Esiodo, l’aretè popolare

by gabriella

Demetra e Persefone

 Considera tutto ciò e porgi ascolto al diritto,
dimentica ogni violenza.
Ché tale è il costume che Zeus ha prescritto agli uomini:
i pesci e le fiere e gli uccelli alati si divoreranno fra loro, poiché non v’è tra loro diritto.
Ma agli uomini diede egli il diritto, sommo tra i beni.

Le opere e i giorni (Erga kài hemérai), vv. 274-278

 

Indice

1. La virtù popolare e il rovesciamento dell’aretè omerica
2. Il protagonismo del demos ionico
3.
Le Opere e i giorni: la virtù del lavoro contro la hybris
4. L’ordine divino e l’intervento degli dèi nelle cose umane
5. La virtù del demos è la virtù dell’umanità


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1. La virtù popolare e il rovesciamento dell’areté omerica

Accanto a Omero i Greci collocavano, come loro secondo grande poeta, il beota Esiodo. Con Esiodo, sale in primo piano una sfera sociale ben diversa dal mondo dell’aristocrazia e della sua cultura tramandateci dai poemi omerici. La sua poesia mostra infatti la vita del ceto contadino della madrepatria greca sul finire dell’VIII secolo.

Lo sguardo del poeta si sofferma sulle esistenze umili del volgo ignobile (non nobile) perché dedito ad attività oscure e senza gloria, la cui virtù oppone a quella degli aristoi (i migliori, gli eccellenti) colti nella loro inutilità e prepotenza:

il lavoro non è vergogna – ammonisce Esiodo rivolto al fratello Perse – vergogna è l’inoperosità  [Le opere, vv. 298-319].

areté dei poeti

 

2. Il protagonismo del demos ionico

Beozia e Ionia

Le ragioni delPaideia rovesciamento della prospettiva esiodea rispetto a quella omerica vanno rintracciate nelle lotte sociali che interessano le colonie ioniche tra ottavo e settimo secolo, dove nuovi ceti, sorti dai commerci (demos arricchito non nobile), si sollevano contro il predomino della vecchia aristocrazia agraria che esercitava la propria supremazia basandola sul potere di fatto e sulla tradizione.

Come sottolinea Jaeger, la cultura ionia, emersa da una vita economica e culturale ben più vivace di quella della madre patria, esercita una profonda influenza tanto su Esiodo che, successivamente, su Solone, i due poeti del diritto.Cuma eolica

È nelle colonie ioniche dell’VIII secolo, infatti, che prendono forma le forze che daranno vita alla polis greca e a quel tipo di uomo dai vasti orizzonti e dal senso critico aguzzo che si affermerà tre secoli dopo ad Atene.

Il legame con la Ionia è per Esiodo anche familiare: suo padre, originario di Kyme (Cuma), era dovuto emigrare in Beozia dopo essere caduto in miseria e ad Ascra aveva acquistato un piccolo podere. In questo villaggio sotto le pendici dell’Elicona nacque così il poeta (VIII° secolo) che non vi si sentì mai pienamente a suo agio, descrivendola come dominata da aristocratici prepotenti e giudici corrotti, oltre che

orribile d’inverno, insopportabile l’estate, amena non mai [Le opere e i giorni, Erga kài hemérai].

Oltre al cattivo clima, il villaggio in cui era nato rappresentava il vecchio mondo ideale greco già sfidato nella Ionia. Ciò che era accaduto in Ionia, con la sua prolungata guerra civile, ha infatti un’influenza decisiva sull’opera di Esiodo e, come vedremo, anche di Solone, poeta e arconte di Atene nel secolo successivo.

Là, infatti, si erano create le condizioni economiche e sociali per la rivoluzione culturale in cui si inserisce la riflessione dei due poeti, cioè la crisi dell’autorità dei nobili basata sul volere divino (themis) e l’elaborazione di una nuova visione della giustizia (dike), basata sul contributo umano al mantenimento dell’armonia stabilita dagli dèi.

Prima del sesto secolo, la giustizia era Themis, sposa di Zeus e personificazione del diritto inteso come ordine naturale. Il suo nome significava “irremovibile”, perché l’ordine sociale fissato dagli dèi era eterno ed immutabile. Per questa ragione, il potere degli aristocratici riceveva da Themis la sua giustificazione.

 

3. Le opere e i giorni: la virtù del lavoro contro la hýbris

lavoro nei campi

L’operosità del Demos

sparviero

Lo sparviero, metafora della hýbris

Ne Le opere e i giorni (Erga kài hemérai), Esiodo prende spunto dal litigio che lo oppone al fratello Perse che pretendeva una parte non spettante della loro eredità, per affermare il valore del lavoro e la virtù dell’operosità contro l’ingiustizia (hýbris).

Il poeta stabilisce così uno stretto legame tra lavoro e giustizia: i rapporti tra gli uomini sono incrinati dalla hýbris, dalla tracotanza e dall’arbitrio individuale che infrangono l’ordine divino.

Alla prepotenza si oppone però il valore del lavoro, protetto da Dike, figlia di Zeus, la giustizia con la quale Zeus ristabilisce l’armonia universale.

L’immagine dello sparviero che trattiene tra gli artigli l’usignolo è dunque la rappresentazione emblematica del mondo così com’è, dominato dalla legge del più forte, dall’arbitrio dei nobili sul demos, al quale il poeta oppone la propria fiducia nella santità del lavoro e nell’azione di Zeus secondo giustizia:

a che ti lamenti, o infelice? Ti tiene uno che è più forte; dove ti porto io, tu andrai, anche se sei canoro; ti divorerò oppure ti libererò a mio piacere. Stolto è chi vuole combattere contro i forti: non riporterà alcuna vittoria e, oltre al danno, subirà pure la beffa  [Le opere, vv. 208-212].

 

4. L’ordine divino e l’intervento degli dèi nelle cose umane

Il lavoro è l’unica forza che può opporsi sulla terra all’invidia e alla discordia, viste da Esiodo come un castigo degli dèi. Benché sia un onere gravoso per l’uomo, l’operosità tuttavia arreca più felicità che l’ingiusta avidità dei beni altrui:

Sii pertanto memore della mia esortazione e lavora, o Perse, rampollo divino, affinché la fame ti odii e t’ami la ben ghirlandata onesta Demetra e colmi di provviste i tuoi granai […] Chi vive inoperoso, dèi e uomini sono in collera con lui. Egli somiglia nel suo contegno ai fuchi, che consumano inattivi l’opera faticosa delle api. Possa tu aver la buona voglia di compiere lavoro regolare in giusta misura, affinché ti sian pieni i granai di quanto ciascuna stagione t’offre di provviste. […] Il lavoro non è vergogna, vergogna è l’inoperosità [Le opere, vv. 298-319].

La ricchezza non deve essere un furto: le ricchezze date da Dio sono le migliori. Se qualcuno, infatti, acquista con la violenza grande ricchezza o arricchisce con gli spergiuri, come spesso accade quando la bramosia del guadagno fa smarrire le menti degli uomini e la sfrontatezza toglie il pudore, allora gli dèi facilmente annientano l’uomo, e gli fanno andare in rovina la casa: la ricchezza lo accompagna per breve tempo. Lo stesso avverrà a colui che maltratterà l’ospite o il supplice e a colui che violerà il talamo del proprio fratello in amplessi furtivi con la moglie di lui, commettendo un misfatto, a colui che con la sua sconsideratezza si renderà colpevole verso gli orfani, a colui che, insultandolo, offenderà con aspre parole il genitore giunto alla triste soglia della vecchiaia. Lo stesso Zeus si sdegna contro costoro e alla fine dà aspro compenso alle opere ingiuste. Ma tu da queste empietà distogli del tutto la mente leggera [Le opere, vv. 320-335].

Come si vede, gli dèi si sdegnano davanti alla tracotanza dei prepotenti e intervengono per ripristinare la legge di giustizia, sia quando la ricchezza sia estorta col sopruso, sia quando l’uomo infrange le regole dell’etica universale (inospitalità, avarizia, adulterio, prepotenza, violazione del dovere di rispetto per i padri) alla quale deve obbedienza.

folgore

La folgore di Zeus

Come ricorda Jaeger, la fonte più antica dell’idea che gli dèi sono garanti del diritto (provvidenza) si trova in Omero.

Nell’Iliade si trova la credenza che Zeus mandi in terra tremende tempeste quando in terra gli uomini violano il diritto, mentre l’Odissea – più vicina all’epoca di Esiodo – è permeata dall’idea che il governo degli dèi non sarebbe davvero divino se non finisse per procurare vittoria al diritto cioè se alla fine non prevalesse il bene [Paideia, p. 143].

beozia

Beozia

Per Esiodo, dunque, l’eroismo non viene solo dalla lotta degli eroi sul campo di battaglia, ma anche dalla lotta silenziosa e tenace del lavoratore con la dura terra. Come scrive Erodoto:

in Grecia la povertà fu sempre di casa, ma vi si aggiunge l’areté. Essa è dovuta alla saggezza e a forti leggi. Sua mercé l’Ellade ripara alla povertà e alla schiavitù (Storie),

 così Esiodo:

Alla miserabile condizione si può facilmente arrivare a schiere: liscia è la via e ben vicina è la sua dimora. Ma innanzi alla buona riuscita (areté) gli dèi immortali hanno posto il sudore. Lungo ed erto è il sentiero fin lassù, e dapprima aspro. Ma, giunto che tu sia in alto, facile riesce ad onta della fatica [Le opere].

 

5. La virtù del demos è la virtù dell’umanità

pastore barbaricino

Dignità del lavoratore

La costruzione dell’umanità passa dunque per il lavoro, secondo i Greci. Esso infatti eleva l’uomo, lo forgia e lo rende degno della sua natura spirituale, sollevandolo dall’immediatezza animale e dal dominio delle pulsioni.

L’importanza di Esiodo, secondo Jaeger, consiste nella registrazione e nella presa di coscienza di di quel passaggio che dalle rivendicazioni sociali della Ionia dell’VIII secolo giunge al protagonismo del demos nella madrepatria del V secolo. Il filosofo sottolinea così che:

Esiodo ricava il ricco tesoro d’umana esperienza del lavoro e della vita, che espone all’ascoltatore in questa parte degli Erga, dalla profonda e secolare tradizione popolare. Questo affiorare dell’immemorabile, legato alla terra, inconscio ancora di sé, è ciò che propriamente ci afferra nel poema di Esiodo ed è una delle fonti della sua efficacia […] Egli mostra al lavoratore la sua vita faticosa e uniforme nello specchio d’un ideale superiore e animatore.

Non ha bisogno di guardare con invidia la classe privilegiata, dalla quale sin allora era venuto anche al popolo tutto il nutrimento spirituale; egli trova invece nella cerchia della sua propria esistenza e nella propria attività consueta, nelle sue stesse asprezze, un significato e un fine superiori. Nella poesia di Esiodo si compie sotto i nostri occhi l’autoformazione spirituale d’un ceto privo sino ad allora di una cultura conscia del proprio fine.

Per ciò che Omero non rappresenta soltanto una poesia di casta, ma assurge […] ad un’altezza […] spirituale universalmente umana, egli ha la forza di condurre a una cultura propria una classe che vive in tutt’altre condizioni di esistenza, d’insegnarle a trovare il senso umano della vita che le è proprio e a plasmarlo secondo una legge interiore […]. Come in Omero la cultura dell’aristocrazia si spiritualizza sino ad ottenere la più alta efficacia universalmente umana, così anche la civiltà campagnola supera già, in Esiodo, gli angusti limiti della sua sfera sociale (pp. 150; 151; 152).

In altri termini, la poesia di Esiodo canta l’eroismo quotidiano del popolo esaltando non più solo le virtù di una classe (demos), ma dell’intera umanità.

Solone (VII a. C.)

Con Solone, la consapevolezza del demos del proprio diritto sancirà il progresso definitivo nell’uguaglianza di tutti davanti alla legge.

 

Esercitazione

1. La nuova idea di areté che emerge in Esiodo può essere spiegata a partire dal legame del poeta con la Ionia, terra natale del padre. Spiegane le ragioni.

2. Illustra in venti righe (ca.) la visione esiodea della vita umana, utilizzando i concetti di hýbris, lavoro, dike e areté.

3. Spiega in cosa consiste la visione provvidenziale del mondo in Esiodo, aiutandoti anche con esempi tratti da Le opere e i giorni e con il confronto con Omero.

 

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