Un famoso fenomeno psicologico, l’effetto Dunning-Kruger, porta i più ignoranti e meno capaci a credersi migliori degli altri. Ciò significa che, all’inizio di un percorso di formazione, è comune la tendenza alla sopravvalutazione delle proprie capacità e competenze; fenomeno che diminuisce e tende alla normalizzazione con l’aumentare delle esperienze e delle capacità cognitive.
In contesti di apprendimento possono quindi verificarsi discrepanze tra l’immagine di sé e i risultati ottenuti, con carico di frustrazioni e ansia sulle quali può innestarsi la sindrome da impotenza appresa e lo sviluppo dell’aggressività verso compagni e insegnanti.
Le cause del problema affondano le radici nei meccanismi di autodifesa dell’Io che emergono nelle società competitive (restando sostanzialmente sconosciuti nei contesti cooperativi che assecondano la crescita senza enfatizzare tappe, traguardi e raggiungimento di obiettivi). Dove mancano tempo e risorse per assecondare la maturazione delle capacità e si pone istericamente l’enfasi sulla valutazione, come è accaduto nelle recenti “riforme” della scuola, il fenomeno diviene più acuto, minando la relazione tra insegnanti e studenti e abbassando drasticamente i livelli di benessere di tutte le componenti scolastiche.
La ricognizione seguente dell’effetto Dunning-Kruger, il bias cognitivo che scatta «when incompetent people are too incompetent to know it», è stata elaborata a partire da un articolo di Motherboard e uno di Angelo Galeano.
L’ignoranza genera fiducia più spesso della conoscenza
Charles Darwin
Dalla sua pubblicazione nel 1999 sul Journal of Personality and Social Psychology, lo studio di David Dunning e Justin Kruger della Cornell University torna a riproporsi ciclicamente sui media, dimenticato e regolarmente riscoperto in concomitanza di eventi di attualità in cui si fa sfoggio di incompetenza — ovviamente, ogni riferimento alle recenti nomine politiche è puramente casuale. In quindici anni, “l’effetto Dunning-Kruger,” ormai diventato un cult, ha guadagnato il suo posto nella Hall of Fame della psicologia. Dietro al suo titolo un po’ caustico — Unskilled and Unaware of It: How Difficulties in Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments — lo studio presenta, con un fine umorismo, una serie di risultati interessanti riassumibili nel seguente modo: ebbene sì, di solito i più incompetenti sono quelli che hanno la più alta opinione delle loro capacità.
L’esperimento
Per stabilire questi risultati, Dunning e Kruger hanno testato quattro gruppi di volontari in merito a competenze differenti come l’umorismo, la grammatica o il ragionamento logico, chiedendo loro di valutare le prestazioni dopo ogni test.
Dopo quattro prove, i risultati erano perfettamente chiari: i soggetti che erano andati peggio erano convinti di essere stati i migliori, mentre quelli più competenti sottovalutavano le loro capacità.
Per confermare l’esistenza di questa distorsione cognitiva denominata «effetto di eccesso di fiducia», poche settimane più tardi Dunning e Kruger hanno riconvocato i soggetti che avevano ottenuto i risultati migliori e peggiori per far loro correggere cinque copie dei test e ri-valutare le loro performance alla luce di quelle degli altri. Anche in questo caso, la fiducia in sé dei meno competenti non è stata minimamente scalfita. Tuttavia, per lo meno, quelli che avevano ottenuto i risultati “migliori” hanno rivisto in positivo la loro immagine di sé.
Le ragioni del fenomeno
La dinamica è molto semplice: l’inesperto che inizia un’attività o lo studio di una materia, tende immediatamente a sovrastimare la propria preparazione e capacità facendo aumentare la propria sicurezza e la convinzione di conoscenza e abilità. Man mano che l’esperienza e la conoscenza aumentano questa sicurezza diminuisce fino al punto in cui l’inesperto comprende di essere tale e si dedica al rimedio reale delle lacune.
Finché la conoscenza arriva ad un punto sufficiente a ristabilire un buon livello fra esperienza e consapevolezza.
Cognizione e metacognizione
Ma se la mancanza di metacognizione (la capacità di valutare se stessi) non è un difetto in sé, diventa in breve tempo problematica quando si tratta di introdursi nella gerarchia di un gruppo: se abbiamo una tendenza naturale a posizionarci ai piani alti di un determinato gruppo, possediamo anche la capacità di capire che la media di un gruppo è, per l’appunto, media. Di conseguenza, se siamo tra i migliori, gli altri devono necessariamente essere peggiori per contrasto. Ed è qui che iniziano i problemi, perché non solo noi non siamo i più adatti a giudicare noi stessi, ma lo stesso vale anche per la nostra capacità di giudicare gli altri.
Siamo macchine della disinformazione
Per lo psicologo, il problema non risiede nella mancanza di informazioni, ma nella disinformazione causata dalla nostra mente.
“Una mente ignorante,” scrive Dunning in Pacific Standard “non è un contenitore vuoto e immacolato, ma un guazzabuglio pieno di esperienze fuorvianti e inutili, teorie, fatti, idee, strategie, algoritmi, euristiche, metafore e intuizioni che, purtroppo, assumono la forma di conoscenze accurate. Questo miscuglio è una sfortunata conseguenza di uno dei nostri maggiori punti di forza in quanto specie. Siamo dei grandissimi decodificatori e teorizzatori”.
“In altre parole, il nostro cervello e la sua immaginazione senza limiti sono macchine per disinformare, che creano tutta una serie di certezze a partire da zero, a dispetto della razionalità. Accoppiato alla nostra incapacità di valutare correttamente le nostre capacità, questo talento innato per la creazione di “sapere” ex nihilo ci trasforma tutti in ignoranti sicuri delle loro capacità. Peggio ancora, alcune di queste false certezze hanno origine durante l’infanzia, prima ancora che ce ne rendiamo conto.
Infine, spiega lo psicologo, la nostra ostinazione a difendere la nostra visione delle cose a dispetto di cosa ci prova che la realtà è un’altra (come nel caso degli “incompetenti” dell’esperimento del 1999 che hanno continuato a credere di essere talentuosi anche dopo aver “corretto” dei test svolti da persone più capaci di loro) deriva da una serie di credenze che non possiamo mettere in discussione senza incappare in uno shock violento chiamato dissonanza cognitiva. Mettere in discussione quella serie di certezze sacrosante mette in crisi tutta la propria visione di sé. Un tipo di operazione che la nostra mente si rifiuta di svolgere in maniera categorica.
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