Lo studioso si è spento a Firenze. Era nato a Urbino nel 1923. Con la sua ricerca innovativa, aveva indagato i nessi tra la magia e le origini del pensiero scientifico moderno.
È morto ieri a Firenze il filosofo e storico della scienza Paolo Rossi. Accademico dei Lincei, era nato a Urbino nel 1923, e aveva studiato a Firenze sotto la guida di Eugenio Garin. A Firenze tornerà come docente nel 1966 e sarà per oltre trent’anni titolare della cattedra di storia della filosofia e dando vita a una scuola prestigiosa. Con ricerche innovative Rossi aveva messo a fuoco il momento di frattura che dalla magia porta alla scienza moderna, come nell’opera che lo impose all’attenzione della comunità scientifica internazionale, Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza (1957). A unire queste due dimensioni apparentemente antitetiche, c’è la tecnica, la macchina (I filosofi e le macchine 1400-1700, 1962, Feltrinelli), che è sia lo strumento della scienza sia il veicolo della meraviglia, della magia che anche nel parlar comune si associa alla tecnica. E l’attenzione ai caratteri concreti della produzione scientifica sta anche alla base della intensa attività pubblicistica di Rossi.
Non stupisce che, in questa valorizzazione della tecnica, Rossi abbia focalizzato la sua attenzione sulla memoria (ossia su ciò che, nell’uomo, è naturale ma può essere potenziato artificialmente), che è insieme la base della scienza, perché senza memoria non ci sarebbe il progresso scientifico, e l’oggetto di arti magiche. Così in un altro studio internazionalmente noto, Clavis Universalis: arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz (1960), dove le tecniche della memoria rivelano il loro duplice volto, quello della cabala e quello della logica. E il tema della memoria sarà ancora al centro dei suoi studi vichiani e dei fortunati saggi di Il passato, la memoria, l’oblio (1991, Premio Viareggio 1992, Il Mulino).
Quella di Rossi è dunque una scienza vista dalla tecnica, e una magia vista dalla scienza, ma trattata senza supponenza positivistica. Prima di tutto perché la tentazione di un sapere per iniziati è vecchia quanto l’uomo, sicché guardando all’ermetismo si può trovare una vera e propria archeologia del sapere. E poi perché, come ha scritto nel Seicento Pierre Bayle (uno spirito affine a Rossi nell’enciclopedismo, nell’ironia, nella straordinaria curiosità e apertura intellettuale) non c’è setta filosofica che, per quanto sconfitta, non sia pronta a risorgere. Ed è con questo spirito che Paolo Rossi si è impegnato nel mostrare la tentazione del sapere ermetico nella modernità, per esempio nei saggi raccolti nel Paragone degli ingegni moderni e postmoderni (1989, nuova edizione ampliata 2009, Il Mulino), dove lo storico della scienza guarda all’irrazionale come a una costante con cui è necessario fare i conti, con gusto della provocazione intellettuale, ma anche con riguardo. Cioè come a un avversario a cui si deve l’onore delle armi.
Commenti recenti