Platone, Eutifrone
Per realizzare l’ipertesto in cui al termine dell’introduzione si aprono i tre tentativi di risposta di Eutifrone, ho utilizzato la traduzione di Gigante-Valgimigli della classica edizione Laterza (la più bella, a mio avviso), alleggerendola delle espressioni più antiquate per renderla accessibile ai miei studenti.
Andrea Camilleri, Il filosofo e il tiranno
In questo racconto relativo all’incontro di Platone con il tiranno di Siracusa [Micromega 4, 1999 – pp. 17-33], Camilleri dichiara di essersi basato su due documenti sconosciuti: una lettera di Dione a Crisippo di Mitilene nella quale minutamente racconta come riuscì a far invitare a cena Platone dal tiranno e un testo che Cratilo di Megara asserisce essere una fedele trascrizione del dialogo notturno tra i due.
Aveva piovuto per due giorni e due notti di fila, ma la mattinata del terzo giorno, fin dalle prime luci dell’alba, si era annunziata come una generosa riparazione. Al sole era bastata appena un’oretta per asciugare case, palazzi, templi e strade.
A malgrado del calore umidizzo provocato dall’evaporazione, dintra di sé Dione sentiva tanticchia di freddo. La sera avanti, a casa sua, si era presentato il cerimoniere di corte.
«Dionigi domattina vuole vederti. Prima che puoi».
Dionigi, tiranno di Siracusa, era suo cognato. C’era stato un tempo nel quale i loro rapporti erano improntati a reciproca cortesia, dovuta soprattutto al legame di parentela. Non ad amicizia, ch’era parola del tutto sconosciuta a Dionigi. Poi però il tiranno si era fatto persuaso (o l’avevano fatto persuadere) che Dione sparlasse di lui e dell’uso che faceva del potere per ottenere il consenso della gente mosso da malcelate ambizioni politiche. E i loro rapporti, di colpo, erano diventati gelidi e formali.
Dione perciò aveva motivo di sentirsi inquieto per quella convocazione che non arrivava del tutto inaspettata. Anzi, essa segnava un punto a favore di un piano accuratamente preparato. La sensazione di freddo diventò più forte quando finalmente giunse a Palazzo. Era una costruzione grandiosa dovuta ad Eripilo, il migliore architetto della Sicilia e della Magna Grecia. Sorgeva in cima allo stesso colle nelle cui pendici era stato ricavato il Teatro.
Anzi si diceva che l’orecchio di Dionigi, la grande fenditura nella roccia, la latomìa nella quale il tiranno teneva i prigionieri, terminasse in un sotterraneo del palazzo e precisamente in una cameretta nella quale Dionigi poteva ascoltare, in virtù delle straordinarie proprietà acustiche del luogo, tutto ciò che i suoi nemici in cattività dicevano di lui.
Platone, Apologia di Socrate
Il testo dell’Apologia, basato sulle edizioni curate da Patrizio Sanasi per Ousia.it e di Gabriele Giannantoni [Platone, Opere complete, Bari-Roma, Laterza, 1982].
Vedi anche Giampaolo Terravecchia, Socrate e l’Aikido verbale dell’Apologia, dicembre 2015
Parte Prima. La difesa di Socrate
I – Ufficio dell’oratore è dire la verità
[17] Io non so proprio, o Ateniesi, quale effetto abbiano prodotto su di voi i miei accusatori. Quanto a me, mentre li ascoltavo, divenivo quasi dimentico di me stesso: tale era il fascino della loro eloquenza! Eppure, se debbo proprio dirlo, non una parola di verità era in loro. Ma, tra tutte le loro menzogne, quella che mi ha maggiormente colpito è questa: essi dissero che dovevate stare bene in guardia per non lasciarvi trarre in inganno da me, essendo io un astuto parlatore. E questa mi è parsa la loro maggiore impudenza, in quanto si sono esposti con vergogna a farsi immediatamente smentire, giacchè vi mostrerò con i fatti come io non sia quell’ “astuto parlatore” che dicono. A meno che essi non intendano per “astuto parlatore” chi dice la verità; in tal caso concedo loro di essere un “oratore”, ma non certo alla loro maniera.
Cathy O’Neill, Armi di distruzione matematica
La recensione di Rosario Paone su Laletteraturaenoi del libro della studiosa americana, tradotto da Bompiani nel 2018 [di cui Google Books offre un’ampia porzione]
La tesi di ‘ONeill non è nuova, ma l’autorevolezza della fonte e la chiara indicazione che la costruzione di Big data dell’educazione e l’uso inconsapevole dei metodi quantitativi in ambito scolastico siano vere e proprie armi di distruzione matematica ne fanno una lettura indispensabile per gli insegnanti e per tutti quelli che si servono dei dati sulla scuola.
Indice e immagini sono mie.
Indice
1. Un linguaggio costruttivo dalle potenzialità infinite
2. Scuole e Università in classifica
3. La minaccia delle armi di distruzione matematica
3.1 Tre domande
3.1.1 Chi fa ricorso allo strumento matematico ha chiaro il metodo usato per modellizzarlo?
3.1.2 Il modello va contro l’interesse del soggetto? Potrebbe modellizzarlo?
3.1.3 Il sistema può scalare?
La matematica è il più potente strumento di cui l’uomo disponga. Per quanti non sono matematici di professione essa è un ricordo scolastico o un utile strumento per i calcoli della vita quotidiana. Ma l’idea più corrente su di essa è che “non è un’opinione”. Per distruggere quest’ultima convinzione è utile la lettura di Cathy O’Neill Armi di distruzione matematica (Bompiani, 2018).
I diritti umani
Il Sol invictus
Mentre si discute accanitamente di conservazione delle tradizioni e dell’identità cristiana e di diritto dei bambini al Natale della grotta e della cometa a scuola, può essere utile ascoltare la lezione dei teologi sull’origine di queste tradizioni.
Il testo seguente è tratto da Chi ci aiuta a vivere? Su Dio e l’uomo [Queriniana, 2006, pp. 97-103] di Joseph Ratzinger.
In coda un articolo di Cecilia Calamani.
“Il mondo in cui sorse la festa di Natale era dominato da un sentimento che è molto simile al nostro. Si trattava di un mondo in cui il ‘crepuscolo degli dèi’ non era uno slogan, ma un fatto reale. Gli antichi dei erano a un tratto divenuti irreali: non esistevano più, la gente non riusciva più a credere ciò che per generazioni aveva dato senso e stabilità alla vita. Ma l’uomo non può vivere senza senso, ne ha bisogno come del pane quotidiano. Così, tramontati gli antichi astri, egli dovette cercare nuove luci. Ma dov’erano?
Carlo Rovelli, Le radici della scienza contemporanea
L’omaggio della fisica contemporanea alla ricerca antica e allo spirito critico di Mileto e agli straordinari sviluppi scientifici della scuola di Abdera. Tratto da La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose [Raffaello Cortina, 2014].
Io scrivo cose che a me sembrano vere, perché i racconti dei Greci
mi sembrano pieni di contraddizioni e ridicoli [Ecateo, Storia]
Secondo la tradizione, nell’anno 450 prima della nostra era un uomo si imbarcò su una nave in viaggio da Mileto a Abdera. Fu un viaggio fondamentale nella storia della conoscenza.
Probabilmente l’uomo fuggiva rivolgimenti politici a Mileto, dove era in atto una violenta ripresa di potere da parte dell’aristocrazia. Mileto era stata una città greca ricca e fiorente, forse la principale città del mondo greco prima del secolo d’oro di Atene e Sparta. Era stata un centro commerciale molto attivo e dominava una rete di quasi un centinaio di colonie e scali commerciali che si estendevano dal Mar Nero all’Egitto. A Mileto arrivavano carovane dalla Mesopotamia e navi provenienti da mezzo Mediterraneo, e circolavano le idee.
Durante il secolo precedente si era compiuta a Mileto una rivoluzione di pensiero fondamentale per l’umanità. Un gruppo di pensatori aveva rifondato il modo di porre domande sul mondo e di cercare risposte. Il più grande fra loro era stato Anassimandro.
Da sempre, o almeno da quando l’umanità aveva lasciato testi scritti che sono arrivati fino a noi, gli uomini si erano chiesti come fosse nato il mondo, di che cosa fosse fatto, come fosse ordinato, perché avvenissero i fenomeni della natura. Da millenni, si erano dati risposte che si somigliavano tutte: risposte che facevano riferimento a intricate storie di spiriti, dèi, animali immaginari e mitologici, e cose simili.
Parte 1. Anassimandro
Perché la giustizia non può essere una téchne
Girolamo De Michele, A che serve la filosofia?
La filosofia è l’attività di costruzione dei concetti, secondo la definizione di Gilles Deleuze e Felix Guattari. Girolamo De Michele spiega a cosa serve la filosofia con l’esempio del concetto di “altri”. Ne segue il paradosso che la filosofia, pur essendo totalmente inservibile, inutilizzabile (e dunque libera) è l’attività più utile di tutte.
Se seguite il basket americano, non potete non sapere chi è Phil Jackson. In ogni caso, basterà sapere che è l’allenatore che ha vinto più titoli di ogni altro: ben 11, 6 con i Chicago Bulls e 5 con i Los Angeles Lakers (più 1 nelle serie minori e 2 come giocatore).
Phil Jackson ha l’abitudine di distribuire libri di filosofia ai suoi giocatori, e di leggere pagine dei filosofi negli spogliatoi, mentre altri ripassano gli schemi prima della partita; tra i suoi libri preferiti ci sono Così parlò Zarathustra di Nietzsche, l’Etica Nicomachea di Aristotele e Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig.
Perché regala ai campioni che allena libri di filosofia? Perché, sostiene Phil Jackson, la filosofia ti aiuta a capire che nel mondo esistono anche gli altri: “gli altri” è un concetto importante in uno sport di squadra nel quale non puoi vincere da solo, neanche se sei il miglior giocatore del mondo.
In effetti quello che rende Phil Jackson un grande allenatore è proprio questo: spesso ha allenato i migliori giocatori del mondo (Michael Jordan, ad esempio), o giocatori che si credevano tali (Shaquille O’Neal o Kobe Bryant, ad esempio), ed è riuscito a farli giocare all’interno di un gruppo, e non da soli.
Salutiamo Phil Jackson, e teniamoci le sue parole. Cosa vuol dire: “nel mondo esistono anche gli altri”? In che senso “gli altri” è un concetto? Che cos’è un concetto? E soprattutto, a cosa serve la filosofìa (a parte vincere il campionato NBA)?
Dire che esistono “gli altri” non è una cosa banale: c’è un’intera visione del mondo dentro la parola “altri”. Chi sono gli “altri”?
Sono tutti quegli esseri viventi che condividono, o partecipano, a una essenziale qualità o caratteristica che io trovo dentro me stesso? In questo caso, chiameremo questa caratteristica “umanità”, e da essa faremo derivare determinati diritti che definiremo inviolabili.
O forse no, se troveremo questa caratteristica anche in altri esseri viventi non-umani: e allora estenderemo il concetto di “diritto inviolabile” anche agli animali, ai quali non saremo liberi di fare tutto ciò che ci piace (ad esempio torturarli nei laboratori, infliggere loro crudeltà, farne dei portatori di pelliccia a nostra disposizione, addirittura fare del cibo a nostra disposizione).
Come vedete, per costruire la parola “altri” e dotarla di senso bisogna compiere molte operazioni mentali, ciascuna delle quali è in rapporto con un determinato comportamento pratico.
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