Dopo il tragico sgombero della baita Clarea e la fuoriuscita della protesta dalla Val di Susa, si ricomincia a parlare di effetto Nimby, come in un recente servizio di RaiNews24. Nimby è l’acronimo di Not In My Back Yard, «non nel mio cortile», e allude all’atteggiamento di chi, pur non contestando un progetto o un cantiere, rifiuta di sopportarne i disagi. E’ Nimby, insomma, chi non contesta l’utilità di un’opera, né le scelte generali di politica economica (il cosiddetto modello di sviluppo), ma preferirebbe fossero altri a sopportarne i costi: costruite pure l’autostrada, ma non passate sul mio terreno; non sono contrario all’inceneritore, ma andate a farlo un po’ più in là.
Se la protesta dei valsusini fosse spiegabile con questa logica, la crescita della solidarietà nazionale nei loro confronti sarebbe impensabile: ostacolando la realizzazione di un’opera di pubblico interesse, essi frapporrebbero interessi particolari al bene generale, cioè alla crescita del benessere collettivo e della ricchezza nazionale.
Il problema (per chi vuole realizzare l’opera) è che i valligiani non sono percepiti in questo modo ma, al contrario, come i soggetti più immediatamente e direttamente toccati da interventi portatori di pubblico danno e interesse privato. Che il nodo del contendere sia un treno non ostacola questa percezione – come ha ritenuto erroneamente Bersani che a Servizio Pubblico ha provato ad evocare la stagione in cui ci si batteva per avere i treni, mostrando inequivocabilmente la propria distanza dalla sensibilità comune – ma la esalta, perchè da vent’anni il trasporto ferroviario italiano non é più pensato né sviluppato come un servizio pubblico generalista, un servizio cioè che risponde ad esigenze fondamentali della popolazione quale che sia il suo reddito, ma come un servizio offerto a clienti differenziati in base alla capacità di spesa. E da questo punto di vista, l’esperienza dell’alta velocità è già dato comune: chi non ha mai perso una coincidenza perchè il proprio treno ha dovuto dare la precedenza al freccia rossa? E chi non ha fatto esperienza di treni soppressi, in ritardo, sporchi o fatiscenti in stridente contrasto con il modernismo pacchiano dell’alta velocità?
Non è un caso se in Francia capiscono poco della protesta valsusina: là il TGV (train grande vitesse) non è un treno d’élite, ma il treno delle lunghe distanze. Niente affatto sfarzoso, è tanto veloce quanto popolare. Dubito che importare il débat public senza la cittadinanza – i livelli di partecipazione ed inclusione in Francia non sono comparabili con quelli italiani -, come pensa di fare Monti [servizio di RaiNews24], sia una soluzione.
Nei prossimi giorni, ci auguriamo, molti di noi saranno in viaggio, e passeranno per le stazioni italiane.
Vorremmo invitarvi a notare un dettaglio sotto gli occhi di tutti: la scomparsa delle sale d’aspetto. A Milano, a Roma, a Firenze, per citare soltanto alcuni dei punti di snodo più importanti, sono sparite le sale dove potersi fermare, e al loro posto si trovano sedili sparsi più o meno confusamente per la stazione. Come negli aereoporti, si spiega di solito. Ma dietro a queste parole ci sono cose più reali: le sale d’aspetto non sono sparite, nel senso letterale del termine, ma sono state privatizzate, trasformate in salette vip delle singole compagnie (Trenitalia, Italotreno eccetera), come si vede in questa foto scattata alla Stazione di Firenze:
Che le compagnie mettano a disposizione dei viaggiatori “forti” condizioni agevolate e ambienti speciali, è un’iniziativa legittima. Ma questo sistema di attenzioni, che traduce un’idea di valore unicamente costruita sul potere di spesa degli individui e tra l’altro fa fuori i viaggiatori “forti” veri, cioè i pendolari, è imposto, di fatto, azzerando lo spazio che apparteneva anche agli altri. E così le stazioni diventano, anzi sono, e sempre più esclusivamente, luoghi dove passano i clienti, ovvero non sono più bene comune dei cittadini. Come del resto si capisce subito appena si scende alla stazione di Milano, quando, alzando lo sguardo in cerca del tabellone degli orari, si scopre che su quella piattaforma ormai passano soltanto immagini pubblicitarie.
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