La recente polemica di Marco Travaglio con Michele Santoro scatenata dalla decisione del secondo di ridare la parola a un politico che stava platealmente mentendo, commentata da Flores d’Arcais su Micromega.
“Esiste ancora nel talk show uno spazio indipendente per il talk inteso come racconto di fatti veri al riparo dallo show, cioè del pollaio gabellato per ‘contraddittorio’ e ‘ascolto’ dove chi ha torto e mente passa dalla parte della ragione e della verità? (…) […] cosa rimane, del giornalismo […] nei talk show?”.
Nulla, ovviamente. Ma la degradazione della verità di fatto a mera opinione, e dunque la correlativa santificazione di ogni menzogna a opinione che vale quanto l’altra, non è questione che mette a repentaglio solo il giornalismo, bensì costituisce in sé un colpo durissimo e diretto assestato contro la democrazia in quanto tale. Dunque Marco Travaglio ha torto a “minimizzare” come problema del giornalismo qualcosa che riguarda invece l’essenza stessa della democrazia: Santoro, trattando Travaglio – che cerca ostinatamente di dare voce alle modeste verità di fatto – come un “opinionista” alla stregua dei Burlando, Santanchè, Brunetta, Minzolini, Fassino/a e altri habitué del pollaio/ring (mentre è uno dei pochissimi cronisti, cioè trascrittori fedeli di fatti, che ancora restino nel giornalismo italiano), spaccia overdose di una convinzione per la democrazia mefitica e micidiale.
Hannah Arendt lo ha spiegato in modo definitivo già mezzo secolo fa, dimostrando e sottolineando che mettere sullo stesso piano le opinioni, inevitabilmente soggettive e arbitrarie, con le verità di fatto significa già compiere un passo cruciale verso il precipizio del totalitarismo. Nel saggio Verità e politica scrive:
“Ciò che appare ancora più inquietante [ha appena parlato della Germania di Hitler e della Russia di Stalin] è che nei paesi liberi, nella misura in cui verità di fatto sgradite vengono tollerate, esse sono spesso, consciamente o inconsciamente, trasformate in opinioni”. Ma in questo modo “è in gioco la stessa realtà comune fattuale”, il nostro essere-insieme, cioè il tessuto minimo e irrinunciabile di una convivenza che non sia alla mercé di pochi (i padroni-manipolatori della “verità”, appunto). Da qui la conclusione, tanto perentoria quanto argomentata per pagine e pagine: “la libertà di opinione è una farsa a meno che l’informazione fattuale non venga garantita e i fatti stessi siano sottratti alla disputa”.
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