Posts tagged ‘sovranità assoluta’

20 Maggio, 2024

L’humanitas romana

by gabriella

Marco Tullio Cicerone (106 – 43 a. C.)

Indice

1. Marco Porcio Catone
2. Marco Tullio Cicerone
3. Marco Fabio Quintiliano

 

Con la sua sintesi di motivi ellenistici e temi della tradizione arcaica romana, il pensiero educativo da Catone (234-149 a.C.) a Quintiliano (35/40-96 a.C.) ha avuto un’influenza fondamentale sulla tradizione occidentale.

A differenza del pensiero greco, la cultura romana non dispone di un’opera letteraria a cui riferirsi come elemento fondativo, i valori e i principi comuni vengono dunque rintracciati all’interno della tradizione, cioè di quella vita di un popolo di contadini che si affidava ai motivi etici della famiglia, della dedizione allo stato, del rispetto delle leggi e della tradizione, della pietas verso gli dèi, della fermezza (virtus), della dignità personale (gravitas) e del lavoro.

Questo insieme di valori, codificato nelle leggi non scritte del mos maiorum e in quelle inscritte nel bronzo delle Dodici tavole – una legificazione che fu, di fatto, una codificazione del mos maiorum del 451 a. C. per rispondere a conflitti sociali tra patrizi e plebei – costituisce il carattere romano della riflessione sviluppata nei circa quattro secoli che prendiamo in considerazione.

Questa identità originaria costituisce il filtro attraverso cui Roma si confronta con la cultura greca da Marco Porcio Catone, che considera nefasta la sua influenza e le attribuisce la crisi morale e il declino delle istituzioni avite, a Cicerone (106-43 a.C.) che la considera con circospezione ma la pone a fondamento delle virtù fondamentali dell’uomo pubblico.

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11 Ottobre, 2021

Thomas Sankara, La seconda indipendenza africana

by gabriella

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Il 31 ottobre 2014, Blaise Compaoré, l’uomo che dopo l’assassinio di Thomas Sankara ne aveva preso il posto alla presidenza del Burkina Faso, è stato costretto a dimettersi. È del 13 aprile 2021, invece, la notizia che sarà processato per il suo omicidio.

Trentotto anni fa, il 4 agosto 1983, Thomas Sankara aveva dato inizio alla rivoluzione burkinabé che avrebbe portato l’ex Alto Volta ad assicurare, in poco più di due anni, due pasti al giorno e acqua potabile ai sette milioni di abitanti del poverissimo paese del Sahel.

Protagonista delle lotte contro il neocolonialismo e per la cancellazione del debito, Thomas Sankara è stato assassinato nel 1987, grazie al tradimento del suo amico più caro, Compaoré appunto, due mesi dopo il celebre discorso alla conferenza di Addis Abeba per la cancellazione del debito del terzo mondo:

Se il Burkina Faso resterà solo in questa richiesta – disse, consapevolmente Sankara – l’anno prossimo non sarò più qui a questa conferenza.

Dal Discorso all’Assemblea Nazionale dell’ONU, 4 ottobre 1984:

Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso sul suolo dei propri antenati di affermare d’ora in avanti se stesso e farsi carico della propria storia. Oggi vi porto i saluti fraterni di un paese di 274.000 Km2 in cui sette milioni di bambini, donne e uomini si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e di sete non riuscendo più a vivere una vita degna di essere vissuta. Chi mi ascolta, mi permetta di dire che parlo non solo in nome del mio Burkina Faso tanto amato, ma anche in nome di tutti coloro che soffrono in ogni angolo del mondo.

Burkina FasoParlo in nome dei milioni di esseri umani che vivono nei ghetti perché hanno la pelle nera o sono di culture diverse, considerati da tutti poco più che animali. Parlo  in nome di quelli che hanno perso il lavoro in un sistema che è strutturalmente ingiusto e congiunturalmente in crisi, ridotti a percepire della vita solo il riflesso di quella dei più abbienti. Parlo in nome delle donne del mondo intero che soffrono in nome di un sistema maschilista che le sfrutta. Le donne che vogliono cambiare hanno capito e urlano a gran voce che lo schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione quando il padrone gli promette libertà. 

Giunto al potere a trentaquattro anni con un colpo di stato militare, Sankara aveva risollevato in pochi anni il Burkina Faso [fascia del Sahel] dalla sua miseria secolare.

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29 Luglio, 2013

I monarcomachi

by gabriella

resistencehuguenoteNel XVI e XVII secolo, mentre infuriavano le guerre di religione, i calvinisti francesi teorizzarono la sovranità popolare e svilupparono una originale dottrina politica che legava l’azione del sovrano al consenso popolare e la legittimità della ribellione e del tirannicidio.

Nous qui vallons plus que vous, et qui pouvons plus que vous, vous élisons Roy à telles & telles conditions, et y en a un [Dieu] entre vous et nous,  qui commande par dessus vous .

Noi che valiamo più di voi e che possiamo più di voi, vi eleggiamo re a queste e quest’altre condizioni e c’è uno tra voi e noi che comanda sopra di voi.

Formula anticamente pronunciata dai rappresentanti del popolo del Regno d’Aragona durante la consacrazione del re

Sono detti monarcomachi quei teorici del XVI e XVII secolo – soprattutto – ugonotti « qui combattent le gouvernement d’un seul », cioè la monarchia assoluta, difendendo la tesi di una monarchia contrattuale – un antecedente storico di quella che sarà molto più tardi la monarchia costituzionale.

Théodore de Bèze

Théodore de BPhilippe de Mornayèze

In Francia e Svizzera furono inizialmente gli ugonotti Théodore de Bèze, Philippe de Mornay, François Hotman, Hubert Languet, a rivendicare la sovranità del popolo e a sostenere che gli Stati Generali, in quanto assemblea del popolo, dovevano scegliere il re e i magistrati, potevano destituirli in caso di demerito, decidere la pace e la guerra e fare le leggi.

Se la sovranità è del popolo, sostennero i monarcomachi, anche la sua obbedienza è condizionale e riposa sul rispetto delle promesse da parte del re (in seguito, sul rispetto della legge da parte del sovrano). Nel caso in cui il re si comporti da tiranno, la resistenza è dunque legittima, secondo alcuni, fino al tirannicidio.

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27 Marzo, 2013

Riccardo Antoniucci, Intervista a Marc Crépon su Jacques Derrida

by gabriella

JacquesDerridaDal Rasoio di Occam, l’intervista di Riccardo Antoniucci a Marc Crépon, direttore dell’École Normale Supérieure, a margine del convegno sul pensiero politico di Jacques Derrida, tenutosi ad Atene dal 24 al 26 gennaio 2013.

Professor Crépon, la prima domanda che vorrei porle, e che, trattandosi di una questione sul senso, non è aliena da una certa “bêtise”, riguarda proprio i due aggettivi con cui si è voluto qualificare il pensiero di Derrida durante questo convegno: “politico” ed “etico”. Possiamo tentare di chiarire meglio il nesso esistente tra il pensiero di Derrida e i campi descritti dai due termini. “Pensiero politico” e “pensiero della politica” non sono la stessa cosa, ovviamente. Eppure, di solito, un pensiero non è detto “politico” se non è anche riconosciuto, parallelamente, come “pensiero della politica”, o del politico. Cioè come pensiero delle condizioni e delle tecniche proprie all’azione politica in un contesto storico determinato. Per cui spesso la “filosofia politica” si riduce a una serie di riflessioni su problemi che sono posti dall’attualità della pratica di governo o dell’amministrazione della società. Tuttavia, questo parallelismo non sembra operativo nel pensiero di Derrida: la sua riflessione, senza essere stata “condizionata” da temi provenienti dal dibattito politico, li ha piuttosto “rilanciati”, riverberati, in un’altra forma; addirittura, in alcuni casi, li trasformati, passandoli al filtro del suo singolare approccio filosofico. Per esempio, ha rilanciato il problema della democrazia attraverso il concetto di ospitalità. Insomma, il pensiero di Derrida si presenta come un caso singolare di pensiero. che non è un pen siero della politica. La sua battaglia, dunque, si muove piuttosto nell’elemento della filosofia politica oppure della “politica della filosofia”, che non si interessa delle pratiche concrete di governo?

Marc Crépon – È vero che nell’opera di Derrida non si trova una riflessione sviluppata intorno alle forme di governo. Eppure, la possibilità di qualificare il suo pensiero come “politico” è innegabile, a dispetto di tutte le riserve che impone l’idea stessa di “qualificazione” in generale. Ed è innegabile almeno per due ragioni. La prima è che, se è vero che, a partire dai tre grandi libri del 1967 (1), uno dei fili conduttori del suo pensiero è stata la decostruzione del soggetto sovrano, era allora inevitabile che Derrida incrociasse la questione della sovranità in sé, nella sua accezione politica.

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23 Agosto, 2012

Verso la concezione laica dello stato: Guglielmo di Ockham e Marsilio da Padova

by gabriella

Il filosofo francescano Guglielmo di Ockham e l’aristotelico Marsilio da Padova condividono lo stessa radicale obiezione a ogni supremazia dell’autorità religiosa su quella politica e, più in generale, a qualunque confusione tra regnum e sacerdotium.

Ockham (1288-1349), francescano, afferma l’autonomia reciproca della sfera religiosa e politica e, nella disputa con Giovanni XXII, che lo scomunicò, difende il principio della povertà evangelica e l’intepretazione letterale della regola francescana. La proprietà privata (proprietas) dei beni, come il diritto di esercitare il potere politico, non compaiono naturalmente nel mondo creato da Dio: in una società perfetta e non segnata dal peccato originale, il possesso (dominium) dei beni sarebbe stato comune all’intero genere umano e non si sarebbe avvertito il bisogno di un’autorità politica.

Solo nella società imperfetta che sorge dopo il peccato, la postestas appropriandi e la potestas istituiendi rectores sono legittime, anche se non coincidono con la perfezione che si lega alla povertà. La Chiesa dunque, e non il solo ordine francescano, deve essere povera, mentre il potere sulle cose e sugli uomini appartiene a Dio e non ad essa che deve rinunciare ad ogni forma di possesso perché «paupertas evangelica omne dominium et proprietatem excludit» [Opus nonanginta dierum, 23].

Marsilio (1275-1342), aristotelico, è d’accordo con lo stagirita nel riconoscere l’origine naturale dello stato che nasce dall’estensione della famiglia e del viallaggio. Tra le forme di governo possibili, egli sceglie la monarchia perché più adatta a far rispettare legittimamente la giustizia, ma il re non è il sovrano, sovrano è il popolo, esso infatti è il legislatore «cioè la causa efficiente prima e più vera  della legge».

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31 Dicembre, 2011

Thomas Hobbes, Il Leviatano

by gabriella

Whatsoever therefore is consequent to a time of Warre, where every man is Enemy to every man; the same is consequent to the time, wherein men live without other security, than what their own strength, and their own invention shall furnish them withall. In such condition, there is no place for Industry; because the fruit thereof is uncertain; and consequently no Culture of the Earth; no Navigation, nor use of the commodities that may be imported by Sea; no commodious Building; no Instruments of moving, and removing such things as require much force; no Knowledge of the face of the Earth; no account of Time; no Arts; no Letters; no Society; and which is worst of all, continuall feare, and danger of violent death; And the life of man, solitary, poore, nasty, brutish, and short.

T. Hobbes, Leviathan, I

Dall’Introduzione di Tito Magri a Leviatano, Editori Riuniti, 1976.

Hobbes è il massimo teorico dell’assolutismo, cioè della forma storica in cui si è sviluppato tra ‘500 e ‘600, lo stato moderno. Il concetto di sovranità legibus soluta, vale a dire dell’unità del potere dello stato e della sua superiorità e indipendenza rispetto a ogni altra specie di potere, è posto dal filosofo al centro della sua teoria politica come condizione essenziale del buon ordinamento del governo degli uomini e carattere specifico del potere politico rispetto, ad esempio, al potere ecclesiastico o alla patria postestas.

La filosofia politica di Hobbes va considerata come la prima teoria in cui lo stato sovrano e indipendente viene analizzato secondo i principi del pensiero filosofico moderno e in relazione ai fenomeni fondamentali della società moderna (industriale o borghese). Hobbes visse infatti nel periodo culminante del processo di formazione degli stati europei: la pubblicazione del Leviathan (1651) segue di poco la pace di Vestfalia (1648) che concluse la guerra dei trent’anni. Sul piano del pensiero politico, la formazione degli stati si connette all’idea dello stato come creazione cosciente e volontaria degli individui, anzichè come ordine sopraumano – cosicché «il punto di partenza della ricerca cessò di essere il genere umano e divenne lo stato sovrano, individuale e autosufficiente» (Gierke, 1958) – che si considerò fondato su un unione stretta tra gli individui in ottemperanza alla legge di natura per formare una società armata del potere sovrano (contrattualismo).

Al centro del pensiero di Hobbes sono i concetti di individuo e stato: lo stato è per lui il Deus mortalis, la forma unitaria e suprema di direzione morale, giuridica, religiosa, fornita di poteri assoluti e rispetto alla quale l’individuo si trova in condizione di totale dipendenza. Nello stesso tempo, esso viene costruito a partire dai nuovi principi individualistici della società borghese, a partire dall’indipendenza, dalla libertà e dall’eguaglianza naturale degli uomini che istituiscono lo stato sulla base di un calcolo razionale e in vista della conservazione della vita e del benessere.

Il corpo politico viene pensato da Hobbes come corpo artificiale e non come realtà immediata e naturale – la società cioè non esiste in natura, ma è preceduta dall’individuo che è la sola realtà naturale -, il suo fondamento non è una norma trascendente o un istinto, ma le convenzioni e gli accordi tra gli uomini. Corrispondentemente muta anche il metodo della filosofia politica, come mostra il fatto che pur continuando a ricorrere all’autorità della Scrittura e ad esempi storici, Hobbes se ne serve solo per confermare quanto ha già dimostrato per via razionale. La filosofia politica è una scienza e il suo metodo è quello della scienza sperimentale galilleiana: si scompone l’oggetto in parti semplici (la natura umana, lo stato, i patti ecc.) e si ricompone una sintesi a partire da tali principi, ma stavolta come realtà conosciuta razionalmente.

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