Giulio Cavalli, La memoria non si commemora, si esercita
Esattamente dove sono le istruzioni per festeggiare una “giornata della memoria” come quella di questo 27 gennaio dell’anno 2019 facendo finta di niente? Ma davvero oggi risulta possibile citare Primo Levi fingendo di non sapere quanto sia tradito nelle chiacchiere da bar, tra i commenti che galleggiano nel web, nei giudizi immorali passati come scherno?
Anna Meldolesi, Alla nascita siamo uguali (basta falsità)
Tratto dal Corriere della Sera del 25 gennaio 2019.
Lo sviluppo fisico e cognitivo segue un andamento condiviso e universale. Quindi neonati diversi tra loro cresceranno forti e intelligenti allo stesso modo. Non importa chi di loro vive in India, Kenya, o Brasile, Inghilterra o Italia.
Lo dimostrano i dari raccolti nell’arco di 7 anni dal progetto Intergrowth-21st in 5 Paesi e coordinati dall’Università di Oxford.
Date loro una mamma in buona salute, cibo nutriente, una casa pulita, affetto e attenzione. Neela, Aasir, Izabel, Isaac e Sofia cresceranno forti e intelligenti allo stesso modo. Non conta nulla che abbiano l’incarnato più o meno scuro. Non importa chi di loro vive in India, Kenya o Brasile, piuttosto che in Inghilterra o Italia. Le tappe della loro crescita saranno le stesse. Perché lo sviluppo fisico e cognitivo segue un andamento condiviso e universale. Lo dimostrano i dati raccolti nell’arco di 7 anni dal progetto Intergrowth-21st in 5 Paesi del mondo.
Il brigantaggio
Didattica della rivolta postunitaria del Sud, del brigantaggio, di briganti e brigantesse.
Vi hanno briganti quando il popolo non li aiuta.
Quando si ruba per vivere e morire con la pancia piena.
e vi ha brigantaggio quando la causa del brigante e la causa del popolo
allorquando questo lo aiuta, gli assicura assalti, la ritirata, il furto e ne divide i guadagni.Ora noi siamo nella condizione del brigantaggio.
Vincenzo Padula. Cronache del brigantaggio in Calabria, 1864-5
Indice
1. Sergio Pasquandrea, Il brigantaggio postunitario
1.1 Le cause
1.2 Chi erano
1.3 Chi li appoggiava
1.4 Cronologia
1.5 Dati
1.6 La repressione
1.6.1 La strage di Pontelandolfo a Casalduni
1.6.2 La legge Pica
1.6.3 L’eredità della Priora
1.7 Carmine Crocco
2. Filomena De Marco (Filomena Pennacchio)
3. Michelina De Cesare
4. Rocco Chirichigno (Il Coppolone)
5. Michele Pezza (Fra’ Diavolo)
Tucidide, Il dialogo dei meli: dissoi logoi e diritto del più forte
Nel 416, l’isola di Melo, neutrale anche se amica di Sparta, rifiutò di entrare a far parte della lega ateniese. Dopo un lungo assedio, gli ateniesi passarono per le armi tutti gli adulti maschi caduti nelle loro mani e resero schiavi i fanciulli e le donne, concludendo la guerra con l’occupazione militare dell’isola.
L’episodio, minore per rilevanza militare, riveste evidentemente un significato particolare per l’ateniese Tucidide che riferisce il drammatico colloquio tra i meli e gli emissari ateniesi presentando temi e forma argomentativa propri della sofistica [La guerra del Peloponneso, V, 85-114].
Gli ateniesi presentano la situazione con brutale franchezza: Atene ha interesse a sottomettere Melo, non a distruggerla. E’ meglio perciò che ognuno valuti con realismo la circostanza, perché non si parla di giustizia in una condizione di radicale diseguaglianza dei rapporti di forza.
I meli accettano a malincuore di lasciare il discorso sulla giustizia e di portarsi sul piano dell’utilità e consigliano gli ateniesi di rispettare la loro neutralità perché, in caso contrario, provocherebbero la riprovazione di tutti i greci e la ritorsione di Sparta, ma l’argomento non convince gli emissari che vedono l’ipotesi proposta dai meli come un’ammissione di debolezza da parte di Atene.
Umberto Eco, Perché la filosofia
L’introduzione al manuale di filosofia per i Licei, Storia della Filosofia, curato da Umberto Eco e Riccardo Fedriga per Laterza.
Pierre Hadot, Il domandare socratico
Tratto da Che cos’è la filosofia antica? Torino, Einaudi, 2010.
Quando Socrate pretende di non sapere che una cosa, ossia di non sapere nulla, è perché rifiuta l’idea tradizionale del sapere.
Il suo metodo filosofico non consisterà nel trasmettere un sapere, il che equivarrebbe al rispondere alle domande dei suoi discepoli ma, al contrario, nell’interrogare i suoi discepoli, dato che lui stesso non ha niente da dire, niente da insegnare riguardo al contenuto teorico del sapere […].
Tuttavia, questa critica del sapere, apparentemente del tutto negativa, ha un doppio significato.
Platone, Eutifrone
L’Eutifrone è un dialogo aporetico (senza soluzione) dedicato al tema della pietà (dell’esser pii).
Il protagonista è un religioso che spicca per ottusità e dogmatismo, espressione vivente di quella mediocrità pericolosa con cui Socrate sta per confrontarsi in tribunale.
I due si incontrano in piazza, davanti al palazzo dell’arconte al quale entrambi chiedono udienza poiché stanno per agire in giudizio o, nel caso di Socrate, per subirlo.
Eutifrone muove, infatti, causa a suo padre che ha lasciato morire in cella un omicida mentre mandava a chiedere agli interpreti della legge cosa dovesse farne. Le circostanze fortuite della morte dell’uomo, che escludono la volontarietà dell’azione paterna, evidenziano il dogmatismo del sacerdote che pretende di conoscere cosa sia pio e cosa empio senza riuscire però a definirli.
Eutifrone sostiene, infatti, che santo è ciò che lui stesso sta facendo, cioè trascinare in giudizio un omicida benché sia suo padre. Socrate lo spinge allora a dichiarare se santo sia ciò che è amato dagli dèi o se, viceversa, proprio perché santo sia amato, con una discussione che si snoda per più ipotesi concludendosi senza risultati.
Per realizzare l’ipertesto in cui al termine dell’introduzione si aprono i tre tentativi di risposta di Eutifrone, ho utilizzato la traduzione di Gigante-Valgimigli della classica edizione Laterza (la più bella, a mio avviso), alleggerendola delle espressioni più antiquate per renderla accessibile ai miei studenti.
Andrea Camilleri, Il filosofo e il tiranno
In questo racconto relativo all’incontro di Platone con il tiranno di Siracusa [Micromega 4, 1999 – pp. 17-33], Camilleri dichiara di essersi basato su due documenti sconosciuti: una lettera di Dione a Crisippo di Mitilene nella quale minutamente racconta come riuscì a far invitare a cena Platone dal tiranno e un testo che Cratilo di Megara asserisce essere una fedele trascrizione del dialogo notturno tra i due.
Aveva piovuto per due giorni e due notti di fila, ma la mattinata del terzo giorno, fin dalle prime luci dell’alba, si era annunziata come una generosa riparazione. Al sole era bastata appena un’oretta per asciugare case, palazzi, templi e strade.
A malgrado del calore umidizzo provocato dall’evaporazione, dintra di sé Dione sentiva tanticchia di freddo. La sera avanti, a casa sua, si era presentato il cerimoniere di corte.
«Dionigi domattina vuole vederti. Prima che puoi».
Dionigi, tiranno di Siracusa, era suo cognato. C’era stato un tempo nel quale i loro rapporti erano improntati a reciproca cortesia, dovuta soprattutto al legame di parentela. Non ad amicizia, ch’era parola del tutto sconosciuta a Dionigi. Poi però il tiranno si era fatto persuaso (o l’avevano fatto persuadere) che Dione sparlasse di lui e dell’uso che faceva del potere per ottenere il consenso della gente mosso da malcelate ambizioni politiche. E i loro rapporti, di colpo, erano diventati gelidi e formali.
Dione perciò aveva motivo di sentirsi inquieto per quella convocazione che non arrivava del tutto inaspettata. Anzi, essa segnava un punto a favore di un piano accuratamente preparato. La sensazione di freddo diventò più forte quando finalmente giunse a Palazzo. Era una costruzione grandiosa dovuta ad Eripilo, il migliore architetto della Sicilia e della Magna Grecia. Sorgeva in cima allo stesso colle nelle cui pendici era stato ricavato il Teatro.
Anzi si diceva che l’orecchio di Dionigi, la grande fenditura nella roccia, la latomìa nella quale il tiranno teneva i prigionieri, terminasse in un sotterraneo del palazzo e precisamente in una cameretta nella quale Dionigi poteva ascoltare, in virtù delle straordinarie proprietà acustiche del luogo, tutto ciò che i suoi nemici in cattività dicevano di lui.
Platone, Apologia di Socrate
Il testo dell’Apologia, basato sulle edizioni curate da Patrizio Sanasi per Ousia.it e di Gabriele Giannantoni [Platone, Opere complete, Bari-Roma, Laterza, 1982].
Vedi anche Giampaolo Terravecchia, Socrate e l’Aikido verbale dell’Apologia, dicembre 2015
Parte Prima. La difesa di Socrate
I – Ufficio dell’oratore è dire la verità
[17] Io non so proprio, o Ateniesi, quale effetto abbiano prodotto su di voi i miei accusatori. Quanto a me, mentre li ascoltavo, divenivo quasi dimentico di me stesso: tale era il fascino della loro eloquenza! Eppure, se debbo proprio dirlo, non una parola di verità era in loro. Ma, tra tutte le loro menzogne, quella che mi ha maggiormente colpito è questa: essi dissero che dovevate stare bene in guardia per non lasciarvi trarre in inganno da me, essendo io un astuto parlatore. E questa mi è parsa la loro maggiore impudenza, in quanto si sono esposti con vergogna a farsi immediatamente smentire, giacchè vi mostrerò con i fatti come io non sia quell’ “astuto parlatore” che dicono. A meno che essi non intendano per “astuto parlatore” chi dice la verità; in tal caso concedo loro di essere un “oratore”, ma non certo alla loro maniera.
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