Archive for ‘Antropologia’

11 Gennaio, 2023

Il materialismo storico

by gabriella

Ludwig Feuerbach

Con Marx ed Engels, la filosofia europea arriva a una nuova definizione dell’umano: noi siamo non solo il risultato delle esperienze e degli stimoli che abbiamo ricevuto, ma anche i creatori e produttori di queste esperienze e stimoli, dunque l’uomo è creatore di se stesso.

Di qui la spiegazione della storia, dei valori, dello spirito dei tempi che cambia in funzione delle scelte e dello sguardo degli uomini che costruiscono le condizioni di esperienza delle generazioni successive.

Gli idealisti tedeschi arrivano, con Feuerbach a concepire la coscienza umana come un prodotto delle condizioni in cui singoli e collettività vivono, cioè come un prodotto della loro esistenza.

Marx oltrepassa questa prospettiva per indicare l’uomo come l’essere che trasforma il mondo ed è egli stesso il prodotto della propria creazione (cioè delle trasformazioni operate dalle generazioni precedenti).

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21 Dicembre, 2022

Melissa Pignatelli, Cos’è l’identità? E’ in realtà una domanda sulle differenze

by gabriella

[…] l’identità non solo non ha nulla di essenziale, di puro, di definito o  perdurante nel tempo, ma emerge per contrasti e contrapposizioni di caratteristiche che conferiscono una peculiarità temporale sia alle persone che ai gruppi di persone che si riconoscono in una certa selezione del senso del sé.

Nella definizione proposta da Dizionario di Antropologia di Ugo Fabietti e Francesco Remotti, leggiamo infatti che:

“Il discorso sull’identità a livello della persona come dei gruppi è strettamente connesso a una riflessione sulle differenze, siano esse culturali, di genere, o etniche. Questo sia che si considerino i contesti di comunicazione e contrapposizione fra il sé e l’altro, sia che si studino le diverse forme di raggruppamento da cui è costituita la realtà sociale: la dimensione dell’identità personale e il discorso sulle identità sociali e culturali sono strettamente correlati, poiché i modelli attraverso cui vengono interpretati i sé e gli altri possono essere considerati come espressioni simboliche della cultura. E’ inoltre implicito in questa tematica il problema della continuità, cioè l’analisi di quegli elementi costitutivi che, nel tempo, conferiscono alla persona o a una collettività le sue caratteristiche peculiari, permettendo di distinguerla dalle realtà che la circondano”.

In questo senso, nei momenti di confronto con identità che si costituiscono attorno ad orizzonti di significati diversi da quelli in cui ci riconosciamo possono emergere delle criticità (i.e. viaggio, trasloco, emigrazione, etc.). Infatti nel ricercare un senso, un’etichetta, una categoria, una classificazione di persone che si aggiungono ad un determinato gruppo sociale, le difficoltà nell’includere nel gruppo originario sembrano appartenere più a coloro che considerano la loro identità come assodata in maniera imperitura piuttosto che a coloro che la vedono come parte di un flusso di significati che circola e si ricostituisce sulla superficie di un mondo sempre più interconnesso.

E prosegue così Alice Bellagamba, autrice della voce identità nel sopracitato dizionario:

“Non è infatti possibile pensare l’identico (ciò che si conserva per un certo periodo simile a se stesso) se non tracciando un confine rispetto all’altro: l’uomo circondato dalla non umanità, la nobiltà del libero sullo sfondo della naturalità dello schiavo, la comunità dei vivi e le sue relazioni con il mondo degli antenati. In ogni società esiste un paradigma di principi di base per l’identificazione e la differenziazione delle persone.

Sul piano teorico l’identità non è un oggetto dotato di autonomia e di realtà, anche se talvolta l’antropologia stessa sollecitata dalle situazioni incontrate, può essere tentata di fornire un supporto realista alle rivendicazioni identitarie, elaborando gli strumenti attraverso cui gruppi o persone si richiamano al singolare e al locale. Essa è piuttosto come ricorda Levi-Strauss un luogo virtuale al quale è necessario far riferimento per spiegare una pluralità di fenomeni e di cui è opportuno osservare i processi di produzione e riproduzione: si tratta infatti di un progetto in cui si ritrovano simultaneamente coinvolti i singoli e le formazioni sociali. All’interno dei quadri culturali che modellano le abitudini e le memorie gli attori sociali operano infatti delle scelte di identificazione, variabili in intensità, natura e livello, attraverso cui vengono posti in gioco i rapporti con la società e le istituzioni nel loro complesso, da un lato e con i gruppi e le comunità locali dall’altro”.

L’identità si configura dunque come un processo in fieri nel quale siamo tutti contemporaneamente coinvolti e che contribuiamo a costruire e ridefinire, produrre e riprodurre in quel flusso inarrestabile di senso e di significati che scandiscono il fluire della nostra vita quotidiana.

Melissa Pignatelli 

Fonte: Identità in Dizionario di Antropologia, a cura di Ugo Fabietti e Francesco Remotti. Voce a cura di Alice Bellagamba, Zanichelli, Bologna, 1997.

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4 Ottobre, 2022

Tzvetan Todorov, Sul buono e cattivo uso della natura umana

by gabriella

Tzvetan, Todorov (1939 – 2017)

L’ultima riflessione di Tzvetan Todorov, uscita postuma su Micromega (3/2007).

Il saggio, dedicato alla ‘natura umana’, illustra le opposte radicalizzazioni di Montaigne [‘tutto è cultura’] e Diderot [‘tutto è natura’] dalla prospettiva rousseauiana che l’autore riafferma.

Se per Montaigne “tutto è cultura” e per Diderot “tutto è natura”, l’approccio di Rousseau è infatti differente: non rinuncia all’universalismo e a una sua fondazione come Montaigne per cui non vi è natura ma solo cultura e consuetudine; né cerca, come Diderot, di fondare la natura umana e la sua universalità sul fatto, ma assume la “socialità” della natura umana come fondamento della moralità (Gianfranco Marini).

Ai giorni nostri si ha qualche ripugnanza a riferirsi alla «natura umana». Questa espressione sembra aver partecipato al naufragio generale delle pompose astrazioni ereditate dal passato. E se lo stesso naufragio appartenesse a tali astrazioni? Il nostro vocabolario odierno non è meno pomposo di quello dei nostri predecessori; ma, ammaliati dalla novità delle formule, stentiamo a giudicarle con serenità. In luogo della natura e dell’uomo compaiono però vocaboli che non vogliono necessariamente dire altro né sono generalizzazioni più felici.

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4 Ottobre, 2022

La natura umana 2. Linguaggio, indeterminatezza, neotenia

by gabriella

Arnold Gehlen (1904 – 1976)

La seconda parte della lezione sulla natura umana, dedicata a una panoramica storica delle concezioni antropologiche note come «tradizione della modestia» che, da Pico a Gehlen definisce l’uomo per sottrazione, più che per il possesso di specifiche qualità. Qui la prima parte.

Perciò accolse l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo, così gli parlò: non ti ho dato, Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai […]. Non ti ho fatto né celeste, né terreno, né mortale, né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto.

Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate

Indice

1. L’animale linguistico

1. L’animale linguistico

Secondo Chomsky, la natura umana «dal Cro-Magnon in avanti» sarebbe caratterizzata da tratti stabili, il principale dei quali è la facoltà di linguaggio.

Oltre alle obiezioni di Foucault, dalle scienze sociali si obietta a Chomsky che una facoltà articolata in una grammatica, in strutture profonde e regole universali non è più una facoltà, ma una superlingua universale.

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20 Settembre, 2022

Esiste una natura umana?

by gabriella

Blaise Pascal (1623 – 1662)

La prima parte della lezione sulla natura umana dedicata a tre dibattiti filosofici: quello cinquecentesco Montaigne, Las Casas e Oviedo, quello seicentesco tra Cartesio e Pascal e quello contemporaneo di Eindhoven tra Chomsky e Foucault. Qui la seconda parte.

Ho una gran paura che questa natura [la natura umana]
sia anch’essa un primo costume, così come il costume è una seconda natura […]. Il costume è la nostra natura.

Blaise Pascal, Pensée,

Indice

1. Montaigne
2. Las Casas vs Oviedo
3. Pascal vs Cartesio
4. Il dibattito di Eindhoven

      4.1 Chomsky
      4.2 Foucault

 

1. L’uomo ha una «natura»?

Un modo classico per argomentare intorno all’esistenza o meno di una «natura umana» è quello di comparare comportamenti e costumi di persone appartenenti a culture diverse.

Se, infatti, si riesce a dimostrare l’esistenza di invarianti, cioè di tratti e modi di fare universali, che non cambiano nel tempo o nello spazio, allora è possibile (ma non necessario) parlare di un modo di essere dell’uomo, di una sua «natura» appunto, che sarebbe a monte, verrebbe prima, di qualunque tratto culturale. Se, invece, questa uniformità non si può rintracciare in alcun modo, viene a cadere anche l’ipotesi che prima di immergersi in una cultura particolare, un individuo abbia delle caratteristiche che condivide con ogni altro essere umano e che prescindono dal condizionamento culturale.

Per questa ragione, le prime osservazioni intorno all’esistenza della «natura umana» iniziano nell’incontro con l’alterità culturale: con i barbari da parte dei Greci e con gli indigeni da parte dei conquistadores.

 

1.1 Montaigne 

Hans Staden, Cannibalismo in Brasile (1557)

L’incontro con le popolazioni americane e le civiltà precolombiane del Messico e del Perù nel ‘500 agì da autentico choc culturale sulla mentalità europea.

Ai resoconti di viaggio e ai trattati etnografici dei primi esploratori e missionari seguirono le riflessioni di giurisiti, teologi, filosofi e moralisti tese a inquadrare in categorie politico-religiose, l’incontro-scontro con quelle popolazioni diverse da noi.

Le posizioni iniziali, motivate da consistenti interessi economici, furono decisamente etnocentriche: gli europei si considerarono cioè i rappresentanti dell’unica civiltà e religione universale, quella cristiana, di fronte a un’umanità guardata come inferiore e barbara.

Alla formazione di questo giudizio (o, più propriamente, pregiudizio), contribuirono le descrizioni dei costumi e delle pratiche delle popolazioni caraibiche, più arretrate di quelle incontrate poi dai conquistadores sul territorio americano.

Il nome stesso, Caraibi, significa infatti in spagnolo “cannibali“, e dipinge in modo inconfondibile il senso di disprezzo e di estraneità degli europei rispetto alle popolazioni autoctone.

Gli indigeni americani non furono dunque riconosciuti come portatori di una cultura, per quanto diversa dalla nostra, ma giudicati sul metro della civiltà europea come “selvaggi”, esseri semi-ferini da trattare senza scrupoli eccessivi.

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17 Febbraio, 2022

Clifford Geerz, La formazione di sé a Giava

by gabriella

Nel brano seguente, tratto da Dal punto di vista dei nativi [in Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna, pp. 76-79], Clifford Geerz illustra il punto di vista giavanese sull’identità e la formazione di sé (o del carattere) in relazione all’espressione dei sentimenti e ai comportamenti tenuti in pubblico.

L’antropologo fa risaltare, in questo modo, il significato profondo della compostezza e dell’essere alus, divenire capaci di «appiattire le vallate e le colline delle proprie emozioni».

giavaneseA Giava, dove ho lavorato negli anni Cinquanta, ho studiato un piccolo e grigio posto di provincia; due strade assolate formate da negozi di legno bianco e da uffici, e dei tuguri ancora più fragili di bambù tirati su in fretta e furia dietro di essi, il tutto circondato da un grande semicerchio di villaggi densamente popolati e dalla forma di tazze di riso.

Vi era scarsità di terra, di lavoro, la situazione politica era insta­bile, la salute scarsa, i prezzi in aumento, e la vita non era certo promettente, una sorta di stagnazione agitata in cui, come ho detto una volta, pensando alla curiosa mi­stura di frammenti di modernità presi a prestito e di relit­ti di tradizione ormai logori che caratterizzavano il luogo, il futuro sembrava altrettanto lontano del passato.

Tuttavia nel mezzo di questa scena deprimente vi era una vitalità intellettuale assolutamente sorprendente, una passione filosofica, oltre che popolare, a interrogarsi sul­le questioni dell’esistenza.

Poveri contadini discutevano i problemi connessi al libero arbitrio (concezione della libertà individuale che ritiene possibili scelte autonome senza costrizioni esterne, NDR), commercianti analfa­beti discutevano delle proprietà divine, lavoratori comuni avevano teorie sui rapporti tra ragione e passione, la natura del tempo, o l’affidabilità dei sensi. E, forse ancora più importante, il problema del Sé la sua natura, funzione e modo di operare – era analizzato con quel tipo di intensità riflessiva che tra noi occidentali si può trovare solo negli ambienti più ricercati.

JavaLe idee centrali nei termini in cui pro­cedeva la riflessione, e che quindi defi­nivano i suoi confini e il senso giava­nese di che cos’è una persona, si collo­cavano in due coppie di contrasti, fondamentalmente religiosi, uno tra “interiore” e “esterio­re” e l’altro tra “raffinato” e “volgare”.

Queste glosse sono ovviamente rozze e imprecise; deter­minare in modo esatto che cosa questi termini significa­vano, far emergere le ombre dei loro significati, era tutto ciò che si proponeva la discussione. Ma insieme esse for­mavano una concezione particolare del Sé che, tutt’altro che essere puramente teorica, era quella nei cui termini i Giavanesi percepivano se stessi e gli altri.

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21 Settembre, 2021

Pandora, La figura della donna nel mito greco

by gabriella

PandoraEsiodo, Le opere e i giorni

 

L’adornò del cinto
E delle vesti, le donar le Grazie
E Pito veneranda aurei monili,
E de’ più vaghi fior di primavera
L’Ore chiamate, le intrecciar corone.
Ma l’uccisor d’Argo, Mercurio, a lei,
Ché tal di Giove era il voler, l’ingegno
Scaltri d’astuzie e blande parolette
E fallaci costumi …

[…]

Aveva Prometeo a lui
Fatto divieto d’accettar mai dono
Venutogli da Giove, ché funesto
Esser questo potea; ma, del fratello
Obliando Epimeteo i saggi avvisi.
Accettollo, e del male
, allor che il dono
Era già suo, di subito s’accorse.

[…]

Di propria mano scoperchiato il vaso,
 Che i mali in sé chiudea, questi si sparsero
Tra i mortali, e sol dentro vi rimase

All’estremo dell’orlo la Speranza,
Perché la donna, subito, il coperchio
Riposto, il volo a lei contese. T
ale
Era il cenno di Giove.

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14 Settembre, 2021

Rio Unini. I guardiani della foresta

by gabriella

https://video.repubblica.it/green-and-blue/uomini-di-riserva/398508/399220?ref=RHTP-BS-I308887178-P15-S1-T1

13 Settembre, 2021

Prometeo, la condizione umana

by gabriella

La storia di Prometeo raccontata da Jean-Pierre Vernant nel capitolo Il mondo degli umani [L’univers, les dieux, les hommes. Récits grecs des origines (1999), trad it. L’universo, gli dèi, gli uomini. Il racconto del mito, Torino, Einaudi, 2000, pp. 53-61] e Platone [Protagora,320c-324a].

prometheusIndice

1. Il mondo degli umani

1.1 Prometeo l’astuto
1.2 Il bue sacrificale e la differenza tra uomini e dèi
1.3 La vendetta di Zeus e il fuoco divino

2. Platone, Protagora

 

Com’è nato il mondo? All’inizio c’era Urano, figlio e sposo di Gea, la terra. I loro figli erano imprigionati da Urano nel ventre della madre perché il padre temeva di essere spodestato.  Ma la madre Gea, non sopportando più l’oppressione costruì una falce con la quale il titano Crono evirò il padre.

Nel regno di Crono, il titano di unisce a sua sorella Rea. I due generarono alcuni dei, tra i quali Zeus, ma Crono divorava i suoi figli a causa degli stessi timori del padre. Uno di loro però, Zeus, fu nascosto al padre e crebbe lontano. Una volta adulto sconfisse il padre e lo costrinse a rigurgitare tutti i suoi figli, dèi e titani. Comincia allora una guerra tra dèi e titani che durerà dieci anni per decidere quale posto abbia ognuno e chi comanderà. Vinceranno di dèi olimpici e il loro capo, Zeus, che dopo la guerra spartisce gli onori tra tutti gli esseri viventi.

 

1. Il mondo degli umani

1.1 Prometeo l’astuto

Come ripartire sorti e onori fra gli dèi e gli uomini ? Qui l’uso di una violenza pura e semplice non è più concepibi­le. Gli esseri umani sono talmente deboli che basta un sem­plice buffetto per annientarli, mentre gli immortali, da par­te loro, non possono accordarsi con i mortali come se fos­sero loro pari.

Si impone allora una soluzione che non risulti né da un sovrappiù di forza né da un accordo fra pari. Per realizzarla, con mezzi necessariamente ibridi e di­storti, Zeus si rivolge a un personaggio chiamato Prome­teo, un essere tanto singolare e bizzarro quanto lo sarà l’e­spediente da lui escogitato per decidere e risolvere la contesa.

Perché è Prometeo il prescelto del caso? Perché nel mondo divino gode di uno statuto ambiguo, mal defi­nito, paradossale. Viene chiamato Titano, mentre è in realtà il figlio di Giapeto che è fratello di Crono. E’ dun­que il padre a essere un Titano. Prometeo non lo è in ve­rità del tutto, senza per questo essere neppure un Olim­pico, poiché non appartiene alla stessa discendenza. La sua natura è titanica, come quella del fratello Atlante, che sarà ugualmente punito da Zeus.

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10 Settembre, 2021

Las Casas e Montaigne: il ‘500 e la (ri)scoperta dell’alterità

by gabriella

Hans Staden, Cannibalismo in Brasile (1557)

L’incontro con le popolazioni americane e le civiltà precolombiane del Messico e del Perù nel ‘500 agì da autentico choc culturale sulla mentalità europea.

Ai resoconti di viaggio e ai trattati etnografici dei primi esploratori e missionari seguirono le riflessioni di giurisiti, teologi, filosofi e moralisti tese a inquadrare in categorie politico-religiose, l’incontro-scontro con quelle popolazioni diverse da noi.

Le posizioni iniziali, motivate da consistenti interessi economici, furono decisamente etnocentriche: gli europei si considerarono cioè i rappresentanti dell’unica civiltà e religione universale, quella cristiana, di fronte a un’umanità guardata come inferiore e barbara.

Alla formazione di questo giudizio (o, più propriamente, pregiudizio), contribuirono le descrizioni,  dei costumi e delle pratiche delle popolazioni caraibiche, più arretrate di quelle incontrate poi dai conquistadores sul territorio americano.

Il nome stesso, Caraibi, significa infatti in spagnolo “cannibali“, e dipinge in modo inconfondibile il senso di disprezzo e di estraneità degli europei rispetto alle popolazioni autoctone.

Gli indigeni americani non furono dunque riconosciuti come portatori di una cultura, per quanto diversa dalla nostra, ma giudicati sul metro della civiltà europea come “selvaggi”, esseri semi-ferini da trattare senza scrupoli eccessivi.

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