, la “realtà”. Solo in modo derivato e più tardo, nella lingua greca mythos indica “leggenda” , la “favola”, il “mito”.
Ma il mito arcaico è sempre collegato al sacrificio, cioè all’atto col quale l’uomo si conquista il favore degli dèi e delle forze supreme che, secondo la rivelazione del mito, regnano nell’universo. Il sacrificio può essere cruento, oppure del tutto incruento, come nelle pratiche ascetiche dello Yoga; ma in ogni caso il suo intento è di identificarsi e di dominare ciò che nel mito appare come la potenza suprema.
Per la prima volta nella storia dell’uomo, i primi pensatori greci escono dall’esistenza guidata del mito e la guardano in faccia. Nel loro sguardo c’è qualcosa di assolutamente nuovo. Appare cioè l’idea di un sapere che sia innegabile, e sia innegabile non perché le società e gli individui abbiano fede in esso, o vivano senza dubitare di esso, ma perché esso stesso è capace di respingere ogni suo avversario. L’idea di un sapere che non può essere negato né da uomini, né da dèi, né da mutamenti dei tempi e dei costumi. Un sapere assoluto, definitivo, incontrovertibile, necessario, indubitabile.
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