Il pensiero di Ludwig Feuerbach rappresenta il rovesciamento materialistico dell’idealismo hegeliano e l’avvio contemporaneo di una critica radicale alla religione portata poi a termine da Marx.
Indice
1.Il distacco da Hegel 2. Feuerbach maestro di una generazione di filosofi 3.La critica radicale della religione e il concetto di alienazione
1. Il distacco da Hegel
Dapprima studioso e seguace di Hegel, Feuerbach matura presto critiche al sistema del maestro, approdando a posizioni di «sinistra hegeliana», poi di «sinistra antihegeliana», che risulteranno decisive ai fini del superamento dell’idealismo hegeliano e della costruzione della filosofia della prassi di Marx.
La critica di Feuerbach si appunta soprattutto sull’astrattezza e sull’immaterialismo del sistema hegeliano di cui sottolinea la matrice teologica. I primi incisivi scritti antihegeliani sono i due testi del 1842 e 1843, Tesi provvisorie per la riforma della filosofia e Principi della filosofia dell’avvenire nei quali sferra un attacco radicale
«alla tanto vantata identità speculativa dello spirito e della materia, del finito e dell’infinito del divino e dell’umano» [Principi della filosofia dell’avvenire].
Assemblée nationale, 4 février 1790 [Tuileries] Il re dichiara di accettare la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, elaborata a partire da un testo proposto dal marchese de La Fayette ispirato alla Dichiarazione d’indipendenza americana, rappresenta la fine della feudalità. Fu adottata dalla Convention Nationale il 26 agosto 1789 come Preambolo della prima Costituzione della Francia repubblicana. Il testo è tratto da [P. Biscaretti di Ruffia, Le Costituzioni di dieci Stati di “democrazia stabilizzata”, Giuffrè, Milano 1994]. Qui la versione pdf per la stampa.
I rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo dal poter essere in ogni istante paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. Di conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:
Art. 1 – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.
Art. 2 – Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.
Art. 3 – Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa.
Studiando la modernizzazione si osserva come un cambiamento economico [il lavoro da mezzo – di sopravvivenza – a fine – di arricchimento] abbia innescato la molteplicità di trasformazioni che caratterizza la fisionomia delle società moderne.
Estendendo lo sguardo alle società tradizionali o non moderne, si vede come il tipo di organizzazione del lavoro umano, quale primo elemento di adattamento all’ambiente, decida l’insieme dei rapporti sociali, cioè la forma di società.
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1.Adattamento all’ambiente e lavoro 2. Le società acquisitive
2.1 Le società di caccia e raccolta contemporanee 2.2 Le società acquisitive preistoriche
3.Casi etnografici
3.1 I Kwakiutl 3.2I Kung San 3.3 I Guayaki
4. La rivoluzione agricola e la stratificazione sociale
4.1 La domesticazione delle piante 4.2 La domesticazione degli animali 4.3 Investimento lavorativo e rendimento nel tempo 4.4 Orticoltura e agricoltura 4.5 Agricoltura e differenziazione sociale 4.6 Pastorizia e società nomadi
La personalità è un’organizzazione più o meno durevole di forze nell’ambito dell’individuo.
Queste forze persistenti della personalità contribuiscono a determinare la risposta in varie situazioni, e a queste si può quindi attribuire in gran parte la coerenza del comportamento, sia esso verbale o corporeo.
Ma il comportamento, per quanto coerente, non è la stessa cosa che la personalità (vedi lo studio di Richard Lapiere sulla percezione americana degli asiatici nel 1934, NDR) la personalità sta dietro al comportamento e all’interno dell’individuo. Le forze della personalità non sono risposte ma disposizioni alla risposta […].
Il passo della Critica della ragion pura in cui Kant demolisce l’argomento ontologico (o a priori) dell’esistenza di Dio, ironizzando sul celebre Leibniz
rimasto a gran pezza lontano dal fare ciò di cui si lusingava, cioè conoscere a priori la possibilità di un essere così sublimemente ideale. Tutta la fatica e lo studio posto nel tanto famoso argomento ontologico dell’esistenza di un Essere supremo sono stati dunque perduti, e un uomo mediante semplici idee potrebbe certo arricchirsi di conoscenze né più né meno di quel che un mercante potrebbe arricchirsi di quattrini se egli, per migliorare la propria condizione, volesse aggiungere alcuni zeri alla sua situazione di cassa.
Testo con esercitazione svolta [numerazione, titolazione e parafrasi dei dei paragrafi].
1. Se io in un giudizio identico sopprimo il predicato e mantengo il soggetto, ne viene una contraddizione, e quindi io dico: quello appartiene a questo in maniera necessaria. Ma se io sopprimo il soggetto insieme con il predicato, non nasce nessuna contraddizione, perché non c’è più nulla a cui si possa contraddire. Affermare un triangolo e insieme negarne i tre angoli è contraddittorio; ma negare il triangolo insieme con i suoi tre angoli, non è una contraddizione. Lo stesso è del concetto di essere assolutamente necessario. Se voi ne negate l’esistenza, voi negate anche la cosa stessa con tutti i suoi predicati; dove può sorgere allora la contraddizione? Esternamente non c’è niente a cui si contraddirebbe, perché la cosa non deve essere esternamente necessaria; internamente neppure, perché, negando la cosa, voi avete insieme negato tutto l’interno.
In questa seconda parte dell’Estratto del Trattato sula natura umana [1739] Hume espone la sua celebre dottrina della causalità secondo la quale tra causa ed effetto non vi è alcun legame universale e necessario, ma solo una connessione di fatto.
Per Hume la necessità causale e la conseguente presenza di leggi universali nella natura sono soltanto ipotesi, motivate unicamente da un’abitudine psicologico-associativa umana. I nostri ragionamenti causali si basano, infatti, solo sull’esperienza (e non certo su leggi logico-razionali) la quale ci abitua a credere che determinati eventi seguono regolarmente certi altri.
In coda al testo un’esercitazione per riconoscere i quattro argomenti di Hume.
È evidente che tutti i ragionamenti che riguardano questioni di fatto (matter of fact) sono fondati sulla relazione di causa ed effetto e che noi non possiamo mai inferire l’esistenza di un oggetto da quella di un altro a meno che essi non siano collegati insieme, o mediatamente o immediatamente. Perciò per comprendere questi ragionamenti, dobbiamo conoscere perfettamente l’idea di una causa e, a questo scopo, dobbiamo guardarci intorno per trovare qualche cosa che sia la causa di un’altra.
Ecco una palla di biliardo che sta ferma su un tavolo ed un’altra palla che si muove verso essa con rapidità; le due palle si urtano e quella delle due che prima era ferma, ora acquista un movimento.
L’atteggiamento di pensiero inaugurato da Locke – sulla base di una tradizione che parte da Ockham – giunge alla sua espressione più rigorosa nella filosofia di David Hume (1711-1776).
Hume porta, infatti, a conseguenza le premesse dell’empirismo, giungendo ad esiti scettici e paradossali, sia per il senso comune che per le scienze in un’epoca di conquiste e progressi significativi.
Partendo da un forte orientamento anticartesiano, il filosofoapplica il metodo sperimentale baconiano e newtoniano allo studio dell’uomo e della morale, mostrando che le nostre credenze sono il risultato della nostra abitudine ed esperienza individuale, delle nostre passioni, dei nostri istinti e non possono, pertanto, avere fondamento necessario e universale.
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1.La conoscenza umana
1.1Il funzionamento dell’intelletto: il principio di associazione 1.2La relazione tra idee e le questioni di fatto
2. Gli esiti scettici
2.1La critica del principio di causalità 2.2 La critica della metafisica 2.3La critica della religione
Approfondimenti: Morale, la sola scienza nell’uomo (Loescher);
Nella sua analisi della conoscenza umana, finalizzata a sondare «la portata e la forza dell’intelletto umano» e a comprendere «la natura delle idee e delle operazioni che compiamo nei nostri ragionamenti», Hume chiama percezioni i contenuti della mente e li divide in due classi: le impressioni, che penetrano con maggior forza nella coscienza e riguardano il “qui” ed “ora”e le idee, o pensieri, che sono «immagini illanguidite» di queste impressioni.
Secondo Hume, l’identità dell’io non è giustificata da nessuna esperienza, né esiste argomentazione che possa dimostrarla. Se ci atteniamo all’esperienza, infatti, rileviamo solo “fasci di percezioni” mentre, se cerchiamo un’argomentazione logica, dobbiamo riconoscere che l’idea di identità non può coincidere con quella dell’io. L’io infatti è una composizione di relazioni, ma la nozione di relazione non è quella di identità. La sovrapposizione dell’identità all’io avviene quindi solo attraverso un’inferenza extraempirica ed extralogica come la nozione di “persona” che ha caratteri etici, religiosi o pratico-vitali, cioè sempre metaforici rispetto alla “sostanza metafisica” che dovrebbe corrisponderle.Trattato sulla natura umana, Bari, Laterza, 1982, I, pp. 263-266.
Ci sono alcuni filosofi, i quali credono che noi siamo in ogni istante intimamente coscienti di ciò che chiamiamo il nostro io: che noi sentiamo la sua esistenza e la continuità della sua esistenza; e che siamo certi, con un’evidenza che supera ogni dimostrazione, della sua perfetta identità e semplicità. Le sensazioni più forti, le passioni più violente, dicono essi, invece di distrarci da tale coscienza, non fanno che fissarla più intensamente e mostrarci, col piacere e col dolore, quanta sia la loro influenza sull’io. Tentare un’ulteriore prova di ciò sarebbe, per essi, indebolirne l’evidenza: non c’è nessun fatto del quale noi siamo così intimamente coscienti come questo; e se dubitiamo di questo, non resta niente di cui si possa esser sicuri.
Disgraziatamente, tutte queste recise affermazioni sono contrarie all’esperienza stessa da essi invocata: noi non abbiamo nessun’idea dell’io, nel modo che viene qui spiegato. Da quale impressione potrebbe derivare tale idea? […] Ci vuol sempre una qualche impressione per produrre un’idea reale. Ma l’io, o la persona, non è un’impressione: è ciò a cui vengono riferite, per supposizione, le diverse nostre impressioni e idee. Se ci fosse un’impressione che desse origine all’idea dell’io, quest’impressione dovrebbe rimanere invariabilmente la stessa attraverso tutto il corso della nostra vita, poiché si suppone che l’io esista in questo modo.
…basta saper immaginare un’isola, perché quest’isola incominci realmente ad esistere.
Kirghisia, 3 luglio
Cari amici,
non sono venuto in Kirghisia per mia volontà o per trascorrere le ferie, ma per caso.
Improvvisamente ho assistito al miracolo di una società nascente, a misura d’uomo, dove ognuno sembra poter gestire il proprio destino e la serenità permanente non è utopia, ma un bene reale e comune. Qui sembra essere accaduto tutto ciò che negli altri Paesi del mondo, da secoli, non riesce ad accadere.
Poiché ogni uomo è consapevole di pensare, e poiché ciò cui il suo spirito si applica mentre pensa sono le idee che vi si trovano, è fuori dubbio che gli uomini hanno nel loro spirito molte idee; come ad esempio quelle espresse dalle parole bianchezza, durezza, dolcezza, pensare, movimento, uomo, elefante, esercito, ubriachezza e così via. La prima domanda da porsi è dunque: come gli vengono queste idee? (1)
So che è dottrina comunemente ammessa che gli uomini abbiano idee e caratteri originari stampati nel loro spirito fin dal primo momento della loro esistenza. Ho già esaminato diffusamente quest’opinione, e credo che ciò che ho detto nel Libro precedente sarà più facilmente accolto quando avrò mostrato da dove l’intelletto può procurarsi tutte le idee che ha e in quali modi e gradi esse possono giungere allo spirito: sul che mi appellerò all’osservazione e all’esperienza di ognuno (2).
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