C’è una pedagogia autoritaria dietro agli INVALSI: non si tratta di misurare competenze, ma di guidare attraverso i test la scelta delle competenze e dei saperi utili alla società di mercato del futuro. Gianni Rodari sarà ancora un autore desiderabile per questa scuola?
Apri, – gridò alla moglie, – in nome della legge.
Ma quale legge? Cosa le vuoi fare, a questa povera bambina?
Domanda piuttosto a lei cos’ha fatto. Domandale dove e come ha perso la scarpina. […]
(…) Nostra figlia è una spia, – esclamò il sor Meletti, buttandosi su una sedia. E agitando la scarpina che teneva in mano aggiunse: – Ne ho le prove. […]
Non c’è dubbio alcuno, – concluse, – nostra figlia lavora per i marziani.
Gianni Rodari, da La torta in cielo
Per una pedagogia a misura di bambino
non che misuri il bambino.
Renato Foschi
Nella introduzione alla terza edizione del suo Metodo, Maria Montessori scrisse che i test psicopedagogici somministrati ai bambini non portavano a riforme educative, ma a riforme degli esami fondate sulla misura delle abilità mentali degli allievi.
Di questi giorni è la polemica sulle prove INVALSI, dal nome dell’ente (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) deputato alla standardizzazione di test destinati agli alunni delle scuole italiane e all’analisi dei risultati. Tali prove di abilità cognitive, in particolare relative all’italiano e alla matematica, iniziano nella seconda elementare e, per follow up successivi, intendono testare le generazioni degli studenti italiani, senza discriminare a livello individuale, [il che non è esatto, visto che sono inclusi anche in prove d’esame, ndr.] con l’intento di fornire la fotografia di come funziona il sistema educativo italiano per poi modificarlo di conseguenza. Tali prove da quest’anno, sono obbligatorie per legge (art. 51 comma 2 del Decreto-Legge 9 febbraio 2012, n. 5 convertito in legge n. 35).
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