Valerio Guizzardi, Il panopticon della povertà

by gabriella
cage à deux

Mona Hatoum, Cage à deux, 2002

Per fare alcune con­si­de­ra­zioni sul rap­porto stretto che lega neo­li­be­ri­smo e car­cere, è oppor­tuno par­tire dal volume di Loïc Wac­quant Ipe­rin­car­ce­ra­zione. Neo­li­be­ri­smo e cri­mi­na­liz­za­zione della povertà negli Stati Uniti (Ombre corte. Ne ha già scritto su que­sto gior­nale Vin­cenzo Vita il 7 giu­gno). È, quello dello stu­dioso fran­cese, un «dia­rio della crisi» dell’Impero visto da uno dei suoi lati più oscuri: il disa­stro sociale, eppur fun­zio­nale e messo a valore, che l’ideologia neo­li­be­ri­sta ha pro­vo­cato negli Sta­tes. Lo stesso autore con Punire i poveri. Il nuovo governo dell’insicurezza sociale (Deri­veAp­prodi) e Sim­biosi mor­tale. Neo­li­be­ri­smo e poli­tica penale (Ombre corte), ancora prima che esplo­desse la bolla finan­zia­ria del 2008 aveva anti­ci­pato come il con­trollo e la gestione della mar­gi­na­lità, tra­mite l’ipertrofia penale e car­ce­ra­ria, avreb­bero por­tato gli Usa a essere elen­cati tra i paesi con il più alto tasso di car­ce­riz­za­zione del mondo esi­bendo senza alcuna ver­go­gna set­te­cen­to­se­dici pri­gio­nieri su cen­to­mila abi­tanti al 2012 (i dati sono rica­vati dagli studi dell’Inter­na­tio­nal Cen­tre for Pri­son Stu­dies).

Il neo­li­be­ri­smo, tut­ta­via, non ha biso­gno di modi­fi­care così in pro­fon­dità la strut­tura dello Stato. Gli basta una ridi­slo­ca­zione di alcuni mec­ca­ni­smi sociali: dalla distru­zione del wel­fare, pas­sando per il work­fare, si arriva al pri­son­fare. Que­sto pas­sag­gio, sostiene Wac­quant, non riguarda tutti gli ame­ri­cani ma una mag­gio­ranza per­ce­pita come classe peri­co­losa, una galas­sia calei­do­sco­pica costi­tuita da un’infinità di sog­getti e gruppi sociali carat­te­riz­zati da una loro spe­ci­fi­cità: l’irriducibilità a un mer­cato del lavoro sem­pre più deso­cia­liz­zato, strut­tu­ral­mente pre­ca­rio e schia­vi­stico, che li induce a rivol­gersi all’economia infor­male di strada. In altre parole, come docu­menta Ales­san­dro Dal Lago nel sag­gio La pro­du­zione della devianza (ombre corte), sono i poveri, i reietti, i disoc­cu­pati, le etnie ispa­ni­che e nere, il sot­to­pro­le­ta­riato delle grandi peri­fe­rie metro­po­li­tane, i sof­fe­renti psi­chia­trici, le pro­sti­tute e i tos­si­co­di­pen­denti ad essere stri­to­lati nelle tec­no­lo­gie del con­trollo messe in campo dagli stati nazionali.

Il business penitenziario

Da qui la solu­zione neo­li­be­ri­sta, che vede un’espansione ormai illi­mi­tata dello stato penale su quello sociale, l’ipertrofia degli appa­rati del con­trollo disci­pli­nare a sca­pito di chi ha accet­tato le con­di­zioni spa­ven­tose del lavoro postin­du­striale e di chi ne è rimasto escluso. Di con­se­guenza, natu­ral­mente, si è avuto a seguire un business peni­ten­zia­rio (Nils Chri­stie, Il busi­ness peni­ten­zia­rio, Elèu­thera) in con­ti­nua evo­lu­zione. Prende così forma un pro­cesso di pri­va­tiz­za­zione della pena e della sua gestione con l’ingresso, tra gli anni Set­tanta e gli anni Novanta, delle società impren­di­to­riali del set­tore (oggi in ridu­zione), un’enorme pro­du­zione di ser­vizi for­niti dai soliti pri­vati in appalto (sanità, edu­ca­zione, assi­stenza, logi­stica, ecc.), il sovra­di­men­sio­na­mento di tutto l’apparato puni­tivo (poli­zia, agenti peni­ten­ziari, Corti penali) e della pro­fes­sione forense.

Un affare che com­ples­si­va­mente macina pro­fitti per miliardi di dol­lari l’anno. Un ana­logo e lucroso busin­ess lo hanno avuto le indu­strie che, por­tando la pro­du­zione all’interno degli sta­bi­li­menti penitenziari hanno tro­vato lavoro vivo a sfrut­ta­mento totale sotto ricatto e a prezzi imbat­ti­bili se para­go­nati a quelli di fuori. Per quanto riguarda l’Europa, l’importazione del modello penale sta­tu­ni­tense ha avuto come con­se­guenza il rad­dop­pio, negli ultimi ven­ti­cin­que anni, dei i tassi di car­ce­riz­za­zione, che si sono asse­stati a una media di 100 pri­gio­nieri ogni 100.000 abi­tanti con un trend dell’ipertrofia dello Stato penale e del suo indotto pro­dut­tivo in con­ti­nuo aumento.

Non­di­meno l’Italia, da brava prima della classe, che dal 1966 al 1992 aveva un tasso di car­ce­riz­za­zione tra 50 e 60 pri­gio­nieri per 100.000 abi­tanti, dal 1992 in soli 8 anni è pas­sata a 100 su 100.000. Al 2012 il nostro Paese vanta una per­cen­tuale tem­po­ra­nea­mente in asse­sta­mento di 109 su cen­to­mila (Inter­na­tio­nal Cen­tre for Pri­son Stu­dies). Gli altri dati più noti al pub­blico sen­si­bile e facil­mente riscon­tra­bili sul web sono: dopo aver toc­cato una punta di set­tan­ta­mila negli anni pre­ce­denti, la popo­la­zione car­ce­ra­ria ita­liana è prov­vi­so­ria­mente asse­stata su ses­san­ta­sei­mila pri­gio­nieri nei 206 isti­tuti penali esi­stenti. Il tasso di sovraf­fol­la­mento è 140, ossia 140 pri­gio­nieri per 100 posti letto effet­ti­va­mente dispo­ni­bili. La com­po­si­zione car­ce­ra­ria mostra un 37% d’imprigionati per aver vio­lato le leggi sulle sostanze stu­pe­fa­centi, con un dra­stico aumento riscon­trato dopo l’entrata in vigore della «Fini-Giovanardi» (Legge 309 del 28/02/2006), e un 35% di stra­nieri come «ottimo» risul­tato della «Bossi-Fini» (Legge 189 del 30/07/2002). Il rima­nente è costi­tuito da uomini e donne incar­ce­rati per reati «pre­da­tori di strada» (nomadi, pro­sti­tute, psi­chia­triz­zati e mar­gi­na­liz­zati in seguito all’espulsione dal mer­cato del lavoro). Poco meno di 700 i murati vivi dell’incostituzionale 41 bis, tra i quali si riscon­tra il 4% di sui­cidi sul totale.

Le censure europee

Marcello Lonzi

Marcello Lonzi

L’ergastolo, messo all’indice nel 2013 da una sen­tenza della Corte euro­pea dei diritti umani per palese vio­la­zione di tali diritti e inco­sti­tu­zio­nale secondo l’articolo 27, 3° comma, della Costi­tu­zione ita­liana, col­pi­sce circa mil­le­quat­tro­cento dete­nuti. Si aggira intorno al qua­ranta per cento sul totale il numero degli impri­gio­nati in custo­dia cau­te­lare o con sen­tenze non defi­ni­tive, dei quali circa la metà saranno scar­ce­rati in seguito all’accertamento della loro inno­cenza dopo mesi o anni di galera a titolo gra­tuito. Infine, la tor­tura. Secondo il Michael Fou­cault di Sor­ve­gliare e punire esiste da sem­pre. Oggi soprav­vive non solo per la disu­mana con­di­zione cui il sovraf­fol­la­mento ende­mico e strut­tu­rale sot­to­pone i pri­gio­nieri, ma anche — come docu­men­tato da decine di inter­pel­lanze par­la­men­tari e da decine di denunce di asso­cia­zione dei diritti civili — a causa di «squa­drette» fuori con­trollo di agenti vio­lenti che si aggi­rano indi­stur­bate nelle galere nostrane. In que­sto caso, non si tratta di estor­cere con­fes­sioni, ma di sta­bi­lire un rigido con­trollo disci­pli­nare all’interno degli isti­tuti penali e giu­di­ziari (S. Verde, Mas­sima sicu­rezza, Odra­dek). Di norma i pestaggi col­pi­scono i pri­gio­nieri riot­tosi o coloro che hanno recla­mato i pro­pri diritti con una certa insi­stenza. Que­ste vio­lenze in genere avven­gono nelle celle d’isolamento, lon­tano da even­tuali testi­moni, nelle quali i mal­ca­pi­tati sono tra­sfe­riti per subire il «trat­ta­mento». Una realtà, que­sta, più volte con­dan­nata dal Comi­tato euro­peo per la pre­ven­zione della tor­tura e delle pene o trat­ta­menti inu­mani o degra­danti. L’Italia, è noto, non ha una legge sulla tor­tura, come più volte sot­to­li­neato dagli orga­ni­smi comu­ni­tari, da una cam­pa­gna da parte di pochi depu­tati e asso­cia­zioni della società civile. L’indifferenza da parte dei governi che si sono suc­ce­duti nel nostro paese è testi­mo­niata dal fatto che in Par­la­mento giac­ciono dimen­ti­cati nei cas­setti nume­rosi dise­gni depo­si­tati da rari par­la­men­tari sensibili.

Stefano Cucchi

Stefano Cucchi

L’Italia ha pro­vato inol­tre a impor­tare uno dei tratti più distin­tivi dell’iperincarcerazione neo­li­be­ri­sta ame­ri­cana (e inglese), che con­si­ste nella pri­va­tiz­za­zione della gestione dell’applicazione penale in car­cere. Ma l’idea di ade­rire alla pro­po­sta gover­na­tiva con­te­nuta nel Decreto Legge 24 gen­naio 2012 non ha però entu­sia­smato gli impren­di­tori del cemento e della sof­fe­renza; infatti per ora nes­suno si è pre­sen­tato, forse a causa dall’assenza di cer­tezza di un dure­vole pro­fitto dovuta a decrete attua­tivi assenti e una buro­cra­zia che, in ambito car­ce­raio, ren­dono la vita impos­si­bile anche al più paziente degli uomini e delle donne. Infine, dal 2000 al 10 set­tem­bre 2013 nel nostro cir­cuito peni­ten­zia­rio si sono avuti due­mi­la­due­cento morti di cui set­te­cen­to­no­vanta sui­cidi. Morti per vio­la­zione sta­tale del diritto di accesso alla sanità e alla cura. Le pato­lo­gie più ricor­renti sono Aids, tumori, epa­titi, car­dio­pa­tie gravi, psi­co­pa­to­lo­gie: pato­lo­gie quasi tutte acqui­site in car­cere a causa della pro­mi­scuità, di ambienti mal­sani, mal­nu­tri­zione e stress psi­co­fi­sico da deten­zione. Ci sono anche i morti che la sini­stra buro­cra­zia car­ce­ra­ria clas­si­fica come «da accer­tare», ovvero quelli «caduti dalle scale».

Negli ultimi 25 anni tutti i governi di ogni colore che si sono suc­ce­duti — con una spic­cata pro­pen­sione secu­ri­ta­ria del cen­tro­si­ni­stra (la «riforma» Fas­sino del 2001, quella di Dili­berto nel 1999 e la Turco-Napolitano che ha isti­tu­zio­na­liz­zato i «lager» per migranti 1998) hanno usato il Par­la­mento come una clava sulle «classi peri­co­lose». Non serve certo un un esperto per osser­vare che vi è stata, e vi è tut­tora, una pro­du­zione spro­po­si­tata di leggi e decreti che hanno pro­vo­cato un allar­ga­mento dello Stato penale impen­sa­bile fino agli anni Novanta. L’evidenza sta nella con­ti­nua inven­zione di nuove fat­ti­spe­cie di reato, nell’innalzamento delle pene edit­tali, nella con­ces­sione alla magi­stra­tura dell’uso spro­po­si­tato della custo­dia cau­te­lare in car­cere come anti­cipo della pena, dell’uso discre­zio­nale dell’art.41 bis su espli­cita richie­sta dei Mini­steri di giu­sti­zia e dell’interno, nell’uso raz­zi­sta e xeno­fobo dei Cie.

I professionisti della paura

In que­sto lungo elenco, non pos­sono essere omesse le cam­pa­gne secu­ri­tari e ampia­mente ampli­fi­cate dai media di regime per spa­ven­tare la popo­la­zione durante le cam­pa­gne elet­to­rali di que­sto o quel par­tito per rac­co­gliere con­sensi dovuti dalla paura. Del resto, come osserva Patri­zio Gon­nella nella pre­fa­zione a Ipe­rin­car­ce­ra­zione, una volta ceduta la sovra­nità a organi sovra­na­zio­nali come Fmi, Bce, Banca mon­diale, agli stati nazio­nali non rimane che il potere puni­tivo, al quale ten­gono enor­me­mente e riten­gono inac­cet­ta­bile ogni intro­mis­sione sul «cor­retto» uso della forza cieca.

Natu­ral­mente non tutto pro­se­gue così linear­mente. C’è infatti da regi­strare che i dete­nuti recla­mano da anni prov­ve­di­menti di amni­stia e di indulto, come docu­menta Vin­cenzo Sca­lia nel libro Migranti, devianti e cit­ta­dini (Franco Angeli). Sono state mobi­li­ta­zioni avve­nute den­tro e fuori le mura del car­cere e costi­tui­scono un patri­mo­nio di lotte con­si­de­re­vole nume­ri­ca­mente e impor­tan­tis­simo che pro­cura non pochi grat­ta­capi ai pro­fes­sio­ni­sti della paura, della sof­fe­renza e della puni­zione.

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