Matematica, astronoma, filosofa neoplatonica, Ipazia rappresenta l’ultimo esempio di grandezza dell’ellenismo e della scienza precristiana. Invisa al vescovo Cirillo per la sua indipendenza e la sua autorità di maestra, secondo il commentatore cristiano Socrate scolastico, fu aggredita l’8 marzo 415 da un gruppo di fanatici cristiani (i parabolanoi, chierici «barellieri» che costituivano una sorta di milizia privata del vescovo) mentre tornava a casa.
Il loro capo, Pietro il lettore, la tirò giù dalla lettiga, la trascinò nella chiesa costruita sul Cesareion e la uccise brutalmente, scorticandola fino alle ossa (secondo alcune fonti, utilizzando ostrakois, gusci di ostriche o cocci), trascinandone poi i resti in un luogo detto Cinarion, dove furono bruciati.
Cirillo ordinò che fossero distrutte tutte le sue opere, i tredici volumi di commento all’aritmetica di Diofanto, gli otto volumi delle Coniche di Apollonio, il trattato sulle orbite dei pianeti, il trattato su Euclide e Claudio Tolomeo, il Corpus astronomicum, i testi di meccanica, gli strumenti scientifici da lei inventati [fonte: Damascio, Vita di Isidoro].
Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura.
Pallada, Antologia Palatina
Indice
1. Piergiorgio Odifreddi, Uccidete Ipazia
2. Margherita Hack, Prefazione ad Antonio Petta, Vita e sogni di una scienziata del IV secolo
3. A. Colavito, A. Petta, Nota a Ipazia scienziata alessandrina
4. Il contesto storico della morte di Ipazia
5. Il dibattito Ipazia, una donna per la libertà, la scienza, contro ogni fanatismo
Audiolezioni: 1. L’ellenismo e l’incontro della filosofia greca con il cristianesimo; 2. L’incontro della filosofia greca con il cristianesimo: Agostino
1. Piergiorgio Odifreddi, Uccidete Ipazia
La Stampa, 21 agosto 1999 (supplemento libri)
Se ragione e fede costituiscono i due binari paralleli lungo i quali si è mossa la storia dell’Occidente negli ultimi duemila anni, i testi che meglio ne rappresentano l’immutabile distanza sono gli Elementi di Euclide e la Bibbia, le due summe del pensiero matematico greco e della mitologia religiosa ebraico-cristiana, la cui efficacia ispirativa è testimoniata dall’incredibile numero di edizioni raggiunte da entrambi (duemila, una media di una all’anno dalla prima “pubblicazione”).
L’episodio più emblematico della contrapposizione fra le ideologie che si rifanno ai due libri accadde nel marzo del 415, quando un assassinio impresse, come disse Gibbon «una macchia indelebile» sul cristianesimo. La vittima fu una donna: Ipazia, detta «la musa» o «la filosofa». Il mandante un vescovo: Cirillo, patriarca di Alessandria d’Egitto. Il contesto storico in cui l’avvenimento ebbe luogo è il periodo in cui il cristianesimo effettuò una mutazione genetica, cessando di essere perseguitato con l’editto di Costantino nel 313, diventando religione di stato con l’editto di Teodosio nel 380, e iniziando a sua volta a perseguitare nel 392, quando furono distrutti i templi greci e bruciati i libri pagani.
Gli avvenimenti ad Alessandria precipitarono a partire dal 412, quando divenne patriarca il fondamentalista Cirillo. In soli tre anni il predicatore della religione dell’amore riuscì a fomentare l’odio contro gli ebrei, costringendoli all’esilio. Servendosi di un braccio armato costituito da monaci combattenti, sparse il terrore nella città e arrivò a ferire il governatore Oreste. Ma la sua vera vittima sacrificale fu Ipazia, il personaggio culturale più noto della città. Figlia di Teone, rettore dell’università di Alessandria e famoso matematico egli stesso, Ipazia e suo padre sono passati alla storia scientifica per i loro commenti ai classici greci: si devono a loro le edizioni delle opere di Euclide, Archimede e Diofanto che presero la via dell’Oriente durante i secoli, e tornarono in Occidente in t raduzione araba, dopo un millennio di rimozione.
In un mondo che ancora oggi è quasi esclusivamente maschile, Ipazia viene ricordata come la prima matematica della storia: l’analogo di Saffo per la poesia, o Aspasia per la filosofia. Anzi, fu la sola matematica per più di un millennio: per trovarne altre, da Maria Agnesi a Sophie Germain, bisognerà at tendere il Set tecento. Ma Ipazia fu anche l’inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell‘idroscopio, oltre che la principale esponente alessandrina della scuola neoplatonica. Le sue opere sono andate perdute, ma alcune copie sono state ritrovate nel Quattrocento; per ironia della sorte, nella Biblioteca Vaticana cioè in casa dei suoi sicari. Le uniche notizie di prima mano su di lei ci vengono dalle lettere di Sirenio di Cirene: l’allievo prediletto che, dopo averla chiamata «madre, sorella, maestra e benefattrice», tradì il suo insegnamento e passò al nemico, diventando vescovo di Tolemaide. Il razionalismo di Ipazia, che non si sposò mai ad un uomo perché diceva di essere già «sposata alla verità» costituiva un controaltare troppo evidente al fanatismo di Cirillo. Uno dei due doveva soccombere e non poteva che essere Ipazia: perché così va il mondo, nel quale si diffondono sempre le malatt ie infett ive e mai la salute.
Aggredita per strada, Ipazia fu scarnificata con conchiglie affilate, smembrata e bruciata. Oreste denunciò il fatto a Roma, ma Cirillo dichiarò che Ipazia era sana e salva ad Atene. Dopo un’inchiesta, il caso venne archiviato «per mancanza di testimoni». La battaglia fra fede e ragione si concluse con vincitori e vinti, e il mondo ebbe ciò che seppe meritarsi. Come si vede, già i puri fatti sono sufficienti ad imbastire un discreto romanzo, come ha fatto Caterina Contini in Ipazia e la notte. Se poi questi fatti sono riconosciuti con attenzione psicologica e filosofica, e narrati con scrittura dolce e ispirata, allora diventa ottimo, e permette alla figura di Ipazia di stagliarsi luminosa nel buio della notte che la inghiottì insieme alla verità, sua sposa.
2. Antonio Petta, Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo
Dalla Prefazione di Margherita Hack
Ipazia (Ὑπατία) era nata ad Alessandria d’Egitto intorno al 370, figlia del matematico Teone. Fu barbaramente asassinata nel marzo 415, vittima del fondamentalismo religioso che vedeva in lei una nemica del cristianesimo, forse per la sua amicizia con il prefetto romano Oreste che era nemico politico di Cirillo, vescovo di Alessandria. Malgrado la sua amicizia con Sinesio, vescovo di Tolemaide, che seguiva le sue lezioni, i fondamentalisti temevano che la sua filosofia neoplatonica e la sua libertà di pensiero rappresentassero un’influenza pagana sulla comunità cristiana di Alessandria.
L’assassinio di Ipazia è stato un atroce episodio di quel ripudio della cultura e della scienza che aveva causato molto tempo prima della sua nascita, nel terzo secolo dopo Cristo, la distruzione della straordinaria biblioteca alessandrina che si dice contenesse 500.000 volumi, bruciata dai soldati romani e poi durante il suo tempo, il saccheggio della biblioteca di Serapide. Dei suoi scritti non è rimasto niente; invece sono rimaste le lettere di Sinesio che la consultava a proposito della costruzione di un astrolabio e di un idroscopio.
Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria e cominciò il declino di quella città divenuta un famoso centro della cultura antica, di cui era simbolo la grande biblioteca. Il ritratto che ci è stato tramandato è di persona di rara modestia e bellezza, grande eloquenza, capo riconosciuto della scuola neoplatonica alessandrina. Ipazia rappresenta il simbolo dell’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatta grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio comincia quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tenta di soffocare la ragione. Tanti altri martiri sono stati orrendamente torturati e uccisi. Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno fu mandato al rogo per eresia, lui che scriveva:
«Esistono innumerevoli soli, innumerevoli terre ruotano intorno a questi, similmente come i sette pianeti ruotano intorno al nostro sole. Questi mondi sono abitati da esseri viventi.»
Galileo, convinto sostenitore della teoria copernicana, indirettamente provata dalla sua scoperta dei quattro maggiori satelliti di Giove, fu costretto ad abiurare [..].
3. Dalla Nota degli autori, in A. Colavito, A. Petta, Ipazia scienziata alessandrina, Milano, Lampi di stampa, 2004, pp. 7-8.
Ipazia era l’erede della Scuola alessandrina, la più importante comunità scientifica della storia dove avevano studiato Archimede, Aristarco di Samo, Eratostene, Ipparco, Euclide, Tolomeo, tutti geni che hanno gettato le fondamenta del sapere scientifico universale. Filosofa neoplatonica, musicologa, medico, scienziata, matematica, astronoma, madre della scienza sperimentale (studiò e realizzò l’astrolabio, l’idroscopio e l’aerometro) … e, come scrisse Pascal, ultimo fiore meraviglioso della gentilezza e della scienza ellenica. Nei suoi settecento anni la scuola alessandrina aveva raggiunto vette talmente elevate nel campo scientifico, che sarebbe bastato lasciar vivi e liberi di studiare Ipazia e i suoi allievi per acquisire 1200 anni in più di progresso.
Ma su Ipazia e sull’intera umanità si abbatté la più grossa delle sventure: l’ascesa al potere della Chiesa cattolica e il patto di sangue con l’Impero romano agonizzante. Questo patto, oltre alla soppressione del paganesimo, prevedeva la cancellazione delle biblioteche, della scienza e degli scienziati, l’annullamento del libero pensiero, della ricerca scientifica (nei Concili di Cartagine, infatti, fu proibito a tutti – vescovi compresi – di studiare Aristotele, Platone, Euclide, Tolomeo, Pitagora, etc.). Alla donna doveva essere impedito l’accesso alla religione, alla scuola, all’arte, alla scienza.
In poche decine di anni il piano venne quasi realizzato. Ma Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Agostino e Cirillo, – i giganti del nascente impero della Chiesa – trovarono sulla loro strada lastricata di roghi e di sangue, un ultimo impedimento: una giovane, bellissima creatura a capo della scuola alessandrina, una scienziata con una dirittura morale impossibile da piegare, la quale, al termine di una giornata di studio e di ricerca, si gettava sulle spalle il tribon – il mantello dei filosofi – e se ne andava in giro per Alessandria a spiegare alla gente – con ingegno oratorio e straordinaria saggezza – cosa volesse dire libertà di pensiero, l’uso della ragione. E Cirillo, vescovo e patriarca di Alessandria, ordì il martirio di Ipazia. […]
In quel 415 d.C. a nulla valse la voce isolata del prefetto augustale Oreste, che cercò inutilmente di difendere e salvare la scienziata. Quando giunse ad Alessandria, prima di andare a visitare il magister militiae e le altre autorità, ancor prima di ossequiare il vescovo Cirillo, Oreste si recò a rendere omaggio a Ipazia, astro incontaminato della sapiente cultura. Da lei apprese che non poteva definirsi realmente pagana, perchè
«qualunque religione, qualunque dogma, è un freno alla libera ricerca, e può rappresentare una gabbia che non permette di indagare liberamente sulle origini della vita e sul destino dell’uomo».
Ipazia gli raccontò che dopo l’incendio della biblioteca, il prefetto augustale Evagrio le aveva proposto di convertirsi al cristianesimo in cambio di maggiori sovvenzioni per la sua scuola e che lei aveva rifiutato dicendo:
«Se mi faccio comprare non sono più libera. E non potrò più studiare. E’ così che funziona una mente libera: anch’essa ha le sue regole».
Questo libro intende onorare la memoria della prima martire della Ragione, che preferì essere trucidata pur di non rinunciare alla sua libertà di pensiero, condizione irrinunciabile del progresso umano. All’inizio di questo terzo millennio, l’UNESCO, dietro richiesta di 190 stati membri, ha creato un progetto internazionale che intende favorire piani scientifici al femminile nati dall’unione delle donne di tutte le nazionalità […]. Attualmente nell’ambito della scienza solo il 5% delle donne è ai vertici. L’UNESCO ha chiamato questo progetto internazionale: IPAZIA.
Raffaello, La scuola di Atene, affresco, 770X550, Roma, Stanze vaticane.
(Ipazia è raffigurata in basso a sinistra, in piedi, accanto a Pitagora, con indosso il tribon, il mantello dei filosofi. E’ l’unico personaggio che guardi negli occhi l’osservatore).
4. Il contesto storico della morte di Ipazia
Nel 383 dopo Cristo, l’Impero Romano è minacciato ad ogni confine dai barbari. Viene eletto imperatore Teodosio che riesce faticosamente a riunire l’impero d’Oriente e d’Occidente, sotto il segno e la disciplina della nuova religione emergente e vincente: il cristianesimo, nella sua versione nicena. Interpretando il messaggio evangelico in direzione della compatibilità con i poteri secolari, i vescovi Ambrogio da Milano e Teofilo d’Alessandria, esercitarono pressioni sull’imperatore, minacciando di invitare i loro fedeli a disertare il servizio militare e svuotare i ranghi delle legioni, consegnando l’Impero ai barbari.
In seguito ai disordini, avvenuti a Salonicco, tra cittadini romani cristiani e le locali autorità, Ambrogio scomunicò Teodosio, notificandogli che non avrebbe più celebrato la Messa in sua presenza, perché l’imperatore non era più degno di Dio. Per ottenere il suo perdono, Teodosio si sottomise a un clamoroso atto di pentimento pubblico. Nella notte di Natale del 390 dopo Cristo, Teodosio, vestito come un normale cittadino, si prostrò ai piedi del vescovo che sollevava sopra la sua testa i Vangeli, chiedendo perdono e recitando le parole del Salmo:
«L’anima mia giace nella polvere, Signore confortami».
Al tempo, viveva in Alessandria Ipazia, insegnante alla scuola della famosa biblioteca di Alessandria. Astronoma, matematica e filosofa, antesignana della scienza sperimentale, studiò e realizzò l’astrolabio, l’idroscopio e l’aerometro. Venerata dai suoi allievi e consulente delle autorità politiche cittadine, era amica del prefetto Oreste al cui cospetto era ammessa a parlare e a esprimere il suo parere.
Tra il 391 e il 392, Teodosio si vide costretto a promulgare una serie di misure attuative (Decreti Teodosiani) del precedente Editto di Tessalonica, che proibiva le eresie dei culti pagani. Vietò l’accesso ai templi pagani, proibì l’adorazione di ogni forma di culto che non fosse quello cattolico ed equiparò i sacrifici agli dei greco-romani al delitto di lesa maestà, punibile con la morte. Si scatenò in Alessandria, con violenza senza precedenti, la persecuzione dei pagani, diretta dal vescovo Teofilo che chiamò in città dai vicini deserti i monaci parabolani, un gruppo di fanatici che distrusse l’antichissimo Tempio di Serapide e diede alle fiamme l’annessa Biblioteca, causando una perdita di conoscenze di inestimabile valore [Einstein sosteneva che senza quel rogo, l’uomo sarebbe già arrivato su Marte].
Ipazia cercò di salvare dai roghi i rotoli della biblioteca, ottenendo anche l’aiuto di Oreste, attirando su di sé la ritorsione di Cirillo, succeduto a Teofilo nel 412 e non meno sanguinario del predecessore. Con Cirillo, l’episcopato di Alessandria passò dalla cura delle anime ai compiti secolari e instaurò un governo del terrore. Nel racconto dello storico Damascio, il racconto dell’esecuzione di Ipazia:
«Un giorno accadde al vescovo Cirillo, mentre passava davanti alla dimora della filosofa Ipazia, di scorgere una gran ressa dinanzi alle sue porte, un insieme di uomini e cavalli; alcuni che entravano altri che uscivano, altri ancora che sostavano in attesa. Avendo domandato che cosa mai fosse quella folla, e il perché di un tale viavai attorno a quella casa, si sentì dire che era il giorno in cui Ipazia riceveva i suoi studenti e i suoi conoscenti. Ciò appreso, Cirillo si sentì mordere l’anima: fu per tale motivo che ben presto organizzò il suo omicidio, il più empio di tutti gli assassinii”.
Secondo il racconto dello storico cristiano Socrate Scolastico, per fare cosa gradita al vescovo, i suoi monaci trascinarono Ipazia in una chiesa, la denudarono, le strapparono ancor viva gli occhi dalle cavità orbitali e la massacrarono a colpi di cocci e gusci di ostrica, quindi la fecero a pezzi e bruciarono il suo corpo dopo aver trascinato ciò che restava di lei per le vie di Alessandria.
Il vescovo Cirillo, protetto dalle leggi emanate da Teodosio, rimase impunito, poi canonizzato come santo e dottore della Chiesa da Leone XIII il 28 luglio 1882 [qui la lezione di Benedetto XVI del 3 ottobre 2007, dedicata a san Cirillo, ndr.] e celebrato nel calendario cattolico quale sostenitore dell’unicità della persona in Cristo e della verginità di Maria il 27 giugno. E’ venerato anche dalle Chiese ortodossa e copta.
5. Il dibattito Ipazia, una donna per la libertà, la scienza, contro ogni fanatismo
Antonio Gnoli (Repubblica) ha moderato il dibattito Ipazia, una donna per la libertà, la scienza, contro ogni fanatismo in occasione della proiezione italiana di Agorà di Amenàbar. Il dibattito è stato introdotto dalla visione di 3 clip, dedicate all’insegnamento di Ipazia e alla distruzione della Biblioteca di Serapide.
Ha preso poi la parola Giulio Giorello con un bell’intervento, a tratti ironico, in cui lo studioso ha inquadrato l’occultamento della storia di Ipazia nel contesto della vulgata cattolica ortodossa, tradizionalmente silenziosa sulle persecuzioni di filosofi e scienziati:
Incidenti, tra virgolette, osserva il professore, ce ne sono stati molti altri anche dopo Ipazia, tutti citano il processo di Galileo, io ricordo quel manuale di scuola cattolica di inizio novecento che diceva: «Giordano Bruno, filosofo napoletano perito in un incendio». Negli incendi ne son periti tanti che sono stati un po’ troppo curiosi o sul cosmo o sulla natura dell’uomo […].
Agorà
1. L’insegnamento di Ipazia e le tensioni religiose ad Alessandria
2. Il moto della terra
3. L’intuizione della “relatività galileiana”
4. Il credo di Ipazia
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