Un articolo – scritto nel 2012 per Oreundici – sul disagio giovanile contemporaneo e l’incapacità degli adolescenti di operare il passaggio dalla libido narcistica alla libido oggettuale, dall’immediatezza delle pulsioni più elementari all’eros, quale effetto della crisi storica di fondamento che attraversa la nostra civiltà.
Un filosofo e psicoanalista argentino Miguel Benasayag, che vive da molti anni a Parigi, le cui opere sono in parte tradotte anche in italiano, e un professore di psichiatria infantile e dell’ adolescenza Gérard Schmit che insegna all’ università di Reims, hanno posto sotto osservazione i servizi di consulenza psicologica e psichiatrica diffusi in Francia e si sono accorti che a frequentarli, per la gran parte, sono persone le cui sofferenze non hanno una vera e propria origine psicol
ogica, ma riflettono la tristezza diffusa che caratterizza la nostra società contemporanea, percorsa da un sentimento permanente di insicurezza e di precarietà. Quali «tecnici della sofferenza» si sono sentiti impreparati ad affrontare problemi che non fossero di natura psicopatologica. E invece di adagiarsi tranquillamente sui farmaci a loro disposizione per curare il disordine molecolare e così stabilizzare la crisi, si sono messi a studiare e a pensare il senso che si nasconde nel cuore del sintomo, quando la crisi non è tanto del singolo, quanto il riflesso nel singolo della crisi della società. Ne è nato un libro bellissimo, la cui lettura consiglierei a tutti i giovani e a tutti quelli che ne hanno cura. Il titolo è L’ epoca delle passioni tristi (Feltrinelli) [le prime venti pagine sfogliabili qui].
Si tratta di passioni che lasciano le famiglie disarmate e angosciate all’ idea di non essere in grado di provvedere al problema che affligge uno dei loro componenti, quindi di non essere una «buona famiglia», quando invece le passioni tristi hanno la loro origine nella crisi della società che, senza preavviso, fa il suo ingresso nei centri di consulenza psicologica e psichiatrica, lasciando gli operatori disarmati. In che consiste questa crisi? Da un cambiamento di segno del futuro: dal «futuro-promessa» al «futuro-minaccia». E siccome la psiche è sana quando è aperta al futuro (a differenza della psiche depressa tutta raccolta nel passato, e della psiche maniacale tutta concentrata sul presente) quando il futuro chiude le sue porte o, se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza, inquietudine, allora «il terribile è già accaduto», perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce, l’energia vitale implode.
Per i due psichiatri francesi, e io concordo con loro, tutto ciò è incominciato con la morte di Dio che ha segnato la fine dell’ ottimismo teologico, che visualizzava il passato come male, il presente come redenzione, il futuro come salvezza. La morte di Dio non ha lasciato solo orfani, ma anche eredi. La scienza, l’utopia e la rivoluzione hanno proseguito, in forma laicizzata, questa visione ottimistica della storia, dove la triade: colpa, redenzione, salvezza trovava la sua riformulazione in quell’omologa prospettiva dove il passato appare come male, la scienza o la rivoluzione come redenzione, il progresso (scientifico o sociologico) come salvezza. Il positivismo di fine Ottocento era infatti animato da una sorta di messianesimo scientifico, che assicurava un domani luminoso e felice grazie ai progressi della scienza. Sul versante sociologico Marx evidenziava le contraddizioni del capitalismo
in vista di una radicale trasformazione del mondo, sul versante psicologico Freud ipotizzava un prosciugamento delle forze inconsce non controllate dall’ Io, perché
dov’ era l’ Es deve subentrare l’Io. Questa è l’ opera della civiltà.
L’Occidente, abbandonato il pessimismo degli antichi greci che, a sentire Nietzsche:
Sono stati gli unici ad avere la forza di guardare in faccia il dolore,
si è consegnato senza riserve all’ottimismo della tradizione giudaico-cristiana che, sia nella versione religiosa, sia nelle forme laicizzate della scienza, dell’ utopia e della rivoluzione, ha guardato l’ avvenire sorretta dalla convinzione che la storia dell’ umanità è inevitabilmente una storia di progresso e quindi di salvezza.
Oggi questa visione ottimistica è crollata. Dio è davvero morto e i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) hanno mancato la promessa. Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie, esplosioni di violenza, forme di intolleranza, radicamento di egoismi, pratica abituale della guerra hanno fatto precipitare il futuro dall’estrema positività della tradizione giudaico-cristiana all’ estrema negatività di un tempo affidato alla casualità senza direzione e orientamento. Il futuro da «promessa» è diventato «minaccia». E questo perché se è vero che la tecnoscienza progredisce nella conoscenza del reale, contemporaneamente ci getta in una forma di ignoranza molto diversa, ma forse più temibile, che è poi quella che ci rende incapaci di far fronte alla nostra infelicità e ai problemi che ci inquietano.
Per dirla con Spinoza, viviamo in un’ epoca dominata da quelle che il filosofo chiamava le «passioni tristi», dove il riferimento non era al dolore o al pianto, ma all’impotenza, alla disgregazione e alla mancanza di senso, che fanno della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l’ Occidente ha saputo adattarsi, perché si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà. Certo nessuno si reca a un consultorio psicologico per un adolescente esordendo: «Buongiorno dottore, soffro molto a causa della crisi storica che stiamo attraversando». In compenso i consultori sono quotidianamente sollecitati da genitori e insegnanti che non sanno più come far fronte all’ indolenza dei loro figli o dei loro alunni, ai processi di demotivazione che li isola nelle loro stanze a stordirsi le orecchie di musica, all’escalation della violenza, allo stordimento degli spinelli che intercalano ore di ignavia. Come sono riconducibili tutti questi sintomi alla «crisi storica»? La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell’ assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. Ciò significa che nell’adolescente non si verifica più quel passaggio naturale dalla libido narcisistica (che investe sull’ amore di sé) alla libido oggettuale (che investe sugli altri e sul mondo). In mancanza di questo passaggio, bisogna spingere gli adolescenti a studiare con motivazioni utilitaristiche, impostando un’ educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che «ci si salva da soli», con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali.
La mancanza di un futuro come promessa non conferisce ai genitori e agli insegnanti l’autorità di indicare la strada. Tra adolescenti e adulti subentra allora un rapporto «contrattualistico» dove genitori e insegnanti si sentono continuamente tenuti a giustificare le loro scelte nei confronti del giovane, che accetta o meno ciò che gli viene proposto in un rapporto ugualitario. Ma la relazione tra giovani e adulti non è simmetrica, e trattare l’ adolescente come un proprio pari significa non contenerlo, e soprattutto lasciarlo solo di fronte alle proprie pulsioni e all’ansia che ne deriva. Quando i sintomi di disagio si fanno evidenti l’atteggiamento dei genitori e degli insegnanti oscilla tra la coercizione dura (che può avere senso quando le promesse del futuro sono garantite) e la seduzione di tipo commerciale di cui la cultura berlusconiana che si va diffondendo è un esempio. Senonché anche i giovani di oggi devono fare il loro Edipo, devono cioè esplorare la loro potenza, sperimentare i limiti della società, affrontare tutte le funzioni tipiche dei riti di passaggio dell’ adolescenza, tra cui uccidere simbolicamente l’autorità, il padre. E siccome questo processo non può avvenire in famiglia dove, per effetto dei rapporti contrattuali tra padri e figli, l’autorità non esiste più, i giovani finiscono col fare il loro Edipo al di fuori, scatenando nel quartiere, nello stadio, nella città, nella società la violenza contenuta in famiglia.
Sono, questi, due esempi dei molti che gli autori del libro illustrano per mostrare il nesso tra il passaggio storico del futuro come promessa al futuro come minaccia e le manifestazioni psico (pato) logiche del disagio dei giovani che non riescono più a percepire l’integrazione sociale, l’acquisizione dell’ apprendimento, l’ investimento nei progetti, come qualcosa di connesso a un loro desiderio profondo, che è poi il desiderio di desiderare la vita. A ciò si aggiunga che le passioni tristi e il fatalismo non mancano di un certo fascino, ed è facile farsi sedurre dal canto delle sirene della disperazione, assaporare l’ attesa del peggio, lasciarsi avvolgere dalla notte apocalittica che, dalla minaccia nucleare a quella terroristica, cade come un cielo buio su tutti noi. Ma è anche vero che le passioni tristi sono una costruzione, un modo di interpretare la realtà, non la realtà stessa, che ancora serba delle risorse se solo non ci facciamo irretire da quel significante oggi dominante che è l’ insicurezza. Certo la nostra epoca smaschera l’ illusione della modernità che ha fatto credere all’ uomo di poter cambiare tutto secondo il suo volere.
Non è così. Ma l’ insicurezza che ne deriva non deve portare la nostra società ad aderire massicciamente a un discorso di tipo paranoico, in cui non si parla d’altro se non della necessità di proteggersi e sopravvivere, perché allora si arriva al punto che la società si sente libera dai principi e dai divieti, e allora la barbarie è alle porte. Se l’estirpazione radicale dell’insicurezza appartiene ancora all’utopia modernista dell’onnipotenza umana, la strada da seguire è un’altra, e precisamente quella della costruzione dei legami affettivi e di solidarietà, capaci di spingere le persone fuori dall’isolamento nel quale la società tende a rinchiuderle, in nome degli ideali individualistici che, a partire dall’America, si vanno paurosamente diffondendo anche da noi.
13 Settembre 2013 at 16:27
I giovani si chiudono sempre più in se stessi a causa delle nuove tecnologie. Con queste non ci sono più legami veri ma solo virtuali. Cercano di vivere al meglio il presente poiché non hanno la certezza del futuro. Vivono il presente anche esagerando e facendo cose che danneggiano se stessi rifiutando l’aiuto di qualsiasi adulto.
21 Settembre 2013 at 11:44
Galimberti non attribuisce alle nuove tecnologie questa responsabilità. Prova a rileggere e ad individuare la causa del disagio giovanile contemporaneo (delle passioni tristi), poi aggiungi una tua opinione.
13 Settembre 2013 at 18:04
Da giovane quale sono, sento di dover purtroppo confermare la teoria dei due psichiatri francesi: il futuro,specialmente agli occhi di un ragazzo, suscita decisamente più paura e apprensione che speranza.
Il problema sta sicuramente, come sottolinea l’articolo, nella mancanza di un domani promettente che scoraggia l’adolescente.
Infatti, anche se si prova a dimenticare il “non-futuro” che ci attende, c’è sempre un notiziario,una pubblicità,un computer a ricordarci di non auspicare troppo all’avvenire e a catapultarci di nuovo nella triste e violenta realtà in cui viviamo.
Come se non bastasse, la sfiducia ( e tutte le conseguenze che ne derivano) è come un virus che ci trasmettiamo a vicenda. Spesso infatti, sento di ragazzi sconfortati da parole o avvertimenti altrui,che sconsigliano di prendere determinate scelte o di realizzare un determinato progetto futuro anche verso cui si è inizialmente entusiasti, contribuendo a creare “nuovi avviliti”.
Così chi viene irrimediabilmente contagiato, nel profondo abbraccia il puro edonismo e i pochi che ancora nutrono un barlume di fiducia divengono, di riflesso, insicuri ed inadeguati.
C’è una duplice risposta a tutto ciò: o si rimane chiusi nel proprio bozzolo di malinconica disistima di sè e del mondo o si reagisce nel modo sbagliato,puntando a raggiungere i propri obiettivi individualmente, cercando di scavalcare gli altri nella giungla della vita in cui vige la selezione naturale.
Mi chiedo, se è così facile trasmettere il disagio o comunque le “passioni tristi”, non potrebbe essere così anche per la positività? Se tutti cominciassimo a riattivarci, a nutrire nuove idee e desideri, magari questa vitalità si spanderebbe a macchia d’olio proprio come sta facendo ora il malessere. Del resto come fa notare l’articolo, le passioni tristi vengono dal nostro modo di guardare il mondo: se esso è totalmente negativo anche la realtà verrà tramutata in qualcosa di avverso. Non dico che guardare la realtà con occhi felici sia la soluzione di tutti i mali, ma è sicuramente un punto di partenza, specialmente per i giovani, cui l’età non deve permettere di abbattersi prima del tempo.
21 Settembre 2013 at 11:52
Cogli molto bene la fenomenologia dell’assenza di futuro e la falsa alternativa che è data ai giovani (o ci si chiude nel proprio bozzolo di malinconica disistima o si punta a raggiungere i propri obiettivi individualmente scavalcando gli altri). Mi convince meno la tua lettura del pessimismo e dell’ottimismo, quasi che la mancanza di futuro fosse una percezione illusoria, un incubo da cui è possibile svegliarsi con qualche iniezione di fiducia. C’è nel testo di Galimberti una diversa risposta e se manca, tu ne vedi altre?
13 Settembre 2013 at 18:22
Leggendo queste righe sembrerebbe che per i giovani non ci sia più una prospettiva di futuro o per lo meno che quello che li attende sia soltanto a loro sfavore.La lotta tra futuro e società sembra dover essere vinta a tutti i costi da quest’ultima che si vede”percorsa da un sentimento permanente di insicurezza e precarietà”.
Si sottolinea,difatti, l’apatia e la tristezza che ormai hanno preso il sopravvento, grazie anche alla mancanza di prospettive certe nel mondo lavorativo.
Molti giovani non riescono più a vedere uno spiraglio che li possa proiettare nel futuro, anzi hanno quasi paura di pensare ad esso. Certamente l’epoca in cui si poteva pensare di pianificare qualcosa che andasse oltre il presente vissuto è ormai lontana e i giovani diventano balia di emozioni senza senso e che non possono che aumentare la loro incapacità a “sperare”…
L’impotenza di fronte al futuro “arresta il desiderio nell’assoluto presente”. I giovani non investono più su se stessi; ed è proprio quando l’io non trova la capacità di esprimersi secondo il suo desiderio, che si assiste al crollo dell’individuo.
Bisogna perciò andare a fondo di quello che la realtà ci propone guardando al futuro come un opportunità per mettere realmente in gioco il nostro io.
“Non abbiamo un fine senza speranza,
ma una speranza senza fine.”
Edith Stein
21 Settembre 2013 at 12:05
Un’ottima lettura: hai colto molto bene il nesso desiderio-futuro e ciò che succede quando il desiderio si spegne o si volge nel proprio contrario (quello che Freud chiamava Todestrieb o “pulsione di morte” e che Galimberti (seguendo Spinoza e Benasayag, chiama “passioni tristi”). Meno convincenti (1) l’esortazione conclusiva a guardare al futuro come un’opportunità, visto che tutto il testo di Galimberti sviluppa l’idea che sia stato soppresso o comunque che proprio la sua assenza caratterizzi un’epoca (e una generazione) e (2) l’idea che la soluzione a un problema epocale (cioè collettivo, storico, sociale) possa essere individuale. Che ne pensi?
13 Settembre 2013 at 18:43
Alla mia età dovrei essere una ragazza spensierata, fiduciosa e piena di aspettative per il futuro. Oggi, purtroppo, per me non è così! Ho diciotto anni e basta che sfoglio un giornale per rendermi conto che ” il mondo di oggi” non è in grado di offrirmi quello di cui ho bisogno. Concordo con quello che scrivono i due psichiatri francesi, sostenendo che il futuro da “promessa” è diventato “minaccia” in quanto la visione ottimistica del domani, oggi si presenta precaria, incerta e insicura. Tutto questo porta a noi ragazzi ad un’esclusione, ci rende piccoli e senza speranza e per molti di noi , quello che da bambini desideravamo essere da grandi, adesso, ci rendiamo conto che rimarrà solo un sogno. Spero che riusciremo ad uscire da questo isolamento e a raggiungere uno stato di quiete, felicità e benessere che ci prospetterà verso un futuro più roseo dove potremo raggiungere i nostri obiettivi e offrire ai nostri figli una visione più ottimista di questo mondo.
21 Settembre 2013 at 12:09
Condivido delusione e speranza. Prova però a capire perché questo è successo (per come lo spiega Galimberti) e solo dopo aggiungi un commento personale.
13 Settembre 2013 at 18:57
Purtroppo come dicono gli psicologi Benasayag e Schmit, gli adolescenti sono sempre di più angosciati e in ansia dal fatto che il mondo passo dopo passo si stia trasformando sempre di più in un luogo in cui i sogni i desideri e tutto ciò che si desidera ci scivoli via proprio davanti agli occhi.
Essi hanno dedotto che la tristezza e la sofferenza che vive nei ragazzi, è data dal fatto che la società in cui viviamo è in forte crisi. Noi adolescenti ci rendiamo conto che il futuro che ci aspetta è povero, pieno di dubbi, problemi, incertezze e di conseguenza la speranza le iniziative e la voglia di fare si spengono. Visto che l’ignoranza e la miseria sono ormai alle porte, le uniche armi che ha l’adolescente sono quelle di studiare con motivazione e passione ( anche se non è facile) e soprattutto quella di seguire i propri sogni, i progetti, avere un’obbiettivo da raggiungere come prendere una laurea ad esempio. Questo è l’unico modo per non regredire e per opporsi ad una società ormai sempre più impoverita. I giovani quindi non devono darsi per vinti ma devono lottare e affrontare la realtà senza timore e senza la paura di fallire, perchè altrimenti si parte già sconfitti.
21 Settembre 2013 at 12:20
Condivido quello che dici sulla necessaria reazione individuale alle incertezze del presente (ti è chiaro che l’unica risposta individuale è la “motivazione “, cioè la “manutenzione” della voglia di vivere contro le passioni tristi. Manca un’analisi delle cause, senza la quale è difficile affrontare la realtà senza timore e con qualche speranza di successo. Prova a misurarti con quello che dice Galimberti al riguardo.
13 Settembre 2013 at 19:37
I disagi e le sofferenze dell’uomo non sono di natura psicologica ma sono dati dalla società, dalla crisi della società che si riflette nel singolo.
All’interno della società c’è un sentimento di insicurezza e precarietà che porta l’uomo all’isolamento.
Finché c’era l’idea di Dio, nell’uomo esisteva la speranza, esso credeva nel futuro e nel proseguimento della vita dopo la morte.
Nel momento in cui Nietzsche afferma che Dio è morto, nell’uomo nasce un senso di sfiducia e di nullità, l’uomo non ha più un obiettivo quindi vive represso nell’insicurezza e nell’incertezza di un futuro.
E anche se il futuro si mostra, esso è sempre fonte di delusione.
Quando la visione ottimistica rimane esclusivamente un’ utopia, c’è un crollo, una regressione che porta l’uomo alla sofferenza, ad una vita senza senso.
Nasce così una visione negativa dell’esistenza, in contraddizione al positivismo che credeva nel progresso dell’uomo e nello sviluppo della scienza.
Tutt’ora, purtroppo, anche la società italiana vive nella visione negativa in quanto non ci sono certezze, non ci sono possibilità di lavoro, le condizioni economiche sono disagiate, non c’è più sicurezza e l’uomo ne risente, credendo in un futuro-minaccia e non più in un futuro-promessa.
Ciò va ,soprattutto, a discapito di noi ragazzi che dobbiamo ancora creare un nostro progetto di vita.
Siamo noi che viviamo in questo senso di nullità, siamo noi che crediamo in un’esistenza priva di significato e siamo noi quelli che cercano di scappare da tutto questo, ma come disse il filosofo Martin Heidegger ” Il Nichilismo. Non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia ” .
13 Settembre 2013 at 19:48
Dopo aver letto l’ articolo ,sento il dovere di ribadire ciò che espongono i due psichiatri francesi : la nostra realtà è circondata da un mondo che non promette a noi giovani un futuro certo.Oggi ,noi adolescenti ci troviamo a dover accontentarci di cio’ che è piû sicuro poichè come esplicitato nell’ articolo vi e’ una mancanza di un domani che ci fa sperare in una cosa concreta su cui poter contare .Ci hanno privato di una speranza che non si puo’ togliere ad un adolescente di 18 anni. Tutto questo porta noi giovani a deprimerci rinchiudendoci nella nostra trappola che e’la tristezza, la quale impedisce il ragazzo di progredire e di maturare i suoi obiettivi.Noi stessi a vicenda parlando del nostro futuro ci scoraggiamo e questa cosa porta a un sentimento di tristezza.Il mio sogno è quello di potermi sentir dire:«porta avanti le tue ambizioni »e non «provaci ,almeno tenta , forse ci riuscirai»
13 Settembre 2013 at 20:19
Noi ragazzi degli anni 2000 come tutti i ragazzi di ogni epoca storica, amiamo la vita, desideriamo la vita, vogliamo lottare per la vita. E’ vero alla nostra età abitano in noi molte contraddizioni: adesso siamo al settimo cielo, dopo poco cadiamo nella più profonda tristezza; in un momento vorremmo scalare una montagna, subito dopo ci chiudiamo in camera senza più parlare a nessuno. In fondo desideriamo profondamente crescere, desideriamo che qualcuno ci aiuti a traghettare la nostra vita verso l’età adulta, che ci guidi per diventare protagonisti della nostra storia. Ma oggi dove sono questi adulti così maturi e responsabili? Noi non abbiamo bisogno di adulti che si fanno nostri amici, ma di adulti che sappiano dirci sì e no molto fermi, che sappiano sì ascoltarci, ma poi sappiano aiutarci a leggere la nostra vita. La violenza nasce proprio dal fatto che troppo spesso ci sentiamo soli, senza punti di riferimento, senza speranza per il futuro. Il nostro sballarci è un grido di aiuto. Per fortuna però ancora ci sono tanti genitori che rinunciano a se stessi per il nostro bene. Grazie a tutti questi adulti che ci permettono di credere nel futuro e di continuare a scommettere nella vita.
13 Settembre 2013 at 20:42
Ho letto l’articolo con molta attenzione.Sono d’accordo con quello che ha scritto Umberto Galimberti in quanto credo che queste “passioni tristi” siano molto presenti in noi ragazzi: ciò non significa che noi siamo insoddisfatti della vita ma siamo troppo attaccati al passato e ciò ci crea molta insicurezza: quest’ultima insieme all’inquitudine e all’incertezza derivano dalla crisi della società.Ogni società ha i suoi momenti di crisi, quella odierna ne è l’esempio, ma per momenti di crisi non si intende solo sul piano economico ma anche su quello psicologico dei ragazzi soprattutto:ovvero il ragazzo non ha più un punto di riferimento è in balia degli eventi che gli accadono in torno. La maggior parte delle volte queste passioni tristi non vengono considerate, vengono emarginate e ogni adulto pensa che il ragazzo sia in grado di poter affrontare i propri ostacoli da solo ma in realtà non è affatto così. Poiché accade ciò i ragazzi sfogano queste loro passioni tristi in atti pochi intelligenti e poco costruttivi
13 Settembre 2013 at 21:31
Purtroppo essendo anche io un adolescente mi sento in dovere di confermare entrambe le teorie poichè con il passare degli anni il futuro per noi ragazzi diventa sempre più un punto di domanda al quale non c’è risposta, questo porta qualsiasi adolescente a demoralizzarsi e non dare più valore a ciò che fa nel presente come lo studio che sta assumendo, se non già de tutto, una funzione di “perdi-tempo” poichè consapevoli che nemmeno lo studio riesce a dare delle vere certezze. Questo è dovuto dal calo delle offerte di lavoro oppure le stesse Università stanno diventando le vere e proprie case di quelle caste a cui nessuno può accedere con l’introduzione del numero chiuso e dei test d’ingresso limitando così il diritto e la libertà di studio distruggendo così le ambizioni della maggior parte dei giovani.
Quindi la situazione di malcontento generale porta tutti i ragazzi a chiudersi in sè stessi, inoltre non riescono nemmeno più a trovare conforto in altri perchè nel momento in cui qualcuno matura un progetto viene immediatamente scoraggiato cancellando definitivamente quell’entusiasmo che si era creato inizialmente.
Il problema può essere risolto solo con impegno di tutti anche se il maggiore sforzo deve essere fatto da chi lentamente ha creato questo problema come ad esempio i mass-media o lo stesso governo che in alcuni momenti tendono anche ad ingrandire i problemi mettendo così il “dito nella piaga”.
Quindi si può iniziare con una bella dose di ottimismo persa negli anni per distruggere queste passioni tristi e questo lo si può ottenere solo se c’è un’atmosfera di positività in modo da non poter più infierire con i sogni di nessuno, soprattutto dei giovani che sono il vero futuro di qualsiasi società e Stato.
13 Settembre 2013 at 21:39
Stiamo attraversando un periodo di crisi che riguarda tutta la società mettendo in difficoltà i consultori a cui affluiscono genitori e insegnanti preoccupati per il disagio crescente tra gli adolescenti. Queste richieste d’aiuto sono state valutate dai due autori delle “Passioni tristi” che operano in Francia.
Le famiglie sono angosciate non potendo risolvere i malesseri (di qualche membro) che in realtà hanno origine nella crisi della società. Il futuro appare minaccioso poichè non riponiamo più la nostra fiducia nella salvezza divina e anche i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) ci hanno deluso.
I genitori e insegnanti hanno perso l’autorità d’indicare una strada ed è subentrato purtroppo un rapporto contrattualistico che rende ancora più insicuri i giovani. Secondo gli autori ” le passioni tristi sono un modo d’interpretare la realtà”
Sono d’accordo; Infattti penso che la nostra epoca, smascherando l’illusione della modernità, ci riveli la fragilità dell’uomo che non può cambiare tutto secondo il suo volere. Bacone per esempio sosteneva che la scienza e la potenza dell’uomo potessero coincidere. Gli illuministi hanno dato origine al positivismo, credendo che le generazioni future, guidate solo dalla ragione, avrebbero avuto la felicità e il benessere. Freud pensava che la civiltà umana dovesse basarsi sulla sostituzione dell’Es con l’Io. Se ciò si fosse realizzato , non ci troveremmo oggi con il pericolo di una terza guerra mondiale. Non bisogna chiudersi in se stessi a causa dell’insicurezza che spinge all’individualismo e all’isolamento. Il futuro ha le sue riserve positive e sicuramente bisogna ricostruire legami affetivi solidi partendo dalla solidarietà. Questa parola può fare paura, come dice papa Francesco, però è l’unica strada da percorrere. Infatti in Grecia nei vari quartieri ciascuno ha messo a disposizone le proprie risorse alimentari, per permettere a tutti almeno un pasto quotidiano. In questa società “fluida”, dove tutto appare incerto e precario, riscoprire la propria umanità e la necessità di contare gli uni sugli altri è sempre possibile, per ricominciare a desiderare di vivere il futuro.
13 Settembre 2013 at 22:19
È proprio vero che nell’epoca odierna lo stato d’animo dei giovani riflette la grave crisi morale, sociale ed economica della società. Basti pensare al fatto che ogni giorno siamo demoralizzati dai notiziari che, una dopo l’altra, ci sparano vicende di assoluta violenza, disastri economici e politici, disperazione, ci disegnano un mondo che non ha mai un lieto fine. In contrapposizione a ciò, altri canali televisivi ci presentano una realtà irreale, in cui ogni via è facile, ogni strada è senza ostacoli. In entrambi i casi l’intento è quello di distogliere l’attenzione da una realtà che è invece fatta di alti e bassi, di felicità e di dolore. I giovani, perciò, non conoscono questa realtà dei fatti perciò hanno idee totalmente sbagliate del futuro che gli si prospetta davanti. C’è chi si costruisce castelli di sabbia pensando che il futuro sia tutto in discesa e c’è chi invece vive la sua vita passivamente non vedendo una speranza di vita migliore, di un futuro ricco di opportunità, lasciandosi trascinare in una spirale di depressione e sconforto. Di primo acchitto la colpa può essere dei mass media e delle informazioni che ci trasmettono, ma la colpa è anche di noi giovani che siamo abituati ad avere tutto e subito, e che quindi al primo ostacolo ci arrendiamo immediatamente senza lottare ed impegnarci. Dovremmo forse ricordare e mettere in pratica l’entusiasmo e la voglia di vivere dei nostri nonni, che un tempo hanno saputo affrontare situazioni orribili di guerra e morte, eppure sono sempre stati capaci di rialzarsi in piedi e credere ancora in un futuro migliore. A noi giovani fa comodo adagiarci sulle nostre incertezze ed il nostro dolore, accettare le sconfitte, perché costa fatica lottare per raggiungere un obiettivo. Questo fatto è dovuto in parte, se non del tutto, ad il progresso tecnologico che circonda la nostra realtà. È scontato affermare che il progresso dell’uomo è un’arma a doppio taglio: da una parte migliora la nostra vita, dall’altra la distrugge non appena essa entra in crisi. Il dolore, l’incertezza e la sofferenza dell’uomo sono una costante di tutte le epoche e una possibile risposta a questo problema sta nel tentativo di essere solidali tra noi stessi, aiutandoci l’un l’altro. Possiamo parlare di “eroismo sociale” come Giacomo Leopardi affermava già nel diciannovesimo secolo. Nonostante la crisi storica che incombe su noi giovani con degli effetti estremamente negativi, dovremmo cercare di credere sempre in ciò che ci appassiona, nei nostri sogni, in un mondo ed in un domani migliore, e soprattutto in noi stessi.
14 Settembre 2013 at 00:15
Le riflessioni fatte dal filosofo psicoanalista Benasayag e dal professore di psichiatria Schmit sono state formulate attraverso l osservazione del comportamento adolescenziale ,che sta cambiando con il passare dei decenni.
Entrambi gli psicoanalista sostengono che la crisi che stiamo attraversando è dovuta a una nuova visione del futuro.
Inizialmente la società credeva nello sviluppo, nel miglioramento.Ora invece è colpita da una forte corrente di pessimismo che non permette a nessuno di raggiungere ciò ce si vuole ,ma neanche di permettere uno sviluppo all’interno della società.
E’ un evento molto tragico quello che stiamo vivendo, i ragazzi in età moderna non lottano piu come una volta per raggiungere un obbiettivo, ma non è di certo colpa loro se non riescono a entrare a far parte del mondo degli adulti.
La società, purtroppo, trasmette energie negative al prossimo per questo sembra che non ci siano vie di uscita
14 Settembre 2013 at 00:28
Le riflessioni fatte dal filosofo psicoanalista Benasayag e dal professore di psichiatria Schmit ,sono state formulate attraverso l’ osservazione del comportamento adolescenziale ,che sta cambiando con il passare dei decenni.
Entrambi gli psicoanalisti sostengono che la crisi che stiamo attraversando è dovuta a una nuova visione del futuro.
Inizialmente la società credeva nello sviluppo, nel miglioramento.Ora invece è colpita da una forte corrente di pessimismo,che non permette a nessuno di raggiungere ciò ce si vuole ;
ma neanche di permettere uno sviluppo all’interno della società.
E’ un evento molto tragico quello che stiamo vivendo, i ragazzi in età moderna non lottano più come una volta per raggiungere un obbiettivo, ma non è di certo colpa loro se non riescono a entrare a far parte del mondo degli adulti.
La società, purtroppo, trasmette energie negative al prossimo, per questo sembra che non ci siano vie di uscita e che tutto ciò che si fa è a nostro sfavore.
L’utilizzo della tecnologia in etò moderna ha i suoi aspetti positivi ,in quanto dimostra che siamo in grado di poter creare qualcosa che serva al miglioramento, ma allo stesso tempo un eccessivo utilizzo di questa fa indebolire gradualmente le capacità e le abilità dell ‘uomo che successivamente si sentirà criticato e frustrato.
I due psicoanalisti danno molta importanza a questo aspetto mettendo in primo piano il ruolo dell’adolescente.
Siamo proprio noi giovani a creare il futuro e a permettere al prossimo stabilità e sicurezza, gli strumenti che abbiamo oggi però non ce lo permettono,purtroppo e quindi non sappiamo come agire per poter raggiungere la salvezza di cui parlano i due psicoanalisti,
La salvezza che intendono loro la possiamo trovare nello sviluppo, ma per poterci permettere questo dobbiamo trovare il modo di cambiare il proprio pensiero.
14 Settembre 2013 at 07:56
Leggendo questo articolo, non posso far altro che essere d’accordo con i due psicologi. Nella società di oggi, i ragazzi non vedono un futuro sicuro e in grado di realizzare il proprio sogno a causa della crisi che sta avanzando nel nostro territorio. Questo comporta la perdita di speranze, di sogni e di credere che sia possibile fare tutto grazie alle proprie forze. Perdendo questi punti, un giovane non può far altro che chiudersi in se stesso e provare ostilità contro la società in cui sta vivendo. Questo “odio” si scatenerà in violenza verso gli altri e magari anche verso i genitori che non riusciranno a capire cosa nasconde loro figlio. Sono d’accordo anche con Sonia, che afferma che un motivo sono le tecnologie.. Queste aprono le porte ad un mondo virtuale, non uno reale, e i ragazzi costruiscono la propria vita dietro un telefono o un computer. I ragazzi di oggi pensano a vivere solo il presente non vedendo un futuro. Io confermo questa teoria.
21 Settembre 2013 at 12:47
La tua esperienza conferma la lettura di Galimberti e vedo che i comportamenti che osservi trovano la giusta chiave di lettura. Il problema delle tecnologie va approfondito: sono causa o effetto della solitudine e del disagio relazionale? Galimberti non ne parla, cosa pensi che direbbe in proposito?
14 Settembre 2013 at 13:42
In seguito alla lettura dell’articolo di Galimberti sull’ analisi e presa di coscienza della “crisi di civiltà”, posso affermare di condividere la descrizione data sulla situazione sociale di oggi.
In parte mi sento anche chiamata in causa poiché, effettivamente, risento di questo disagio e la sensazione che provo è proprio quella dell’impotenza; riflettendoci, l’immagine che mi si pone davanti agli occhi come associazione immediata è il quadro del pittore romantico William Turner, che esprime l’incapacità dell’uomo di agire nei riguardi della natura, il “sublime”.
La società sembra proseguire inesorabilmente verso il declino, da tutti i punti di vista (economico, politico, culturale, artistico..), specialmente in Italia e le tendenze generali sono quella di fuggire, cercando una possibilità di autorealizzazione all’ estero, o quella di ignorare e continuare a vivere sperando che non si venga toccati più di tanto da questa crisi.
Ma la cosa che più spaventa è che i tentativi di opporsi, ribellarsi e proporre una via alternativa che possa ambire al rimedio e al progresso vengono soffocati e repressi.
Quello che si avverte è un senso di smarrimento e confusione, che stordisce anche coloro che nutrono un obiettivo da raggiungere, un progetto concreto di vita da realizzare.
Ciò si può ricollegare al discorso di Galimberti sulla forma di ignoranza che non solo ci fa perdere di vista i fini, ma ci rende incapaci di far fronte a problemi e infelicità.
Proprio per questa incapacità spesso i giovani si appoggiano a figure adulte, che reputano in grado di aiutarli e consigliarli; però, credo che sia opportuno saper scindere i casi in cui la richiesta di sostegno e aiuto sia auspicabile ed efficace e i casi in cui rappresenta solo un rimandare il problema, che sicuramente si ripresenterà in futuro.
In questo senso non concordo pienamente con quanto detto nell’ articolo, poiché non attribuisco all’ individualismo un’accezione esclusivamente negativa.
Infine non comprendo del tutto le frasi in cui Galimberti afferma che le passioni tristi e il fatalismo sortiscono un certo fascino; credo, invece, che il senso della disperazione e dell’incapacità di agire siano dati dalla paura generata dalla precarietà e dall’ incertezza.
21 Settembre 2013 at 12:44
E’ interessante l’immagine che ti viene in mente per spiegare il sentimento giovanile d’impotenza. Ciò che provi, insieme alla tua generazione, è in effetti la sensazione di non poter intervenire su una realtà (sociale, costruita dall’uomo) che ti appare eterna e immodificabile come un dato di natura, anche se aggiungi che è spaventoso il modo in cui i tentativi di cambiamento vengono soffocati e repressi.
Il fascino oscuro di cui parla Galimberti è intorno a te, in un’estetica che sicuramente non ti sfugge e che l’arte recepisce in mille forme (la disperazione, l’ubriachezza e la vertigine, la degradazione: il post-atomico, il catastrofico, il “day after” ecc).
L’individualismo, infine, non è “negativo”, è semplicemente vano: pensare di potere essere felici da soli, di cavarsela davanti a folle di individui superflui e disperati è davvero l’ultima follia. Mi viene in mente un film bello e drammatico, La zona, che mi piacerebbe tu vedessi (e vedeste) per proseguire la discussione.
14 Settembre 2013 at 18:57
bello e interessante blog, ci trovo un sacco di sounti, lo copio molto 😉
1 Ottobre 2013 at 12:45
In effetti, solo in un’epoca così ottimistica come l’ottocento si sarebbe potuto pensare di sancire la morte di dio. Basta guardarsi un pò attorno oggi (magari verso papa Francesco) per rendersi conto di quanto sia tornato ad esser vitale: inevitabile quando le possibilità prettamente terrene di relizzazione di sé e felicità paiono crollare.
Certo, col senno di poi, verrebbe quasi da dire che neppure le promesse dell’ottocento hanno saputo veramente realizzarsi.
Ricordo che ad Hamburg un amico presentò come tema il “precariato” vissuto, in particolare dai giovani, contemporanei come “perdita di un futuro”: la risposta del prof, molto interessante, fu di notare che fino -almeno- agli anni ’60 nessun operaio FIAT avrebbe ragionato tanto di “futuro”. Non nei termini attuali, perlomeno.
In effetti, mi pare che abbiamo assistito ad una trasformazione di questo concetto: un’espansione come “realizzazione di sé” dal contenuto non pre-determinato, che lascia un’enorme libertà ma al contempo richiede anche molti mezzi materiali. Mancando questi, la libertà si ribalta in angoscia e, forse, qualcuno avrebbe preferito averne molta meno in cambio di qualche sicurezza (il posto fisso)….
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17 Settembre 2013 at 17:03